Aziende e regioni

Ddl Concorrenza e scelta dei primari, attenti a non peggiorare le cose nel nome di una teorica "trasparenza"

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

La settimana scorsa si era parlato su questo sito del Ddl "Concorrenza" approvato dal Consiglio dei ministri, relativamente agli interventi sulla sanità. In particolare avevo esaminato l’art. 18 del testo soprattutto dal punto di vista formale, sottolineando l’incredibile errore dell’aver sostituito il comma 7-bis dell’art. 15 citando solo i dirigenti medici e non le altre professioni sanitarie. A prescindere da come finirà la questione in aula, oggi può essere interessante analizzare a freddo i contenuti di merito perché anche in termini sostanziali sulla norma c’è parecchio da segnalare. Si diceva che lo scopo dichiarato della norma è quello di conferire maggiore trasparenza alle selezioni riguardanti i primari mediante due interventi: una maggiore esternalizzazione della commissione per allontanare i componenti dalle prevedibili pressioni ambientali e partitiche nell’ambito regionale e quella di eliminare del tutto la discrezionalità del Direttore generale che sarà obbligato a nominare il candidato con il maggior punteggio. Lodevoli intenzioni, ma forse lontane dalla realtà e si rischia che la toppa sia peggio del buco. Forse i decisori politici non si rendono conto cosa voglia dire nella pratica quotidiana organizzativa di una azienda sanitaria - ad esempio - del centro Italia gestire una commissione in cui è presente un primario che viene da Novara e uno da Lecce: solo per stilare l’agenda delle riunioni l’impresa è già ardua.
Queste selezioni non sono concorsi pubblici tout court – altrimenti non si capisce perché siano disciplinate diversamente dagli altri “normali” concorsi dirigenziali – ma tendono a individuare il soggetto più adatto per l’incarico tanto è vero che nei bandi deve essere ampiamente descritto il fabbisogno soggettivo e quello oggettivo dell’incarico da ricoprire. Questo è un punto fondamentale da capire perché altrimenti, abbagliati dalla cieca lotta contro i favoritismi e la politicizzazione delle selezioni, si corre il rischio di non portare alcun beneficio al sistema, anzi probabilmente di peggiorarlo. La particolare selezione introdotta nel 2012 dal Ministro Balduzzi non tende a individuare il candidato “migliore” – inteso come quello con più titoli e più bravo professionalmente – bensì quello più adatto per lo specifico incarico. A tale riguardo anche la giurisprudenza ha precisato che la scelta di carattere fiduciario si identifica con la ricerca non del migliore in assoluto, ma del migliore anche in relazione alle attitudini necessarie per gestire, organizzare e dirigere il lavoro che afferisce all'incarico da ricoprire. In proposito, in relazione alle selezioni per direttori di struttura complessa, la Corte di Cassazione, sez. lav., con la sentenza del 26.3.2014, n. 7107 ha affermato che in una procedura di conferimento di incarichi non esiste l’obbligo di motivazione comparativa tra i diversi aspiranti e l’eventuale inosservanza dei canoni di correttezza e buona fede, se può giustificare una pretesa risarcitoria da parte dei candidati non prescelti, non può portare all’annullamento dell’atto. E, da parte sua, lo stesso Giudice amministrativo ha chiarito che la selezione per la direzione di SC è procedura idoneativa e non concorsuale e non rientra nella competenza del Giudice amministrativo (TAR Campania, Napoli, sez. V, sentenza n. 113 del 8.1.2018) e che rientra nella competenza del Giudice ordinario decidere in merito all’affidamento di una struttura complessa anche se le modalità di espletamento sono analoghe a quelle di un concorso pubblico (TAR Basilicata, sez. I, sentenza n. 697 del 7.11.2017). Credo che un esempio possa essere utile per comprendere come sono cambiate le esigenze aziendali nel 1999. Una azienda sanitaria locale di una provincia di media grandezza doveva conferire l’incarico di direttore di struttura complessa di Ostetricia e ginecologia a seguito del pensionamento del precedente primario. L’obiettivo prioritario dell’azienda era rilanciare l’ostetricia di base perché un terzo delle donne residenti partoriva fuori provincia e questo dato assistenziale era inaccettabile. La selezione si svolse con le regole pre Balduzzi e vinse un professore associato proveniente da una Azienda ospedaliero universitaria con un formidabile curriculum di ginecologia oncologica. Quale fu la conseguenza ? Che la Asl non risolse affatto i problemi organizzativi e assistenziali dell’ostetricia ma aveva acquisito un polo di eccellenza chirurgico forse sproporzionato rispetto al bisogno di salute espresso dalle cittadine residenti. Questa vicenda è stata vissuta personalmente da chi scrive e risale al 2003 cioè ben prima delle innovazioni della legge 189/2012 che, se in vigore, avrebbe probabilmente consentito che la selezione avesse un esito diverso. Ma se si interviene sulle norme legislative in modo pregiudiziale cambiando tutto a causa delle patologie delle procedure attuative – che è indiscusso che esistano – si corre il pericolo di non risolvere i problemi e forse di complicare le cose.
Ora, se il Parlamento intende ribaltare completamente questi principi, si corre il rischio che vengano nominati candidati dal curriculum ineccepibile e con qualità professionali spiccate ma inadatti al contesto aziendale e al fabbisogno oggettivo espresso nel bando. Ulteriore rischio è quello che si passerebbe dalla “padella” della discrezionalità della Commissione e del Direttore generale alla “brace” del potere delle Società scientifiche che orienterebbero la mappatura dei primari in tutta Italia; mancherebbe, a quel punto, soltanto il ritorno del cattedratico nella commissione, come era previsto fino a venticinque anni fa. L’importante è sapere cosa si vuole e una volta che questo intendimento sia chiaro, occorre stilare una norma chiara e funzionale, perché quella contenuta nell’art. 18 non lo è. Prendiamo ad esempio la figura del Direttore sanitario: cosa fa nella Commissione e che ruolo ha nella definizione dei punteggi ? Nessuno, perché se la graduatoria si basa sulle specifiche qualità professionali l’attribuzione dei punteggi è tutta in mano ai tre specialisti, considerato anche che a parità di voti prevale quello del Presidente che, come noto, non è mai per legge il Direttore sanitario. Ma sul ruolo del Direttore sanitario è forse necessario ricordare quello che successe nel settembre 2012. Nel decreto legge 158 del 13 settembre 2012 la norma inizialmente non prevedeva assolutamente la presenza del direttore sanitario perché evidentemente lo sforzo di perseguire trasparenza e imparzialità – già allora ! – aveva trovato il suo capro espiatorio nella figura più a rischio dato che il suo incarico di direttore coadiuvante è fondato su di un forte rapporto fiduciario. Non va tuttavia dimenticato che per legge il Direttore sanitario “dirige i servizi sanitari ai fini organizzativi ed igienico-sanitari” e sarebbe stato singolare tenerlo fuori dalla scelta dei dirigenti apicali.
In sede di conversione del decreto, la legge 189 ha corretto il tiro reinserendo il Direttore sanitario nella Commissione ma negandogli il ruolo di Presidente (precedentemente ricoperto ratione officii) con il risultato di avere un improbabile collegio formato da quattro soggetti e svuotando le competenze del Direttore stesso; tra l’altro quest’ultimo è l’unico per il quale non è previsto un supplente per cui un qualsiasi motivo di impedimento (o di incompatibilità) rende di fatto improcedibile la selezione.
Alcune Regioni nelle proprie linee guida hanno previsto un paragrafo titolato proprio “Ruolo del Direttore sanitario”, allo scopo di dare un senso alla sua presenza e di consentire al Direttore generale di valutare quanto la terna degli idonei fosse coerente con i fabbisogni espressi nel bando. Nella delibera di Giunta regionale dell’Emilia-Romagna n. 312 del 25.3.2013, ad esempio, si legge nel paragrafo 3.3.2 che il direttore sanitario “svolge la funzione di garanzia del rispetto degli indirizzi organizzativo professionali espressi dal Direttore Generale con il supporto degli organismi aziendali competenti, vigilando affinché i criteri e le scelte espressi dalla Commissione, ai fini delle operazioni di valutazione, siano coerenti con le predefinite esigenze aziendali”. Analoga prescrizione risulta presente nelle direttive di Sardegna, Lazio, Puglia.
Come si può uscire da questa impasse? Bisogna vedere quale sarà la volontà del Parlamento: se si vuole riportare il conferimento dell’incarico a una vera procedura concorsuale, tanto varrebbe farlo integralmente e tornare al passato con un concorso per titoli ed esami; ma se questo non è ciò che realmente – e verosimilmente - si vuole, allora il comma 7-bis delineato dal Dsl “Concorrenza” non può funzionare. Un possibile miglioramento potrebbe senz’altro essere quello di inserire direttamente nella norma le previsioni di cui sopra riferite al Direttore sanitario, oltre ad alcune prescrizioni riguardo all’obbligatorietà dell’incarico per i primari sorteggiati e al diritto allo specifico compenso. Ovviamente do per scontato che il comma 7-bis deve tornare e riferirsi a tutta la dirigenza sanitaria, includendovi anche i dirigenti delle professioni infermieristiche e tecnico sanitarie. Se così non fosse, sarà oltremodo interessante verificare nelle quattro relazioni di accompagnamento al disegno di legge (relazione illustrativa, relazione tecnica, relazione tecnico-normativa, analisi di impatto della regolamentazione - AIR) come sarà giustificato il più volte segnalato disallinemento della normativa emendata.


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