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Neuromielite ottica: le nuove opzioni terapeutiche richiedono diagnosi corrette e tempestive

di Eleonora Cocco*

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Il disturbo dello spettro della neuromielite ottica (NMOSD) è una malattia autoimmune rara e debilitante, nella quale il sistema immunitario si attiva in modo inappropriato e attacca delle componenti proprie del sistema nervoso centrale. Circa tre quarti delle persone affette da NMOSD sono positive per un anticorpo rivolto verso la proteina aquaporina-4 (AQP4) espressa su cellule dette astrociti presenti in varie parti del sistema nervoso centrale. Gli Ab anti AQP4, attivano il sistema del complemento, parte del sistema immunitario essenziale per la difesa dell’organismo, e questo danneggia di diverse parti del sistema nervoso e in particolare il nervo ottico, il midollo spinale e altre parti dell’encefalo. In Italia si stima che siano 1.500-2.000 le persone che convivono con questa patologia, prevalentemente donne - con un rapporto di 9 a 1 rispetto agli uomini – di età compresa tra i 35 e i 45 anni.

Come suggerisce il nome, la malattia si manifesta con disturbi che colpiscono il nervo ottico potendo causare disturbi visivi sino alla completa perdita della vista, e interessando anche il midollo spinale si palesa con disturbi sia sensitivi che motori, che possono portare addirittura alla perdita motilità volontaria e quindi alla paralisi.

Accanto a queste due principali manifestazioni, si possono verificare anche altri sintomi (da qui spettro) come disturbi simil-gastroenterici caratterizzati da singhiozzo, vomito e nausea, disturbi del controllo degli sfinteri, sindrome diencefalica con la possibilità di avere disturbi del sonno come la narcolessia o sonnolenza diurna, ipotermia o anche sindromi del tronco encefalico con disturbi dell’udito o anche interessamento di nervi cranici oltre che manifestazioni di vere e proprie encefaliti acute. Il decorso della malattia è caratterizzato, nella maggior parte delle persone affette da NMOSD, dalla ricorrenza di episodi acuti e la disabilità associata alla malattia è data dagli esiti di questi ultimi. È quindi proprio la ricaduta l’artefice della disabilità permanente e quindi della perdita di autonomia della persona affetta da NMOSD.

NMOSD è stata trattata sino a pochi anni fa con farmaci immunosoppressori che agiscono in maniera ampia sul sistema immunitario. Tali farmaci presentavano però delle importanti limitazioni non controllando in maniera adeguata la malattia e potendo portare importanti problematiche di sicurezza.

Fortunatamente, recentemente sono stati introdotti alcuni farmaci che agiscono in maniera più specifica sui meccanismi immunitari alla base della malattia cambiando in maniera sostanziale l’approccio terapeutico alla malattia.

In questo contesto una importante novità è che da oggi abbiamo a disposizione un ulteriore trattamento innovativo, ravulizumab, un anticorpo monoclonale a lunga durata d’azione che può ridurre il rischio di ricadute in una misura fin ora mai raggiunta. Diversamente dagli immunosoppressori utilizzati precedentemente che agiscono sui linfociti, ravulizumab agisce sulla porzione terminale C5 della cascata complemento.

Lo studio di Fase III CHAMPIONS-NMOSD, in cui è stata valutata l’efficacia e la sicurezza di ravulizumab, ha considerato 58 pazienti che hanno ricevuto il farmaco ogni 8 settimane per una durata media di 73 settimane dimostrando, oltre che un ottimo profilo di sicurezza, anche un’efficacia mai raggiunta fino ad oggi: infatti non è stata riportata alcuna ricaduta della malattia durante tutta la durata dello studio.

Giungere alla diagnosi di NMOSD, spesso, non è semplice, questo a causa della genericità di alcuni disturbi e della presenza di altri sintomi anche in altre malattie più frequenti e conosciute. Si pensi infatti che sino alla scoperta degli anticorpi anti-AQP4, NMOSD era considerata una variante aggressiva della sclerosi multipla.

Con l’arrivo di nuove opzioni terapeutiche, è quindi fondamentale diagnosticare correttamente e precocemente la malattia. Questo permetterebbe di intervenire in maniera tempestiva, in modo da evitare le ricadute, che sono la causa principale di disabilità, e di conseguenza preservare l’autonomia delle persone affette da NMOSD, nonché la loro qualità di vita.

Questo farmaco offre quindi una nuova speranza: non solo quella di migliorare significativamente la qualità di vita delle persone affette, ma di modificare in maniera sostanziale anche la storia naturale di questa malattia.

*Professoressa Ordinaria di Neurologia presso l’Università di Cagliari e Direttrice UO Centro Regionale Sclerosi Multipla, ASL Cagliari/Università di Cagliari


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