Medicina e ricerca
Giornata mondiale cuore/ Il 75% degli eventi potrebbe essere prevenuto
di Paolo Magni *
24 Esclusivo per Sanità24
Il Covid-19 ha dimostrato il peso che una pandemia può esercitare sulle risorse di un sistema sanitario, anche il più efficiente, catalizzando la necessità di rinnovare urgentemente l'attuale modello sanitario, per esempio, riducendo o prevenendo i ricoveri per altre patologie così da liberare la capacità del sistema.
Tra le patologie che maggiormente impattano sui sistemi sanitari ci sono quelle cardiovascolari ed è doveroso, nella Giornata mondiale del cuore, riflettere su quali strategie introdurre per alleggerirne il carico, quantificabile a livello globale in 18 milioni di morti l’anno (in crescita del 34% entro il 2030), 230mila dei quali in Italia, e un costo globale totale che passerà da circa 863 miliardi di dollari nel 2010 a oltre 1 trilione nel 2030.
Eppure, il 75% degli eventi cardiovascolari ricorrenti potrebbe essere prevenuto.
Un esempio significativo è rappresentato dalla malattia aterosclerotica, una componente delle malattie cardiovascolari fondamentale e pericolosa, che può essere responsabile di un infarto cardiaco o un ictus cerebrale, un killer che conta 4 decessi per causa cardiovascolare su cinque.
La patologia cardiovascolare su base aterosclerotica progredisce silenziosamente, dando segno di sé all’improvviso, quando la placca aterosclerotica, conseguente all’esposizione ad elevati livelli di colesterolo Ldl, senza preavviso si rompe liberando nell’arteria delle sostanze in grado di provocare la formazione di trombi che possono dare origine ad un evento acuto, con conseguente ospedalizzazione o, nel peggiore dei casi, decesso.
Più a lungo una persona è esposta a livelli elevati di colesterolo Ldl (o LDL-C), e quindi soffre di ipercolesterolemia, maggiore è il rischio di sviluppare aterosclerosi e quindi un grave evento cardiovascolare.
Si tratta del principale fattore di rischio delle cardiopatie ischemiche, prima di fumo, diabete, ipertensione e obesità, che in Italia grava per oltre 1 mld di euro ogni anno per soli costi diretti sanitari, cui si sommano circa 31,6 milioni per i trattamenti farmacologici e di 9,3 milioni per prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale strettamente correlate alla patologia.
Negli ultimi anni è stato osservato un preoccupante trend in crescita che pone a rischio la salute di un numero elevato di persone.
Emerge quindi evidente l’opportunità di integrare il controllo regolare del livello di LDL-C nell’esperienza di cura dei pazienti, garantire un follow-up appropriato e puntare al raggiungimento dei valori target nel tempo, come ampiamente indicato in tutte le Linee Guida.
La pratica clinica routinaria, purtroppo, a volte dimostra il contrario, con soggetti ad altissimo rischio cardiovascolare che non raggiungono l’obiettivo terapeutico per ragioni diverse (l’80% dei pazienti ad alto rischio non raggiunge il livello di LDL-C ottimale raccomandato dalle Linee Guida per il trattamento con sole statine). Se si escludono i pazienti che pur assumendo la terapia orale come da prescrizione non raggiungono i loro obiettivi di LDL-C, per tutti gli altri bisogna tener conto da un lato della scarsa aderenza alle terapie, soprattutto nel passaggio dalla fase acuta, post-evento, a quella subacuta, spesso dovuta a mancanza di informazioni, effetti collaterali o alla frequenza di somministrazione. Dall’altro una sorta di inerzia terapeutica del medico che a volte preferisce non modificare il farmaco per evitare effetti collaterali, dimenticando le innovazioni che stanno cambiando l’armamentario a sua disposizione con nuove classi di farmaci che possono realisticamente invertire la traiettoria delle malattie cardiovascolari.
In un futuro prossimo, quindi, sarà fondamentale avviare percorsi di medicina d’iniziativa che consentano l’identificazione proattiva dei cittadini a rischio da inserire in un percorso codificato di prevenzione primaria e secondaria.
Ma quella contro le patologie cardiovascolari è una partita che potremo vincere solo scendendo in campo come un’unica squadra in cui, oltre al personale sanitario, anche le istituzioni ed i cittadini svolgono un ruolo attivo, le prime facendosi carico di queste patologie per evitare una nuova emergenza, i cittadini assumendosi la responsabilità nel prendersi cura proattivamente della salute del loro cuore.
* Coordinatore del Comitato scientifico Fondazione italiana per il cuore e Università degli Studi di Milano
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