Sentenze

La battuta d’arresto sull’autonomia differenziata e gli scenari aperti dalle «sorprese» di Consulta e Cassazione

di Ettore Jorio

S
24 Esclusivo per Sanità24

Il binomio sentenza della Consulta 3 dicembre 2024, n. 192 e ordinanza dell’Ufficio centrale per referendum della Cassazione del 12 dicembre successivo – puranche in attesa del giudizio della Corte costituzionale sull’ammissibilità del referendum da esprimersi entro il 20 gennaio 2025 - inducono molto a riflettere. Non solo per la loro consistenza, rispettivamente, di 109 e 41 pagine, bensì per i contenuti che recano, alcuni dei quali sorprendenti.
Il dictum della Consulta
Della sentenza del Tribunale delle leggi - al di là del ricorso trentatré congiunzioni avversative (15 “però, 10 tuttavia e otto in ogni caso) esordienti, in siffatte dimensioni quantitative, nei dicta della Consulta - si rende necessaria una approfondita lettura e una accorta interpretazione. Ciò soprattutto in relazione alla novità introdotta nella definizione dei Lep, per i quali introduce la loro determinazione parlamentarizzata, così come per la valorizzazione dei costi standard e dei fabbisogni standard. Con questo è venuta fuori una sorpresa consistente nella inidoneità della definizione dei Lep attraverso Dpcm, seppur poi corretto in decreto legislativo. Con questo, la Consulta ha contraddetto il proprio giudizio positivo - espresso in passato sulla idoneità a definire i Lea con i Dpcm del 29 novembre 2001 e del 12 gennaio 2017 – trasformandolo in negativo. Ciò in difformità con quanto consacrato nelle sentenze nnr. 282, 407 e 510/2002 e 88/2003, che ebbero a ritenerli fonti normative corrette a determinare le prestazioni essenziali della salute. Del resto, al fine di incidere direttamente nella percezione dei livelli essenziali di assistenza sociosanitaria, si è ricorso a addirittura a due decreti ministeriali della salute, i Dd. Mm. 70/2015 e 77/2023. Entrambi adottati per costruire le colonne portanti dei Lea riferiti all’assistenza ospedaliera e di quella territoriale, recanti rispettivamente la definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera e la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale.
Ben comprendendo l’attenzione della Consulta alla definizione ampiamente partecipata dei Lep, quale spessore di esigibilità dei diritti civili e sociali da garantire in favore di tutta la Nazione e di tutto il territorio nazionale, sarebbe ingeneroso condividere un siffatto percorso nei confronti nel rispetto delle mutevoli esigenze salutari della collettività. Soprattutto, a seguito della triste e drammatica vicenda vissuta nella pandemia da Covid.
La definizione dei Lea, quale strumento erogativo di una buona assistenza standardizzata, rappresenta un onere istituzionale dello Stato soggetto a variazioni continue, tenendo conto dei cambiamenti repentini dei fabbisogni epidemiologici in atto e dei rischi epidemici. Una peculiarità che differisce i Lea nella macrocategoria dei Lep che, nella loro residualità, ben si sposano con la definizione da definire in Parlamento. I Lea hanno bisogno di aggiornamenti continui, specie in considerazione delle dimensioni quali-quantitative che incideranno dall’ingresso a regime della intelligenza artificiale. Per cui, dalle pretese recate dalla Consulta al riguardo, occorrerà ricorrere, alla bisogna, alla loro determinazione aggiornata attraverso decreti legge da convertire dal Parlamento entro i sessanta giorni successivi.
Il decisum della Cassazione
L’ordinanza della Cassazione, depositata il 12 dicembre scorso, abilita la celebrazione del referendum, ritenendo che la parte della legge 86/2024, cancellata dalla sentenza 192/2024 della Consulta, lascia integra l’esigenza di sottoporre al voto popolare il quesito referendario dell’abrogazione complessiva della anzidetta legge. Su una tale considerazione c’è da esprimere una qualche perplessità. Ciò, comunque, in attesa che la Corte costituzionale si pronunci sull’ammissibilità del referendum entro il 20 gennaio 2025, che in tanti presumono inverosimile.
Ebbene sì, al di là della giustezza o meno delle tesi difensive espresse dalle Regioni ricorrenti, ampiamente riprese espressamente nella composizione del giudizio favorevole dell’Ufficio centrale per referendum della Cassazione, ancorché non ritenute degne di accoglimento dalla Consulta, lo stesso è sembrato voler giocare a fare la Corte costituzionale. Infatti, piuttosto che limitarsi a valutare la sufficienza o meno di ciò che è rimasto in piedi della legge “Calderoli”, per affrontare il peso e i costi del referendum popolare da quorum quasi impossibile, è andato ben oltre. Quasi a volere riportare a giudizio, accogliendole, alcune ragioni proposte dalle Regioni ricorrenti, tali da giustificare l’attualità del quesito referendario. Un chiaro esercizio di supervisor della Consulta che la Costituzione non concepisce.
Lo fa senza rendersi (forse) conto che molte delle condivisioni contenute nelle ultime pagine, esattamente dalla 32 in poi, delle istanze regionali esulavano dalla sua competenza specifica.
Un tentativo di fare emergere che nella sentenza della Corte costituzionale ci sia qualcosa di stonato?


© RIPRODUZIONE RISERVATA