Dal governo
Pensioni: il recupero dell’inflazione non sarà pieno, si torna al meccanismo del passato
di Claudio Testuzza
24 Esclusivo per Sanità24
Per le pensioni, nel 2025, il recupero dall’inflazione non sarà pieno, come ha cercato di indicare il Governo, ma verrà ripristinato il meccanismo già in vigore in passato e previsto dalla legge n. 388 del 2000. Certamente più favorevole ai pensionati, ma disatteso negli ultimi anni per consentire risparmi alla spesa.
Il recente decreto, pubblicato la scorsa settimana sulla Gazzetta Ufficiale n. 278 (firmato il 15 novembre dal ministero dell’Economia e dal ministero del Lavoro) riconosce un indice di incremento dello 0,8% sulle pensioni. Un indice, quindi, persino più basso di quello che era stato ipotizzato quando il Governo aveva chiuso e inviato alle Camere la manovra, e che era circa dell’1%. Da questo dato, e quindi dalle irrisorie ricadute sui conti previdenziali, nasce la condizione di un recupero del vecchio sistema delle fasce di rivalutazione dei trattamenti rispetto a quelle degli ultimi due anni che prevedevano un + 8,1% del 2022 ed un + 5,4% del 2023. L’ultima legge di Bilancio assicurava solamente il recupero del 100% dell’inflazione, calcolata dall’Istat, per tutte le pensioni sino a 4 volte il minimo. Sopra questa soglia la copertura veniva poi ridotta in maniera progressiva : all’85% per gli assegni da 4 a 5 volte il minimo (2.993,05 euro), al 53% tra 5 e 6 volte (3.591,66), al 47% tra 6 e 8 volte (4.788,88) , al 37% tra 8 e 10 volte e al 22% per i più fortunati che ricevono assegni oltre 10 volte il minimo (5.961,1 euro). Con buona pace delle pensioni medio-alte che hanno visto il loro potere d’acquisto precipitare a causa dell’elevata inflazione non certo recuperata. Dal nuovo anno si cambia e si torna al passato con le pensioni che sino a 4 volte il minimo riceveranno aumenti sempre legati al 100% dell’inflazione dell’anno prima. Quelle comprese tra 4 e 5 volte anziché l’85 ottengono il 90% e quelle sopra il 75%, guadagnando da 22 a 53 punti in più quando si arriva sopra quota 5.986 euro. Oltre a questo gli aumenti sopra quattro volte il minimo si fanno più robusti anche per effetto del ripristino del vecchio meccanismo di calcolo che anziché applicare un’aliquota unica alla pensione lorda torna ad essere fatto per fasce diventando di fatto progressivo. Per cui anche chi ha un lordo di 6 mila avrà il 100% di recupero sui primi 2.394,4 euro lordi come i pensionati che ricevono assegni sotto 4 volte il minimo, il 90% sulla quota che arriva a 2.994,5 e il 75% solo sulla parte che eccede questa soglia.
Bisogna ricordare che negli ultimi 30 anni abbiamo avuto 100 miliardi di euro di tagli, oltre 16 miliardi negli ultimi due. Alle pensioni è stato chiesto da sempre un contributo di solidarietà, che però non torna mai indietro. A meno che adesso non intervenga la Corte Costituzionale. Mercoledì 29 gennaio 2025, alle ore 9 e 30, la Corte Costituzionale esaminerà i due ricorsi contro il taglio della rivalutazione delle pensioni all’inflazione voluti dal Governo Meloni. Ricorsi della Corte dei Conti della Toscana e della Campania accolti dalla Corte Costituzionale a settembre e promossi da due indignati ex presidi di scuola pubblica, ora pensionati, che si erano ritrovati, con altri colleghi altrettanto arrabbiati, a tentare un recupero del valore della loro pensione. La novità è che ora saranno spalleggiati, in questa battaglia, anche dai dirigenti d’azienda e dai magistrati. Si sono infatti costituiti nel procedimento, con un “atto di intervento”, anche la Cida e l’Anm. Dall’altra parte troveranno l’Inps e la Presidenza del Consiglio. Tutti, accusa e difesa, dovranno depositare le memorie entro il 9 gennaio. Le esigenze da contemperare sono infatti due. Da una parte la stabilità dei conti pubblici. E’ impensabile che la Consulta possa chiedere al Governo di rimborsare al 100% i pensionati. Il taglio cumulato nel biennio 2023-2024 vale oltre 37 miliardi al netto delle tasse fino al 2032. Dall’altra parte ci sono le ragioni dei pensionati, fatte proprio nelle due ordinanze delle Corti dei Conti molto dettagliate. Infatti la Consulta, questa volta sarà chiamata ad esprimersi non solo sulla legittimità costituzionale di questo taglio reiterato, ma anche sull’effetto di trascinamento per cui la pensione resta più bassa per sempre. Il risparmio di spesa è strutturale su tutta la vita dei pensionati. Se reiterata nel tempo, quella misura da temporanea, infatti, diventa definitiva. Già in passato altre sentenze della Consulta avevano fermato la rivalutazione perché applicata a tutti i pensionati o per troppi anni, ma anche, spesso, hanno dato ragione all’intervento restrittivo dei Governi sulla base delle esigenze di bilancio. In questo caso però la Corte dei Conti toscana ricorrente ha osservato prioritariamente che il quadro storico è diverso. Il taglio del Governo Meloni è «al di fuori di crisi finanziarie», inserito in una manovra «fortemente espansiva e fatta in deficit» e in anni di «sospensione del Patto di stabilità Ue». Non sussiste dunque il dato dell’emergenza economica. E’ inoltre, poi, entrata nel cuore della possibile incostituzionalità del taglio che lederebbe gli articoli 36 e 38 della Costituzione.
La pensione è, infatti, retribuzione differita. Non è una prestazione assistenziale né di carattere fiscale. Al pari dello stipendio , deve essere proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ed adeguata non solo al momento del riposo, ma anche dopo, durante la quiescenza, in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto. Ecco perché i tagli «ledono la dignità» dei pensionati. E vanno al di là dei principi costituzionali di «ragionevolezza» e «temporaneità» visto che vanno avanti da 20 anni e con sistemi di calcolo non proporzionali, dunque iniqui.
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