In parlamento
Interviste di fine legislatura/ Marazziti: «Traguardi straordinari. Ora la sfida è l’eguaglianza»
di Lucilla Vazza
Sono passati cinque anni, più o meno 1.825 giorni e un’infinità di battibecchi in Parlamento, di polemiche, ma anche di accordi e di intese trasversali. L’Italia di oggi non è quella di inizio legislatura. Renzi non è più l’astro nascente della sinistra di governo, i Cinque stelle piaccia o meno sono il primo partito e Berlusconi, dato per spacciato, a 80 anni è più in sella che mai. Con Salvini e Meloni a spartirsi la scena di un Centrodestra che si è riscoperto unito. Per questo a Mario Marazziti , presidente per cinque anni della Commissione Affari sociali, chiediamo un bilancio di fine legislatura. Perché anche la sanità di oggi non è quella di cinque anni fa e molte cose nel frattempo sono successe.
Ripercorriamo le tappe più importanti...
«Non so cosa venga percepito dall’esterno, ma sono stati cinque anni incredibilmente produttivi. Con grandi riforme e provvedimenti che migliorano e miglioreranno la sanità. Abbiamo iniziato con il decreto Stamina, con la legge per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, con la prima legge sull’autismo. Poi il Parlamento ha lavorato sulle grande riforme: quella sul Terzo settore, la legge sul dopo di noi, la normativa sugli sprechi alimentari che raccoglie l’eredità di Expo. Poi ci sono delle leggi che hanno toccato punti sensibili della nostra società. Penso alla legge sul cyberbullismo o la cannabis per uso terapeutico. Poi leggi di grande riforma: la prima misura universalistica nella storia d’Italia per il contrasto alla povertà e di inclusione sociale; poi la legge sul biotestamento e la grande riforma del rischio clinico, la cosiddetta legge Gelli, che rassicura il settore perché riduce la medicina difensiva, ma garantisce il risarcimento in caso di colpa grave. E infine il Ddl Lorenzin, che è una legge quadro per la sanità. Innova sulla sperimentazione dei medicinali, scioglie finalmente il nodo sui comitati etici, favorisce la ricerca a partire da quella non profit, reintroducendo la brevettabilità e portando a un sostegno concreto per la ricerca pubblica, sostenendo i ricercatori italiani. E ovviamente riscrive la pagine delle professioni sanitarie. Introduce un cambiamento sostanziale perché la legge Lorenzin aumenta la dignità di molte categorie professionali, si chiudono vertenze che risalgono a 70 anni fa. È una legge “aperta” alle nuove professioni, dove la valutazione è tecnica e accoglie istanze che possono venire “dal basso”, si toglie così peso alla politica e in tempi abbastanza certi, nel caso in cui sia registrato un fabbisogno reale per la sanità pubblica, i corsi di studio e le equipollenze per le nuove professioni vengono valutate dal ministero della Salute e dal Miur nei tre mesi successivi al via libera che deve arrivare dalle Regioni. Sono tutti provvedimenti che avranno una vita lunghissima. In cui la Affari sociali ha fatto un grosso lavoro di mediazione tra posizioni radicalmente opposte ma su cui si è riusciti a trovare sintesi inizialmente impensabili».
Fatte queste riforme avete incassato anche un cambiamento culturale? Questi sono stati gli anni dell’oscurantismo vaccinale, la campagna elettorale ha già fatto registrare toni estremi, che non fanno ben sperare...
C’è una lettura bifronte: quella della realtà di cui fa parte per esempio la lotta alla povertà e la legge sui vaccini. Chi non vaccina i propri figli mette a rischio la vita anche dei figli fragili degli altri, questa è la realtà. E poi c’è l’antirealtà. Sono stati anni di campagna elettorale permanente, dove si lavora sulla paura, si inventano i nemici. Dove si predica il disprezzo verso chi è povero, che predica “realismo”, quando si fanno morire le persone nel Mediterraneo. Dove la volgarità è sdoganata e si usano parole degne del Ku Klux Klan. Dove si sdogana il peggio. Questo è il mondo contrapposto: questa commissione ha lavorato per quell’altro. Il mio dolore è la mancata approvazione della legge sullo ius culturae e lo ius soli temperato. La mancata integrazione di un milione di giovanissimi che avrebbe creato più sicurezza, affossata in un dibattito surreale che l’ha descritta come la legge diritti “la sala parto dei terroristi islamici”. Una società che invece di lottare contro la povertà, lotta contro i poveri.
In cinque anni è cambiata la narrazione della politica, cosa si è rotto?
C’è un indebolimento di tutte le democrazie occidentali di fronte a una narrazione che ha utilizzato il disagio in chiave antisistema. Con una polarizzazione sulla negatività della politica, con imbarbarimento del linguaggio per cui ogni accordo diventa automaticamente inciucio. È cresciuto un pensiero antiscientifico, che sta creando difficoltà in Europa e in America. Quindi c’è una difficoltà legata al tempo, alla grande crisi sociale che ha accompagnato la crescita economica della globalizzazione. c’è una frammentazione delle relazioni umane e una crisi delle forme di vita organizzate. In questo tutto diventa più difficile, ma c’è un enorme bisogno di cose vere, si tratta solo di farle arrivare alle persone. C’è un grande bisogno di politica autentica e di bene comune. Non so se questa campagna elettorale lascerà spazio a questo. Ma più una narrazione populista o antisistemica cresce, più diventa importante stare vicino alle persone e ai bisogni veri.
Tornando alla Sanità, da dove dovrà ripartire il nuovo Governo, il nuovo Parlamento?
Per mantenere alto il livello universalistico e di qualità che ha il nostro Ssn, è necessario che si sposti l’asse dall’ospedalocentrismo a una medicina di prossimità. Dove le cronicità vengano sempre più trattate vicino casa, dove l’accompagnamento in questa vita che si allunga veda sempre più il sociale integrato col sanitario. Alleggerendo l’ospedale, altrimenti il sistema non può essere sostenibile. Poi andrà potenziato l’investimento in prevenzione per le malattie legate all’invecchiamento.
Sono almeno 20 anni che si parla d’integrazione sociosanitaria e di territorio...
Il nodo è ricostruire più eguaglianza in sanità. Continuano a esserci 21 sanità, quante sono le Regioni. Vanno promosse buone pratiche per gruppi di Regioni. Più uguaglianza si crea attraverso l’accesso, pensiamo alle liste d’attesa. Vanno fatti cambiamenti strutturali per migliorare l’accesso alle cure per tutti, senza far esplodere i conti.
Si ricandiderà?
Ci sto pensando, la mia vita è sempre stata fuori. Non posso candidarmi con chi descrive gli immigrati come nemici o con chi fomenta le paure. Ci sarei per un centrosinistra aperto.
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