Lavoro e professione
Mmg, convenzione e Mezzogiorno
di Ettore Jorio (Università della Calabria)
Dal documento integrativo dell'Atto di indirizzo per la medicina convenzionata, licenziato qualche giorno fa dal Comitato di settore delle Regioni, finalmente un riordino del sistema relativo. Invero, nel prendere correttamente atto dei limiti di funzionamento della attuale «medicina di famiglia», ha ritenuto di qualificarne ed estenderne la portata a 16 ore giornaliere (h 12 per i pediatri di libera scelta). Non solo. Ha ritenuto indispensabile assegnare ai protagonisti della c.d. medicina di base il ruolo di playmaker dei successivi passi diagnostici e terapeutici dei loro assistiti. Un modo per favorire (finalmente) questi ultimi nel godimento dell'offerta di salute del Ssn e, in generale, l'economia ospedaliera facendo da efficace filtro dell'accesso ai pronto soccorso, sempre di più impossibili a frequentarsi da parte dell'utenza abbandonata in resse inenarrabili a sopportare i propri mali lungo i corridoi.
Ciononostante, perdurerà la deficitarietà assistenziale della periferia disagiata. Specie di quella che è tipica di alcuni regioni del sud, eternamente iellata nella godibilità dei diritti fondamentali. Nei paesi - perlopiù comuni c.d. polvere, che sono arroccati come dei presepi in siti dall'orografia spesso impossibile e da una rete stradale impraticabile - l'assistenza sanitaria territoriale esiste sulla carta. Consegnata com'è a quei pochi professionisti convenzionati relegati a vivere ove tutto è periferico, emarginato e rimediato.
Senza individuare un rimedio specifico ed efficiente, in alcune regioni (Sicilia, Calabria, Abruzzo e Molise su tutte) non potrà mai esserci un'assistenza socio-sanitaria capillare e omogenea. Corresponsabile di tutto questo è un territorio stupendo ma per gran parte impervio e dimenticato da Dio, dal quale «i grandi e i piccoli» scappano per inseguire altrove un più favorevole destino. Numerosissimi i Comuni inerpicati sulle rispettive impervie catene montuose. Un saldo di enti locali «sfigati», da calcolarsi al netto delle Città che, da ottobre, non saranno più capoluogo di provincia (perché non ci saranno le Province), di quelle che non lo sono mai state ma che registrano ex se una loro importanza geo-demografica e di quelle, infine, bagnate dal mare, in quanto tali miracolate dal non isolamento.
Il progetto di riordino, condiviso in sede di comparto Regioni-sanità, nulla andrà tuttavia a risolvere in relazione al dramma assistenziale vissuto, da sempre, della periferia più emarginata. Ove l'assistenza è, ovunque, la peggiore che si possa immaginare, fatta salva una (spesso) ottima ospedalità erogata prevalentemente a ridosso dei maggiori centri urbani, garantita da operatori sanitari che vanno ben oltre i loro doveri.
Per tutta la popolazione perbene ivi residente, continuerà pertanto ad esserci poco o nulla. L'elevato numero dei singoli comuni disagiati, le distanze intercomunali, le reti stradali, pressoché ridotte a un insieme disorganico di mulattiere, la lontananza dai centri urbani e l'assenza di strutture intermedie salutari fisse non consentirà alcuna aggregazione assistenziale, del tipo quelle che saranno individuate nel nuovo accordo collettivo nazionale dei medici di assistenza primaria e di continuità assistenziale, che diverranno (quasi) un tutt'uno. A meno che non intervenga, in proposito, una specifica programmazione regionale a tutela di un altrimenti insopportabile disagio, spesso vitale.
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