Dal governo

Manovra/ Previdenza: per il 2025 le pensioni potrebbero essere rivalutate dell’1,5%

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

La perequazione automatica è un meccanismo che consente di adeguare annualmente l’importo delle pensioni all’aumento del costo della vita, così da cercare di conservarne immutato il suo reale potere d’acquisto. Il Governo fra le promesse in campo previdenziale previste per l’anno prossimo ha avanzato la proposta di incrementare al 100 per cento i trattamenti pensionistici in essere in modo da garantire il recupero pieno dall’inflazione.
C’è un particolare però da considerare che per il 2025 la pensione potrebbe essere rivalutata in base ad un’inflazione con una percentuale stimata del solo 1,5%. Questo potrebbe portare un aumento di circa 9 euro mensili che nel caso delle pensione minime le accrescerebbe a 607 euro mensili dall’attuale importo di 598 euro mensili !

Nel 2023 e nel 2024 , ricordiamo, con l’introduzione degli scaglioni differenziati a secondo dell’importo del trattamento pensionistico, c’è stata, invece, una perdita irrimediabile del recupero inflazionistico per le pensioni medio basse e più elevate.

Nel 2023, con un inflazione dell’8,1 %, da recuperare, il taglio andava da un minimo di 203 sino ad un massimo di 963 euro. Mentre per quest’anno, con un’inflazione del 5,4 %, si è andati da un netto di 359 sino ad un massimo di 1.679 euro.

Nel 2023 gli scaglioni erano diventati ben sei con percentuali decrescenti del 100, 85, 53, 47, 37 e 32%. E ancor più peggiorati per il 2024 (art.1, legge n. 213/2023) :

- 100% per i trattamenti pensionistici sino a quattro volte il Tm;

- 85% per i trattamenti pensionistici compresi tra quattro e cinque volte il Tm;

- 53% per i trattamenti pensionistici compresi tra cinque e sei volte il Tm;

- 47% per i trattamenti compresi tra sei e otto volte il Tm;

- 37% per i trattamenti compresi tra otto e dieci volte il Tm;

- 22% per i trattamenti superiori a dieci volte il Tm.

Senza dimenticare che la stessa legge 197/2022 ( Manovra per il 2023 ) aveva stabilito, per il biennio 2023-2024, che le aliquote di perequazione automatica non si applicassero progressivamente per fasce ma in base agli scaglioni di reddito pensionistico, ossia sull’intero importo della pensione

I Governi si dimenticano troppo spesso che le pensioni non sono un regalo, ma un salario differito ad ex lavoratori dipendenti ed autonomi che hanno versato contributi per tanti anni. E non sono nemmeno un privilegio ma semmai hanno, nella perequazione, l’unico dispositivo che può salvaguardare, almeno in parte, il loro potere d’acquisto dei pensionati.E’, poi, da sottolineare “ l’effetto di trascinamento “ della ridotta perequazione.

Perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta ( sentenza Corte Costituzionale n. 316/ 2010 ). In quanto l’effetto di trascinamento rende sostanzialmente definitiva anche una perdita temporanea del potere di acquisto del trattamento di pensione, atteso che le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull’ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è stato intaccato.

Complessivamente la stretta sulla perequazione fino ad oggi ha già prodotto un risparmio per le casse dello Stato, con conseguente taglio sulle pensioni, di oltre 3,5 miliardi nel 2023 (2,1 al netto delle tasse) di oltre 6,8 miliardi nel 2024 (oltre 4 netti).

Ma una sentenza della Corte Costituzionale potrebbe far recuperare quanto sottratto ai pensionati italiani. perché la norma presenterebbe profili di illegittimità costituzionale. La Corte dei Conti di Napoli ha sottoposto alla Corte Costituzionale un caso presentato da un ex preside di scuola in pensione che riguarda la rivalutazione delle pensioni in relazione all’inflazione. La Consulta dovrà decidere sulla costituzionalità della norma che dal 2023 prevede una riduzione della perequazione degli assegni previdenziali a partire da chi riceve una cifra superiore a 4 volte la pensione minima. Questa decisione fa seguito a un’altra identica della Corte dei Conti della Toscana. Lo sostiene l’ordinanza numero 33 della Corte dei Conti della Toscana che ha accolto il ricorso depositato il 18 ottobre 2023 da M. P., un dirigente scolastico senese di 71 anni, assistito da due avvocati siracusani, Il ricorso di M. P. è solo uno dei tanti, piovuti in tutta Italia davanti alla Corte dei Conti e ai tribunali.

Nelle prossime settimane e mesi altri potrebbero essere accolti e “girati” alla Consulta. Alla base, la richiesta dei pensionati di recuperare il taglio e di avere per intero l’indicizzazione sugli assegni che danneggia le pensioni in modo permanente e riduce la base delle rivalutazioni future e per lo Stato il risparmio di spesa è strutturale su tutta la vita dei pensionati. Se reiterata nel tempo, quella misura da temporanea diventa definitiva. Già in passato altre sentenze della Consulta avevano fermato la rivalutazione perché applicata a tutti i pensionati o per situazioni di emergenza economica.

Ma il taglio prodotto dai Governi Meloni sembra essere al di fuori di crisi finanziarie, inserito in una manovra fortemente espansiva e fatta in deficit e in anni di sospensione del Patto di stabilità Ue. Inoltre, poi, entrando nel cuore della possibile incostituzionalità, il taglio lede gli articoli 36 e 38 della Costituzione: “ la pensione è retribuzione differita, non è una prestazione assistenziale né di carattere fiscale ”. Al pari dello stipendio di un lavoratore, deve essere proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ed adeguata non solo al momento del riposo, ma anche dopo, durante la quiescenza, in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto. Ecco perché i tagli alle pensioni “ ledono la dignità ” dei pensionati. E vanno al di là dei principi costituzionali della “ ragionevolezza ” e della “ temporaneità ” della misura perché vanno avanti da 20 anni e con sistemi di calcolo “ non proporzionali ”, dunque iniqui.


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