Medicina e ricerca
Giovani e social, la sfida è veicolare modelli socioculturali adeguati
di Simone Digennaro *
24 Esclusivo per Sanità24
L’appello sostenuto da diversi pedagogisti, educatori e rappresentanti della cultura a sostegno di proposte di legge che portino al divieto di utilizzo degli smartphone per gli under 14 e dei social media per gli under 16, pur partendo da buoni principi, non è condivisibile. Il rischio che si corre è di fare confusione tra mezzo e contenuto. Ci sono sempre più ricerche che stanno dimostrando che un utilizzo corretto di strumenti come cellulari, social network, ecc. per fini educativi, arricchiti da messaggi e contenuti positivi, possa determinare un effetto positivo sul benessere e la salute dei giovani.
Il punto non è vietare i social media, ma capire come possano diventare un mezzo per veicolare modelli socioculturali adeguati. Occorre poi educare all’utilizzo di questi strumenti, insegnare alle nuove generazioni come gestire le enormi potenzialità offerte dalla tecnologia, affinché non diventino un problema per la loro salute.
Se penso al cellulare, sono d’accordo nello sfavorire un utilizzo precoce, il quale potrebbe interferire con la libera esplorazione e sperimentazione essenziale soprattutto nella fase dell’infanzia, oltre che sullo sviluppo emotivo e sociale. Ma immaginare di vietare lo smartphone fino ai 14 anni mi sembra una scelta anacronistica per delle generazioni, come quella Alpha, che nascono completamente digitali. Tra l’altro, non si risolverebbe neanche il problema: come i giovani sanno perfettamente, ci sono, infatti, tanti altri strumenti che possono sostituire le funzioni del cellulare come le console di gioco, i tablet, le stesse smart tv. Per raggiungere l’obiettivo che si prefigge la petizione dovremmo, di fatto, vietare ogni apparecchiatura elettronica connessa ad internet.
Da uno studio che abbiamo condotto tra quasi mille preadolescenti della generazione Alpha è emerso, come immaginabile, un ampio utilizzo della tecnologia e dei dispositivi connessi ad internet. Quasi il 98% di loro ne fa un uso quotidiano. E abbiamo notato che entro una certa soglia di utilizzo, quantificabile in un’ora e mezza al giorno, non ci sono effetti negativi su aspetti importanti per la loro salute e il loro benessere quali l’intelligenza emotiva e l’immagine corporea. Le nuove generazioni, completamente immerse nel mondo digitale, non hanno un’intelligenza emotiva inferiore alle precedenti generazioni, che hanno utilizzato di meno la tecnologia.
Le forme di dipendenza da social media, anch’esse legate all’utilizzo, colpiscono il 10% del campione, proprio in ragione di un utilizzo eccessivo. Gli effetti negativi sull’intelligenza emotiva assieme alle dismorfobie, sono l’effetto di un utilizzo distorto, e non dell’utilizzo in sé. Ancora una volta il punto non è relativo al mezzo e allo strumento in sé, ma all’uso che ne viene fatto e ai messaggi che vengono veicolati. Anche in questo caso, immaginare che si possa precludere l’utilizzo dei social media fino ai 16 anni sembra utopistico e certamente l’effetto atteso sui livelli di salute dei giovani sarebbe minimo.
Con i nostri studi cerchiamo di mettere a fuoco i problemi ma non per demonizzare la tecnologia e il mondo digitale quanto per capire in che modo possa essere possibile un suo utilizzo sano. Possiamo immaginare questi strumenti come parte di una strategia che sostiene il benessere e la salute dei giovani? La risposta per noi è sí. Dobbiamo solo capire come.
C’è poi una questione tutta interna alla scuola. Se vietiamo l’utilizzo di questi strumenti in un ambiente protetto e culturalmente stimolante come la scuola, dov’è che gli alunni possono ricevere un’istruzione e una formazione al loro utilizzo? A casa? Dove esistono differenze enormi di tipo culturale e sociale tra le famiglie? Chi insegna a questi ragazzi e ragazze a comprendere e decriptare i messaggi e le influenze della rete? Chi può orientare alunni e famiglie che incorrono in problemi di salute legati a un utilizzo distorto della tecnologia? Se mettiamo la questione fuori dal perimetro rischiamo di perdere completamente il controllo.
E allora, più che chiudere all’utilizzo, noi dobbiamo aprire. I dati raccolti ci devono fare capire come utilizzare le enormi potenzialità disponibili anche a sostegno della salute delle nuove generazioni. Accogliere lo sviluppo tecnologico in corso, comprenderlo e governarlo, non rifiutarlo. Può sembrare un atteggiamento cerchiobottista, ma credo che possa essere possibile, con strategie educative e politiche di salute pubblica mirate, portare lo sviluppo tecnologico in favore della crescita e della maturazione delle nuove generazioni, proteggendole dagli effetti negativi e dai pericoli.
* pedagogista, Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale
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