Lavoro e professione
Sicurezza delle cure, Cimo-Fesmed in audizione alla Camera: «Depenalizzare l’atto medico»
24 Esclusivo per Sanità24
Depenalizzare l’atto medico per garantire, oltre alla sicurezza delle cure, anche la sicurezza di chi cura. È questa la richiesta principale presentata dal sindacato dei medici Federazione Cimo-Fesmed, che nel pomeriggio è stata audita dalla Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati nell’ambito della discussione della risoluzione presentata dall’on. Marianna Ricciardi in materia di sicurezza delle cure e dei pazienti e di contrasto alla medicina difensiva.
L’assenza di serenità dei medici sul lavoro, infatti, oggi è un dato di fatto, causato non solo dai turni massacranti cui sono costretti dalla ormai cronica carenza di personale, ma anche dalla paura di essere denunciati dai pazienti per presunti casi di malasanità. Un fenomeno che, nonostante il 95% dei casi si risolva in un nulla di fatto, risulta in forte crescita, anche a causa di accattivanti richiami pubblicitari di studi professionali specializzati sul tema.
Il ricorso da parte dei medici a comportamenti “protettivi” come la medicina difensiva, e quindi alla richiesta di visite, esami o farmaci superflui da un punto di vista clinico ma utili in caso di contenzioso, il cui costo si aggira attorno ai 10 miliardi di euro l’anno, sta dunque aumentando.
Per far fronte a tale problema e riportare maggiore tranquillità tra chi opera nelle corsie degli ospedali, la Federazione Cimo-Fesmed (a cui aderiscono le sigle Anpo-Ascoti, Cimo, Cimop e Fesmed) chiede non solo la rapida adozione dei decreti attuativi della legge Gelli Bianco sulla responsabilità professionale, che si attendono da oltre sei anni; ma anche la limitazione dei casi di punibilità penale del personale sanitario alle sole condotte caratterizzate da dolo o colpa grave. In questo modo la legislazione italiana si allineerebbe, almeno in parte, a quella della quasi totalità dei Paesi del mondo: ad oggi, solo in Italia, Messico e Polonia l’errore del medico può, in generale, essere sanzionato penalmente. Un intento più volte annunciato dal ministro della Salute Schillaci e su cui sta lavorando una apposita commissione designata presso il ministero della Giustizia.
D’altra parte non si tratta di una totale novità, all’interno del quadro normativo. Nel 2021, e quindi in piena emergenza sanitaria, sono state adottate delle norme volte a tutelare gli operatori sanitari: viene infatti prevista la sanzionabilità dei fatti di omicidio e lesioni colpose verificatisi durante la pandemia solo se determinati da colpa grave o dolo. Ma ciò che risulta più interessante è l’elenco di alcuni tra i fattori che possono escludere la colpa grave, che vanno al di là della limitatezza delle conoscenze scientifiche sul Covid-19 disponibili al momento del fatto, ma includono anche "la scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare" e il "minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale sanitario non specializzato impiegato per far fronte all’emergenza".
Fattori, dunque, non del tutto congeniti alla situazione pandemica ma che anzi stanno sempre più caratterizzando il quotidiano della realtà ospedaliera: le risorse umane sono scarse e tanto introvabili che si assumono medici non specializzati e stranieri anche senza un titolo di studio riconosciuto in Italia, e si obbliga il personale a turni in reparti relativi a discipline diverse da quelle possedute. Con buona pace dell’interesse del paziente e del suo diritto a rivendicare salute.
Esempi da cui prendere spunto per tutelare gli operatori sanitari non mancano: basti pensare agli insegnanti e ai magistrati, la cui responsabilità diretta è eliminata in favore di quella indiretta dell’ente di appartenenza salvo il diritto di rivalsa della struttura per i casi di dolo e colpa grave. Perché non adottare lo stesso sistema anche per i medici? Si chiedono da Cimo-Fesmed.s
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