Sentenze

Cassazione, il chirurgo risponde del mancato monitoraggio post operatorio

di Pietro Verna

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24 Esclusivo per Sanità24

La posizione di garanzia del capo dell’équipe chirurgica non è limitata all’ambito strettamente operatorio, ma si estende al contesto post operatorio, giacché il momento immediatamente successivo all’atto chirurgico non è avulso dall’intervento operatorio. Lo ha stabilito la Cassazione (sentenza n. 13375/2024 ) che ha respinto il ricorso contro la pronuncia della Corte di appello di Salerno, che aveva confermato la sentenza resa dal locale Tribunale nei confronti di un ginecologo, ritenuto responsabile del reato di omicidio colposo di una puerpera (alla quinta gravidanza), deceduta presso un ospedale di Salerno a seguito di una emorragia da atonia uterina.
La sentenza della Cassazione
I giudici di merito avevano contestato al medico la gestione e il monitoraggio della fase iniziale del puerperio, ovvero di non avere accuratamente monitorato le condizioni cliniche della paziente (pressione arteriosa, frequenza cardiaca, contrazione dell’utero, livelli di emoglobina nel sangue) che avrebbero consentito una precoce diagnosi dell’atonia uterina e dell’emorragia post partum e, in tal modo, impedito la progressione infausta della patologia. Mentre i difensori del medico avevano sostenuto che quest’ultimo, dopo aver eseguito il monitoraggio post operatorio, aveva affidato la paziente al ginecologo di turno, dimodoché il Tribunale e la Corte di appello avrebbero dovuto applicare il principio dell’affidamento per cui risponde dell’errore o dell’omissione solo colui che abbia in quel momento la direzione dell’intervento o che abbia commesso un errore riferibile alla sua specifica competenza medica, “non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui” (Cass. Sez. IV, sentenza n. 306206 del 2019).
Tesi che non ha colto nel segno. La Suprema Corte ha ribadito l’orientamento secondo il quale il chirurgo ha un obbligo di sorveglianza sulla salute del soggetto operato anche nella fase post-operatoria (ex multis, Cass. Sez. IV, sentenza n. 12275 del 2005 che ha riconosciuto la responsabilità per il reato di omicidio colposo dei componenti l’équipe chirurgica, colpevoli di aver fatto rientrare il paziente nel reparto dopo l’intervento, anziché sottoporlo a terapia intensiva, sottovalutando elementi significativi, quali l’incremento progressivo della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca, che rendevano prevedibile una insufficienza respiratoria). Ciò – prosegue la Cassazione- in considerazione del fatto che le consulenze tecniche ( anche difensive), richiamate dai giudici di merito, hanno invero evidenziato come la fase del post partum debba essere oggetto di attento monitoraggio da parte del personale sanitario, “essendo tale attività di controllo precipuamente volta a rilevare, con tempestività, proprio i sintomi dell’emorragia post partum […] responsabile del 30% di tutte le cause di morte materna”.


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