Medicina e ricerca

Giornata mondiale del cuore/ L'impatto del Covid sulle malattie cardiovascolari

di Michele Massimo Gulizia*

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A causa della recente pandemia i pazienti hanno saltato molti controlli poiché l’attività ambulatoriale cardiologica è stata drasticamente ridotta al fine di limitare gli accessi nelle strutture sanitarie e dedicare personale sanitario ai reparti COVID-19. Ciò ha fatto ridurre l’attenzione alle cause di malattia cardiovascolare e di conseguenza l’aderenza terapeutica con i farmaci assunti dall’epoca dell’evento. Come conseguenza del drammatico peso epidemiologico del COVID-19, si è assistito quindi a una riduzione di circa il 30-40% dei ricoveri per sindrome coronarica acuta e per scompenso cardiaco, patologie che rappresentano, da sole, la gran parte dei ricoveri cardiologici, con un aumento di oltre 3 volte della mortalità per infarto miocardico STEMI, la cui mortalità è passata dal 4,1 al 13,7%. Per questo, anche durante pandemia, bisogna ricordare che le malattie cardiovascolari restano ancora oggi la prima causa di morte nel nostro Paese. Tale riduzione delle attività di screening per patologie cardiovascolari avrà ripercussioni importanti nei prossimi mesi e sicuramente anche per i prossimi anni. I pazienti non devono dimenticare che l’unica vera arma contro una recidiva ischemica cardiaca è mantenere bassi i valori di colesterolemia LDL (sotto 55 mg/dl) e assumere regolarmente la terapia a base di betabloccanti, aceinibitori e la doppia antiaggregazione piastrinica a base di acido acetilsalicilico e inibitori P2Y12.

I controlli vanno fatti soprattutto nei primi 6/12 mesi dopo l’infarto, e poi ogni anno perché è in questo periodo di tempo che il rischio rimane più elevato, soprattutto per coloro i quali tendono ad autoridurre la terapia cardiologica, particolarmente la doppia antiaggregazione piastrinica. Ma non tutti i pazienti dopo un infarto devono sottoporsi agli stessi esami: sarà il cardiologo al momento della dimissione a suggerire quali sono necessari e quando. In genere, dopo il primo anno, rinnovata la terapia cardiologica necessaria, la frequenza di controlli si attenua, ad eccezione che nei pazienti diabetici, con insufficienza renale o con compromissione della “pompa” del cuore come conseguenza dell’infarto, ed anche in questo caso sarà il cardiologo a suggerire la tempistica. Per tutti gli altri, un corretto stile di vita e l’assunzione regolare della terapia prescritta sono gli elementi più importanti e non c’è necessità di ripetere esami sofisticati spesso inutili, ad eccezione di un periodico controllo dei valori del sangue che ti verrà suggerito dal tuo medico curante.

Il cambiamento delle abitudini alimentari è molto importante per il controllo di alcuni fattori di rischio coronarico quali i livelli di colesterolo e la pressione arteriosa. Non esiste una dieta specifica per il paziente che ha avuto un infarto, anche se è bene ridurre l’apporto di grassi di origine animale e di sale e nell’aumentare l’apporto di pesce e fibre vegetali. Sono da preferire le carni bianche o quelle magre (pollo, coniglio, manzo magro), mentre sono da evitare gli insaccati, preferendo tra questi il prosciutto sgrassato o la bresaola. Non abusare dei latticini, in particolare dei formaggi stagionati, preferendo ricotta, mozzarella e latte scremato; è opportuno evitare il burro ed utilizzare invece olio extra vergine di oliva crudo. Ridurre il sale nei cibi utilizzando erbe ed aromi che possono migliorare il sapore. Pesce e frutta fresca sono particolarmente indicati, mentre non vi sono limitazioni particolari per la pasta (se non eccessivamente condita) ed il pane (se non per la quantità e/o per la eventuale contemporanea presenza di diabete o di obesità).

Il consumo di moderate quantità di alcol (1-2 bicchieri di vino al giorno) non è dannoso e consente di aumentare leggermente il livello di HDL (frazione del colesterolo con effetti protettivi sui vasi arteriosi, usualmente definito “colesterolo buono”). Per quanto riguarda i super-alcolici, questi vanno consumati solo come eccezione poiché il consumo eccessivo di alcol è associato ad un aumento della pressione arteriosa e ad un aumento dei valori di trigliceridi nel sangue; inoltre, poiché le bevande alcoliche hanno un elevato contenuto di calorie, esse predispongono o peggiorano l’obesità.

* Direttore Cardiologia Ospedale Garibaldi-Nesima di Catania,
e Presidente della Fondazione per il Tuo cuore ANMCO


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