Sentenze
Cassazione: nasce bambina down, ginecologo condannato per non aver prescritto i giusti accertamenti
di L.Va.
Il ruolo del medico non si esaurisce con l’accertamento dello stato di salute del paziente, che deve essere messo in grado di decidere cosa fare e quale terapia scegliere in piena consapevolezza. Per questo i giudici della Cassazione hanno condannato un ginecologo di Mantova a risarcire una coppia di coniugi, perché la donna ha partorito nel 2006 una bambina colpita dalla sindrome di Down.
I coniugi avevano espresso chiaramente l’intenzione di non proseguire la gravidanza se il feto fosse stato malato o malformato. Tanto più che la futura madre era una donna molto giovane e in salute e avrebbe potuto riprovare ad avere figli sani con altre gravidanze. Il ginecologo invece si limitò a prescrivere solo esami di base, da cui non veniva fuori alcun risultato problematico. Alla donna non furono prescritte amniocentesi o altre analisi approfondite da cui sarebbe stata evidente la sindrome di Down della bambina.
Il medico ha dunque un ruolo attivo in ogni fase, e nella sentenza si specifica che «il sanitario che formuli una diagnosi di normalità morfologica del feto anche sulla base di esami strumentali che non ne hanno consentito, senza sua colpa, la visualizzazione nella sua interezza, ha l'obbligo d'informare la paziente della possibilità di ricorrere ad un centro di più elevato livello di specializzazione, in vista dell'esercizio del diritto della gestante di interrompere la gravidanza».
I coniugi dopo dieci anni e tre gradi di giudizio hanno ottenuto il diritto all’indennizzo. Il dottore infatti, conosciuta l’intenzione della coppia, doveva andare oltre gli esami di base, affinché ci fosse piena conoscenza della situazione. Solo così i due avrebbero potuto decidere il da farsi.
Per gli ermellini, la colpa del ginecologo è stata una cattiva comunicazione con la paziente e dunque: «è stato negligente od imperito nel prescrivere gli accertamenti diagnostici o nel valutarne gli esiti. La condotta omissiva che gli si imputa riguarda la mancanza di informazioni nei confronti della paziente gestante».
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