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Istat: nel 2023 il 77,6% degli italiani ha rinunciato alle cure, spesa a carico delle famiglie a quota 40,6 mld
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Nel 2023 il 7,6% della popolazione italiana ha rinunciato a curarsi, contro il 6,3% del 2019. “La quota di quanti hanno rinunciato a causa delle lunghe liste di attesa risulta pari al 4,5% (2,8% nel 2019). Le rinunce per motivi economici riguardano il 4,2% della popolazione, quelle per scomodità del servizio l’1,0%”. A lanciare il monito è il presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli, che durante la sua audizione sulla manovra ha citato l’indagine ’Aspetti della vita quotidiana’ con informazioni sulle persone che, pur avendone bisogno, hanno dovuto rinunciare a un accertamento diagnostico o a una visita specialistica.
Secondo Chelli, dopo una crescita sostenuta nel triennio 2020-2022, quando la spesa sanitaria del settore pubblico è passata da poco meno di 114,7 miliardi del 2019 a 130,8 miliardi del 2022 a causa dell’emergenza pandemica, “nel 2023 si osserva invece un calo dello 0,4% rispetto all’anno precedente (a 130,2 miliardi)”.
“La variazione media 2019-2023 risulta pari a +3,2% - aggiunge - . Sempre nel 2023, la spesa sanitaria direttamente a carico delle famiglie supera i 40,6 miliardi (+1,7% rispetto al 2022); dopo il calo del 2020, si è registrato una forte ripresa che ha portato la variazione media 2019-2023 a +2,7%”. Chelli ha spiegato che “la dotazione e l’invecchiamento del personale medico rappresentano criticità per il comparto della sanità, anche alla luce del futuro aumento della domanda di cure dovuto alla dinamica della popolazione”.
Per Chelli, inoltre, il personale infermieristico (infermieri e ostetriche), come numero è da molti anni ritenuto insufficiente rispetto ai bisogni di salute della popolazione.La dotazione nel 2022 è pari a 6,8 per mille abitanti, 0,4 punti in più rispetto al 2019.
Tra le regioni si osserva un ampio divario, con una dotazione particolarmente bassa pari a 5,7 infermieri e ostetriche per mille residenti in Lombardia, Campania e Calabria e a 6,0 in Sicilia, mentre tassi significativamente più elevati si registrano in Molise (8,8), nelle PA di Bolzano e Trento (8,3), in Liguria (8,1) e in Umbria (8,0).
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