Medicina e ricerca
Fine vita: necessarie terapie condivise, cure palliative precoci e formazione dei sanitari
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Ricerca sulla pianificazione condivisa delle cure, investimento sulle cure palliative precoci e ulteriore formazione ai professionisti sanitari. Sono le proposte uscite dalla tavola rotonda sul tema del fine-vita organizzata a Reggio Emilia nell’ambito del Congresso internazionale di oncologia e ricerca traslazionale. L’appuntamento, arrivato ormai alla sua nona edizione, vede la responsabilità scientifica del dottor Carmine Pinto, direttore della Struttura Complessa di Oncologia medica dell’Irccs-Ausl di Reggio Emilia. Il quale quest’anno ha voluto concludere la due-giorni di confronto alla delicata questione di quando le cure, anche le più innovative e avanzate, non sono più sufficienti.
Il tema delle scelte sul fine vita ha ricevuto precise indicazioni dalla legge 219 del 22 dicembre 2017. A scriverla ha contribuito la dottoressa Donata Lenzi, giurista, già deputato della Repubblica, che della legge è stata anche relatrice in Parlamento. “La legge – ha specificato Lenzi - sancisce l’autodeterminazione del paziente nel ricevere un trattamento sanitario, in applicazione dell’articolo 32 della Costituzione, secondo cui nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se non per disposizioni di legge”.
La normativa intende fare chiarezza su un elemento di forte conflitto a livello di società. Una delle parti di questo “conflitto” sosteneva che “nutrizione e idratazione (anche quando prescritte da un medico) non fossero trattamenti sanitari”. La 219 ha invece sancito e reso esplicito che nutrizione e idratazione, prescritte da medici e somministrate attraverso dispositivi medici, sono a tutti gli effetti trattamenti sanitari – e lo ha fatto richiamando tra le altre cose l’articolo 13 della Costituzione che dichiara “inviolabile” la libertà personale.Ha proseguito Lenzi: “Va precisato che la legge 219 non affronta la questione di suicidio medicalmente assistito e/o eutanasia come modi di mettere rapidamente fine alla vita - questione affrontata invece dalla Corte Costituzionale. Al contrario, il suo senso sta nella libertà di scegliere le terapie lungo tutto l’arco della vita. Una sorta di consenso informato più ampio, che arriva fino alla fine della vita nell’ottica di ridurne la sofferenza”.
La Corte Costituzionale si è infatti espressa in merito con un’ordinanza e due sentenze.
L’ordinanza 207 del 2018 invitava il legislatore a provvedere sul suicidio e reputava «doveroso» consentire al Parlamento ogni opportuna riflessione e iniziativa, «in uno spirito di leale e dialettica collaborazione istituzionale».
Nella sentenza del 22 novembre 2019, la Corte dichiarava costituzionalmente illegittimo l’articolo del codice penale che “non escludeva la non punibilità di chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”.
In una seconda recente sentenza, il 18 luglio 2024, la Corte ribadiva i requisiti e precisava il significato di uno di questi: “dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale”, includendovi anche, oltre all’idratazione e alla nutrizione, procedure quali evacuazione manuale, inserimento di cateteri e aspirazione del muco dalle vie bronchiali.
Inoltre, dichiarava che non vi può essere distinzione tra la situazione del paziente già sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, di cui può chiedere l’interruzione, e quella del paziente che non vi è ancora sottoposto, ma ha ormai necessità di tali trattamenti per sostenere le sue funzioni vitali.
Nel frattempo, si tentò anche la strada delle delibere regionali, a cui comunque non viene riconosciuta competenza giuridica sul tema.
La Regione Veneto fu la prima a partire (gennaio 2024), ma la delibera non passò per un voto contrario. Nel complesso circa una decina di regioni recepirono l’ordinanza della Corte.L’Emilia-Romagna è stata la regione che ha definito un percorso, istituendo, con atto della Giunta regionale (5 febbraio 2024) il Comitato regionale per l’etica nella clinica (Corec), di fatto “regionalizzando” il già esistente Comitato di etica clinica di Reggio Emilia IRCCS, e garantendo così un’uniformità di giudizio su tutto il territorio regionale.
A presiedere il Corec è la dottoressa Ludovica De Panfilis, secondo cui “le prospettive future su questi temi devono implicare in primis la ricerca sulla pianificazione condivisa delle cure; poi un investimento sulle cure palliative precoci come attenzione alla complessità delle patologie oncologiche; infine, un’adeguata formazione ai professionisti sanitari che equivalga ad una informazione corretta ai cittadini”.
A tal proposito il dottor Francesco Perrone, Direttore della Struttura Complessa Sperimentazioni Cliniche dell’Istituto Tumori Pascale di Napoli, presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom), ha proposto nel 2025 “un evento nazionale in cui trattare nuovamente in modo ampio e diffuso del fine-vita”.Per il dottor Luigi Cavanna, a lungo Direttore dell’Oncoematologia di Piacenza, past president del Collegio italiano primari di oncologia medica (Cipomo) e attualmente nel suo direttivo, che durante il Covid ha portato l’oncologia in maniera diffusa sul territorio, ha sostenuto come “questo tipo di assistenza risponda ai nuovi bisogni di una società in cui le malattie croniche sono sempre più diffuse”.
Per Francesco De Lorenzo, presidente della Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (Favo), sarebbe necessario diffondere ulteriormente con la comunicazione questi temi, nell’idea che “il tempo della comunicazione è sempre e comunque tempo di cura”.
E se il domiciliare è un grosso pezzo del presente, un altro pezzo è l’accoglienza uniforme dell’idea e della pratica delle cure palliative precoci in oncologia, che sono state portate avanti con grande forza dalla dottoressa Vittorina Zagonel, a lungo direttore dell’Unità operativa complessa di Oncologia Medica 1, nonché direttore del Dipartimento di Oncologia Clinica e Sperimentale dell’Istituto Oncologico Veneto di Padova. “L’uniformità dell’accesso alle cure palliative deve essere una priorità. A servizio di questo devono essere la disponibilità di un team multidisciplinare e un approccio complesso alla tematica”.
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