Sentenze

Sentenza Pma: per la Consulta è «irragionevole» il divieto per le coppie fertili malate. I ricorrenti: «Ora aggiornare le linee guida»

di Filomena Gallo, Gianni Baldini, Angioletto Calandrini (Collegio Legale coppie ricorrenti e associazioni intervenute)

La Corte Costituzionale con il deposito delle motivazione accoglie in toto le ragioni dei ricorrenti e riconduce a piena coerenza e unitarietà il sistema.

Il fatto
Maria Cristina e Armando (leggi la loro storia) , Valentina e Fabrizio (link alla loro storia ), due coppie fertili portatrici di patologie genetiche diverse, dopo aver provato ad avere una gravidanza e essere dovuti ricorrere all'interruzione di gravidanza, hanno chiesto di poter accedere alla fecondazione medicalmente assistita per poter conoscere lo stato di salute dell'embrione prima del trasferimento in utero come previsto dagli articoli 14, comma 5, 6 e 13 della legge 40/04 che da questa possibilità alle solo coppie infertili o sterili o alle coppie dove l'uomo è portatore di patologie virali. In virtù della legge 40, alle due coppie di coniugi, che chiedevano di essere ammesse a procedure di procreazione medicalmente assistita con diagnosi preimpianto, al fine di evitare il rischio di trasmettere ai rispettivi figli una patologia genetica, fu negato l'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita dall' Azienda USL Roma A e dal Centro per la Tutela della Salute della Donna e del Bambino S. Anna. Le coppie pertanto si rivolgevano al Tribunale ordinario di Roma che, con due ordinanze di identico contenuto motivazionale, sollevava dubbio di legittimità costituzionale. In entrambi i giudizi in Corte Costituzionale si sono costituiti i coniugi ricorrenti e le associazioni “Luca Coscioni, per la libertà della ricerca scientifica”, “Amica Cicogna Onlus”, “Cerco un Bimbo” e “L'altra Cicogna”, intervenienti nei procedimenti a quibus, per sostenere la fondatezza delle questioni sollevate dal Tribunale rimettente.

La sentenza
Il deposito delle motivazioni conferma in pieno il dispositivo dello scorso 14 maggio: la Consulta ha fatto una scelta che riconduce a piena coerenza e unitarietà il sistema raccordando legge 40/2004 con legge 194/1978. La questione del diritto delle coppie fertili ma portatrici di patologia genetica trasmissibile cui era precluso l'accesso alla PMA e alla diagnosi genetica di pre-impianto viene risolta uniformando i diritti di queste coppie con quelli delle coppie che ricorrono all'interruzione volontaria della gravidanza dopo il 3° mese. Dunque viene confermata la gerarchia dei diritti fondamentali della persona che vede al vertice la tutela del diritto alla salute della donna (e della coppia), il diritto di procreare e costituire una famiglia come scelta privata che non ammette ingerenze del legislatore e viene censurata l'irragionevolezza e l'illogicità della previsione che non consentiva a queste coppie di accedere alla PMA e alla PGD salvo poi riconoscere il diritto, alle medesime condizioni, di ricorrere alle comuni diagnosi pre-natali (amniocentesi) e all'aborto.

Cosa accade da oggi
Appena la sentenza sarà pubblicata nella Gazzetta Ufficiale le coppie fertili affette o portatrici di malattia genetica potranno accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita per poter accedere a indagini cliniche diagnostiche sull'embrione. Per accedere, un medico dovrà certificare che quella coppia è portatrice o affetta da patologia genetica: questo per esigenza di cautela «al fine esclusivo della previa individuazione di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del nascituro, alla stregua del medesimo “criterio normativo di gravità” già stabilito dall'art. 6, comma 1, lettera b), della legge n. 194 del 1978».

«Divieto irragionevole»
La parole dei giudici su questo sono chiare: «Sussiste, in primo luogo, un insuperabile aspetto di irragionevolezza dell'indiscriminato divieto […]Vale a dire che il sistema normativo, cui danno luogo le disposizioni censurate, non consente (pur essendo scientificamente possibile) di far acquisire “prima” alla donna una informazione che le permetterebbe di evitare di assumere “dopo” una decisione ben più pregiudizievole per la sua salute».
È importante ribadire che a seguito di questa sentenza della Corte Costituzionale non si profila nessun vuoto normativo: non occorre che il Parlamento o il Governo dispongano l'avvio della tecnica sino ad ora vietata solo a chi non aveva i requisiti per l'accesso alla Pma. L'intervento del legislatore invece potrebbe ampliare ulteriormente il diritto alla salute in base all'aggiornamento delle patologie (anche rare), che nel tempo si identificheranno, per le quali è possibile accedere alla PMA. I giudici della Corte scrivono infatti che sarà compito del legislatore: «introdurre apposite disposizioni al fine della auspicabile individuazione (anche periodica, sulla base della evoluzione tecnico-scientifica) delle patologie che possano giustificare l'accesso alla PMA di coppie fertili».
Un atto doveroso sarebbe quello adesso di aggiornare le Linee guida, come quello di applicare pienamente tutte le tecniche nel pubblico come nel privato eliminando il discrimine legato al fattore economico.


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