Aziende e regioni

57° Rapporto Censis/ Per la sanità pubblica risorse "strutturalmente inferiori" ai big Ue e shortage di personale. L'80% degli italiani è "molto preoccupato" per il futuro del Ssn e oltre 7 persone su 10 guardano al privato per aggirare le attese

di Barbara Gobbi

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24 Esclusivo per Sanità24

Il capitolo "Il Sistema di Welfare" del 57° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2023 presentato a Roma certifica un quadro che soprattutto in tempi di legge di Bilancio sono cavallo di battaglia innanzitutto dell'opposizione: risorse "strutturalmente inferiori" per la sanità pubblica rispetto a quanto speso da Paesi europei analoghi al nostro, pesanti carenze di personale che "confermano una fragilità - è il monito - che potrebbe determinare in futuro costi sociali elevati" e presa d'atto da parte degli italiani della "fine delle promesse" in sanità. Che si traduce in conclamata rassegnazione davanti a una ormai fittizia universalità del Ssn: tanto che il 79,1% degli italiani si dichiara molto preoccupato per il funzionamento del Servizio sanitario nel prossimo futuro e il 71% degli intervistati in caso di urgenze si dichiara disposto a pagare di tasca propria. Elementi di consapevolezza che sembrano in parziale controtendenza con quello stato di "sonnambulismo diffuso" fotografato nel complesso da quest'ultimo Rapporto Censis, secondo cui la società italiana sarebbe "precipitata in un sonno profondo del calcolo raziocinante che servirebbe per affrontare dinamiche strutturali, di lungo periodo, dagli effetti potenzialmente funesti". Invecchiamento galoppante, denatalità e quasi 8 milioni di persone in età attiva in meno nel 2050, hanno come effetto una tenuta del sistema di welfare che "desta preoccupazioni": sempre nel 2050 la spesa sanitaria pubblica sarebbe pari a 177 miliardi di euro, a fronte dei 131 miliardi di oggi. "Dinanzi ai cupi presagi - si legge nel Rapporto - il dibattito pubblico ristagna e la bonaccia di qualche indicatore congiunturale non è in grado di gonfiare le vele per prendere il largo. Il sonnambulismo come cifra delle reazioni collettive dinanzi ai presagi non è solo attribuibile alle classi dirigenti, ma è un fenomeno diffuso nella "maggioranza silenziosa" degli italiani". Che come conseguenza si danno alle "credenze fideistiche", immobilizzati da paure come la guerra e la perdita del lavoro, e fanno prevalere nel 62,1% il desiderio quotidiano di momenti da dedicare a sé stessi per combattere l’ansia e lo stress. Mentre un "plebiscitario 94,7%" considera centrale la felicità delle piccole cose di ogni giorno, come appunto il tempo libero, gli hobby, le passioni personali. Rispetto al passato, l’81,0% degli italiani dedica molta più attenzione alla gestione dello stress e alla cura delle relazioni, perni del benessere psicofisico personale.

Il CAPITOLO "IL SISTEMA DI WELFARE"

La priorità del rilancio del Servizio sanitario italiano. Tra il 2012 e il 2019 la spesa sanitaria pubblica in rapporto al Pil è passata dal 6,7% al 6,4%, nel 2020 del Covid è salita al 7,4% e poi è scesa di nuovo al 6,7% nel 2022. Dal confronto internazionale emerge che nel periodo 2012-2019 in Italia la spesa sanitaria pubblica ha registrato un -0,4%, in Francia un +15,0%, in Germania un +16,4% e in Spagna un +7,7%. Negli anni 2019-2021, per effetto della pandemia, in Italia si è registrato un +6,7%, in Francia un +8,8%, in Germania un +16,6% e in Spagna un +13,5%. Secondo la Nadef, nei prossimi anni la spesa sanitaria pubblica italiana in rapporto al Pil diminuirà fino al 6,1% nel 2026. Insomma, risorse pubbliche per il Servizio sanitario nazionale declinanti nel tempo e strutturalmente inferiori a quelle di Paesi simili al nostro. Un altro fronte critico è lo shortage del personale sanitario. Il tasso di turnover (il rapporto tra assunti e cessati in un anno) è pari a 90 per i medici e a 95 per gli infermieri. Data la elevata età media, si stima che tra il 2022 e il 2027 andranno in pensione 29.000 medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale e 21.000 infermieri. Sono numeri che confermano una fragilità che potrebbe determinare in futuro costi sociali elevati.
Gli effetti delle promesse tradite in sanità. Nell’anno trascorso il rapporto degli italiani con la sanità è stato segnato dalla presa d’atto della fine delle promesse. Per il 75,8% è diventato più difficile accedere alle prestazioni sanitarie nella propria regione a causa di liste di attesa sempre più lunghe. Il 71% dichiara che in caso di visite specialistiche necessarie o accertamenti sanitari urgenti è pronto a rivolgersi a strutture private pagando di tasca propria (al Sud la percentuale sale al 77,3%). A causa delle promesse mancate, il 79,1% degli italiani si dichiara molto preoccupato per il funzionamento del Servizio sanitario nel prossimo futuro, esprimendo il timore di non accedere a cure tempestive e appropriate in caso di malattia. L’esperienza delle difficoltà di accesso alla sanità radica nella coscienza collettiva l’idea che l’universalismo formale in realtà nasconda disparità reali, che ampliano le disuguaglianze sociali. L’89,7% si dice convinto che le persone benestanti hanno la possibilità di curarsi prima e meglio di quelle meno abbienti.
I volti del welfare aziendale. Tra i lavoratori persiste una certa confusione sul significato del welfare aziendale. Solo il 19,8% dichiara di sapere bene cosa sia, il 45,1% lo conosce a grandi linee e il 35,1% non ne sa nulla. Sono i numeri del gap esistente tra lo spazio effettivamente conquistato dagli strumenti del welfare aziendale nelle scelte normative e nella contrattazione aziendale e il suo riconoscimento diretto e compiuto da parte dei lavoratori. Per le imprese il welfare aziendale è diventato una delle leve con cui attirare e trattenere lavoratori, e per stimolarne l’engagement offrendo dispositivi che, oltre a integrare il reddito, alleviano difficoltà della vita quotidiana dei lavoratori, a cominciare da una migliore conciliazione tra i tempi della vita privata e quelli del lavoro. Oggi l’81,3% dei lavoratori valuta positivamente lo smart working proprio perché consente una migliore conciliazione tra famiglia e lavoro.
L’inclusione digitale. L’88,7% degli italiani considera la connettività a internet un diritto dei cittadini al pari della tutela della salute o della previdenza. L’80,8% è convinto che l’accesso al web dovrebbe essere gratuito (solo il 19,2% è contrario. Ne sono particolarmente convinti i giovani (84,5%). Secondo il 46,2% degli italiani il riconoscimento della connessione come un diritto, addirittura da garantire gratuitamente a tutti, andrebbe finanziato con un’adeguata compartecipazione economica da parte dei grandi generatori di traffico sulla rete, come Google e Meta, mentre per il 34,6% bisognerebbe attingere alla fiscalità generale. Il 10,9% è invece contrario al ricorso al fisco e per l’8,3% ciascun utente dovrebbe pagarsi per intero la propria connessione. Il 67,6% degli italiani sostiene che, se le nuove tecnologie saranno facili da usare per tutti, potranno dare un grande contributo alla riduzione delle disuguaglianze sociali. L’85,8% reputa importante che sia diffusa un’informazione scientifica di facile comprensione per tutti sugli effetti delle nuove tecnologie.
Il ruolo del risparmio per i pensionati. Le pensioni non esauriscono l’economia della longevità. Il 65,3% degli anziani ritiene che la pensione percepita da sola non sia in grado di garantire il benessere nella terza e quarta età. L’84,6% dei longevi ritiene che per garantirsi una vecchiaia serena sia fondamentale investire i propri risparmi. Oggi il 41,0% degli anziani risparmia regolarmente e il 28,0% di tanto in tanto. Del resto, gli anziani spesso continuano a garantire un supporto economico a favore dei familiari più giovani, figli e nipoti. Nell’ultimo anno lo ha fatto il 42,0% degli anziani. Spesso le risorse degli anziani, in particolare dei pensionati, sono il polmone finanziario a tutela della rete familiare.

IL FOCUS SUGLI ANZIANI
Gli anziani rappresentano una quota sempre più rilevante della popolazione italiana, in ragione dell’aumento dell’aspettativa di vita che caratterizza il Paese ormai da anni – arrivata nel 2022, dopo la momentanea battuta d’arresto legata alla pandemia, a 84,8 anni per le donne e a 80,5 anni per gli uomini – e a causa della bassa natalità. Le persone con 65 anni e oltre (più di 14 milioni) rappresentano oggi il 24,1% della popolazione complessiva e sono in costante aumento: secondo lo scenario mediano delle proiezioni demografiche, nel 2050 saranno 4,6 milioni in più rispetto a oggi e peseranno per il 34,5% della popolazione totale. Mentre solo un terzo degli anziani di oggi pensa che sul piano economico stia vivendo una condizione peggiore di quella dei propri genitori, la consapevolezza di una vecchiaia più problematica viene richiamata dal 75,4% dei rispondenti più giovani (dai 18 ai 34 anni). È facile prevedere che gli anziani di domani saranno più soli: saranno sempre di più anziani senza figli. Il numero delle famiglie aumenterà proprio perché saranno di dimensioni più piccole: il numero medio dei componenti delle famiglie scenderà dai 2,31 del 2023 ai 2,15 nel 2040. Le coppie con figli diminuiranno fino a rappresentare nel 2040 solo il 25,8%.
Aumenteranno le famiglie unipersonali fino a 9,7 milioni (il 37,0%). Tra di esse, quelle costituite da anziani nel 2040 diventeranno quasi il 60% (5,6 milioni). Gli anziani che vivono da soli saranno in prevalenza donne: se oggi, tra le donne che vivono da sole, il 63,6% ha più di 64 anni, nel 2040 si arriverà al 71,7%, contro il 40,4% di uomini anziani sul totale degli uomini soli.
Le difficoltà legate a una mancata o insufficiente risposta ai bisogni assistenziali, o dipendenti dalla carenza di relazioni sociali, potrebbero risultare perciò più rilevanti per la popolazione degli anziani di domani, che vivranno da soli in misura maggiore di oggi.
Inoltre, erano 1,9 milioni gli anziani con gravi limitazioni funzionali nel 2021: il 13,7% del totale degli anziani e il 63,1% del totale delle persone con limitazioni in Italia. Si tratta di un dato in diminuzione, visto che nel 2012 erano pari, rispettivamente, al 15,7% e al 64,1%. Ma le stime per il 2040 mettono in luce che una quota non indifferente (pari al 10,3%) continuerà ad avere problemi di disabilità legati a tali limitazioni, e aumenterà il loro peso sul totale (67,2%). Rimane quindi sul tappeto il tema ineludibile del bisogno assistenziale legato agli effetti epidemiologici dell’invecchiamento, con il peso delle malattie cronico-degenerative, aggravato, ancora una volta, dall’impatto delle dinamiche demografiche.


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