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Intervista/ Aceti (Salutequità): «Liste d’attesa, così l’accordo politico ha prevalso sulle innovazioni tecniche e di governance. Il ruolo dei cittadini? Cancellato»

di Barbara Gobbi

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24 Esclusivo per Sanità24

«Il valore della legge Schillaci sta nell’aver gettato le basi per un governo più efficace ed efficiente del sistema liste d’attesa e mi riferisco fondamentalmente a tre grandi pilastri di questo provvedimento. Peccato però che nel passaggio dal decreto altesto in Gazzetta questi ‘fondamentali’ siano stati fortemente ridimensionati e depotenziati. Sacrificati sull’altare della trattativa politica, mentre la quasi contestuale legge Calderoli sull’autonomia differenziata impone dal canto suo un compromesso evidente». Tonino Aceti, presidente di Salutequità, passa in rassegna le novità della legge indicata dal ministro della Salute e dalla premier Meloni come prioritaria per ripristinare i diritti dei cittadini. Ma avvisa tra l’altro, proprio questi ultimi sono stati di fatto estromessi da ogni possibile utile protagonismo.
Intanto quali sono a suo avviso i tre “pilastri” della governance anti liste?
I tre passaggi che danno sostanza a questa legge sono la Piattaforma nazionale, il principio dell’interoperabilità dei Cup inclusi i centri del privato accreditato - elemento su cui da anni il Ssn si confronta senza riuscire a venirne a capo – e il meccanismo ‘salta code’, cioè il percorso di garanzia che i Dg sono chiamati ad attivare nel momento in cui le strutture Ssn non siano in grado di erogare le prestazioni nei tempi previsti dalle classi di priorità.
Partiamo dalla Piattaforma
La Piattaforma è decisiva perché non si può governare ciò che non si misura. Però il suo ruolo di controllo è sfumato in buona parte: il livello centrale non potrà intervenire più di tanto. Innanzitutto, la versione iniziale del decreto prevedeva la verifica in capo ad Agenas delle liste bloccate: con un colpo di mano in fase di conversione questa novità è stata soppressa per lasciare il posto a qualcosa di sicuramente molto utile ma con differente funzione e cioè la verifica dei percorsi di tutela ‘salta-code’, sempre in capo all’Agenzia. Altro elemento che era presente e poi è scomparso dalla legge era l’analisi della produttività con tasso di saturazione delle risorse umane e tecnologiche: originariamente si dava ad Agenas la funzione di verificare l’efficienza delle aziende sanitarie locali. Con la cancellazione di quella norma l’obiettivo di verifica dell’efficienza viene meno. Dall’altra parte, gli audit assegnati sempre all’Agenzia per i servizi sanitari regionali escono anch’essi annacquati dall’inserimento di un ‘preventivo parere’ in capo alla Conferenza della Stato-Regioni. Una sorta di negoziazione politica a fronte di una evidenza tecnica, che rischia di non permettere l’emersione di tutte le criticità e l’impostazione dei necessari correttivi.
Quindi la politica ha prevalso allentando la cogenza dei controlli?
Di fatto, un decreto legge che era stato dichiaratamente improntato a efficienza ed efficacia è stato convertito in un lavoro frutto di negoziazione politica con gli organi di governance e questo ha sottratto forza alle parti più innovative del testo originario.
Questo vale anche per l’organismo di verifica?
Esattamente. È stato molto depotenziato perché muovendosi anche sulla base di audit Agenas da far passare prima per il confronto politico, di fatto avrà un campo d’azione limitato. In più, dopo che in seguito alla contestazione delle Regioni è stato riscritto l’articolo 2 del Dl, anche l’eventuale potere sostitutivo in capo allo Stato resta di fatto solo sulla carta per il meccanismo che ha introdotto il Ruas: servirà un Dpcm da adottare previa intesa Stato-Regioni per farlo scattare.
Cos’altro da segnalare?
Nella legge è stato del tutto cancellato il ruolo dell’attivismo civico per tutelare l’accesso alle cure: l’Organismo di verifica inizialmente poteva attivarsi anche su segnalazione degli utenti, elemento fondamentale se solo si pensa che i ‘codici B’ oggi vanno quasi tutti fuori tempo massimo. Il decreto legge dava ai cittadini e alle associazioni di rappresentanza l’opportunità di segnalare la lesione di un diritto all’Organismo di verifica, che poi si sarebbe attivato. Un compromesso con le Regioni ha cancellato questa possibilità di dare finalmente ai cittadini la possibilità di denunciare una disfunzione. L’eliminazione di questa novità li fa ripiombare nella solitudine della lesione di un diritto costituzionalmente garantito. In un paese civile dove si parla di partecipazione, engagement, self management, un colpo di spugna ha cancellato il ruolo che finalmente era stato riconosciuto al potenziale paziente. Che non viene trattato da utente e azionista del Ssn quale invece è o dovrebbe essere ma viene relegato a soggetto passivo delle inefficienze senza potersi riscattare con un proprio potere di segnalazione. Questo è uno degli elementi politicamente più gravi, frutto delle modifiche apportate in sede di conversione.
Veniamo al ruolo della legge sull’autonomia differenziata…
Il decreto-legge sulle liste d’attesa è l’altra faccia della medaglia rispetto al Ddl Calderoli: partito in modo molto efficace con una buona funzione di garanzia e controllo del livello centrale, nell’iter di conversione le Regioni hanno riportato il Dl Liste d’attesa a una impostazione più coerente con la legge sull’autonomia. Ma non con le esigenze dei cittadini.
Cosa andava fatto, in sintesi?
Occorreva tenere di più il punto sui diritti e sul ruolo degli utenti, sui poteri sostitutivi dello Stato in caso di inadempienze regionali e su una Piattaforma nazionale più penetrante, cui andava consentito di effettuare dei veri e propri carotaggi su elementi di potenziale inefficienza e inefficacia dei servizi sanitari regionali. Quanto al personale, annunciare la revisione dei tetti di spesa a invarianza di finanziamento va bene ma lo si fa di fatto per lo più attraverso uno spostamento di capitoli di bilancio e non invece con un incremento di finanziamento. Mentre servirebbe un booster importante, visti anche i risultati dell’ultimo monitoraggio Lea da cui emerge un incremento numerico delle Regioni inadempienti. Le evidenze ci chiederebbero più controlli mentre nella legge sulle liste d’attesa proprio i controlli centrali introdotti inizialmente con decreto sono stati fortemente stemperati.
Quanto si potrà davvero ampliare l’offerta di cure?
Nel breve periodo va senz’altro messa in conto una rigidità dell’offerta: le risposte possibili per far fronte a questo stato di cose sono, da una parte, le prestazioni aggiuntive, la libera professione (con oneri a carico del Ssn) e il ricorso al privato accreditato – che nella legge c’è - purché sotto stretto governo pubblico; dall’altra, la revisione dei modelli organizzativi e professionali con la valorizzazione e il riconoscimento delle competenze di tutte le professioni sanitarie, a partire dagli infermieri. Necessaria anche ai fini di un esatto calcolo dei fabbisogni di personale. Il tema, pur avendo tutti i requisiti di necessità e urgenza, non è entrato nel decreto-legge né tantomeno nella legge pubblicata in Gazzetta.


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