Medicina e ricerca

HIV: l’Italia è uno dei più prolifici produttori di scienza

di Stefano Vella*

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24 Esclusivo per Sanità24

L’Italia ha record di eccellenza internazionale in molte aree della ricerca bio-medica. Parliamo della ricerca oncologica, cardiovascolare e sulle malattie neurodegenerative e su quelle rare.
Ma i progressi che la ricerca ha compiuto nel trattamento e nella prevenzione dell’HIV negli ultimi trent’anni sono stati straordinari. Personalmente, ho vissuto momenti che rappresentano pietre miliari nella lotta contro l’HIV/AIDS. Penso al 1996, quando abbiamo partecipato alla stesura delle prime linee guida su come trattare l’infezione da HIV (JAMA, 1996), supportate dall’evidenza che la terapia si associava a una drastica riduzione della mortalità, soprattutto nei Paesi occidentali. Nel 2000, come Presidente della International AIDS Society, ho organizzato, con l’aiuto di tanti colleghi dell’ISS, la conferenza mondiale AIDS a Durban, sud-Africa. Questa prima conferenza in Africa ha cambiato la storia dell’HIV, perché per la prima volta ha portato alla luce il tema delle diseguaglianze di accesso alle terapie, che in Occidente erano già salvavita e nel Sud del mondo non erano ancora arrivate. Questa nuova consapevolezza ha favorito la produzione di farmaci generici, poi distribuiti dal Global Fund, nato in Italia nel 2002 durante il G8 di Genova, attraverso una crescente attenzione delle case farmaceutiche, che hanno stipulato contratti di licenza volontaria nei Paesi in via di sviluppo.
Un altro annus mirabilis per la ricerca HIV è stato il 2011, quando alla Sesta conferenza dell’International Aids Society (IAS) di Roma, abbiamo presentato il primo lavoro, frutto del gruppo di ricerca di Myron Cohen, che dimostrava in modo insindacabile come la terapia antiretrovirale impedisse la trasmissione del virus. Una scoperta che ha permesso di abbattere le nuove infezioni da HIV e che ha avuto un enorme valore per le coppie discordanti, partner di persone con HIV. Così come non possiamo trascurare l’impatto straordinario che la terapia ha avuto anche sulla trasmissione materno-fetale: oggi, in molti Paesi, le donne sieropositive non trasmettono più l’infezione ai loro bambini durante la gravidanza o il parto.
In anni più recenti, oltre a nuovi farmaci, che hanno una efficacia e una facilità di somministrazione considerevoli (combinazioni antiretrovirali in una sola compressa), è stato introdotto anche un concetto nuovo di prevenzione, Treatment as Prevention, che gradualmente si è esteso alle persone che non hanno contratto il virus dell’HIV ma che sono maggiormente esposte al rischio. È la PrEP (Pre-exposure prophylaxis), farmaci orali che possono essere assunti on demand come strumento di prevenzione.
L’altra grande rivoluzione è stata quella delle terapie long-acting, che sono a somministrazione prolungata e non più giornaliera e consentono di tenere a bada il virus per mesi. Nuovi studi pubblicati proprio di recente hanno dimostrato che questi farmaci a somministrazione semestrale hanno protetto le donne dell’Africa subsahariana con una efficacia perfino maggiore rispetto alla PrEP orale.
Se guardiamo al futuro, una soluzione sarà sicuramente il vaccino, soprattutto per le popolazioni nei Paesi più a rischio, per cui la ricerca sta andando avanti. Ma puntiamo anche all’obiettivo della “cura”, attraverso lo studio di sistemi che sfruttano l’immunoterapia e l’ingegneria genetica con l’obiettivo di azzerare la replicazione del virus per lunghi tempi.
Il nostro Paese al giorno d’oggi ha un enorme bisogno di ricerca indipendente. Negli anni ‘90, il governo italiano ha finanziato un progetto di ricerca nazionale in HIV che ci ha permesso di disporre di fondi ingenti per la ricerca e ha fatto sì che l’Italia diventasse uno dei più prolifici produttori di scienza.
Parallelamente, anche i privati, Fondazioni e Industrie, hanno fatto la propria parte.
Un esempio è il Bando Fellowship Program (Gilead) che da molti anni finanzia la ricerca indipendente italiana su HIV/AIDS. Ha prodotto risultati importanti, e per certi versi, ha dato continuità al progetto di ricerca nazionale sull’HIV. Quest’anno, ho avuto l’occasione di essere Commissario per la valutazione dei progetti in area HIV di questo Bando, rivolto a ricercatrici e ricercatori italiani d’eccellenza, e di confrontarmi con i colleghi delle altre aree, ovvero le epatiti virali, l’oncologia, l’oncoematologia. Ho esaminato progetti di altissimo spessore scientifico, privilegiando quelli con focus su qualità della vita, salute mentale e benessere della persona, o che miravano alle popolazioni speciali e spesso un po’ neglette, per esempio la popolazione carceraria, i richiedenti asilo, ma anche popolazioni più fragili per motivi sociali e di accesso, come le donne. La tredicesima edizione del Bando Fellowship ha favorito una visione olistica dell’infezione da HIV. I progetti finanziati porteranno, come negli anni passati, a risultati reali, e a ricerche scientifiche pubblicate su riviste di respiro internazionale.

*Professore di Salute Globale Università Cattolica del Sacro


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