Medicina e ricerca

Medicina di genere: priorità assoluta per l’uguaglianza nella prevenzione e nella cura della salute ma siamo ancora lontani

di Ilaria Vesentini

S
24 Esclusivo per Sanità24

Sono in atto lenti progressi, ma la medicina continua a mostrare lacune significative quando si tratta di considerare il ruolo fondamentale del sesso, del genere e del contesto sociale e ambientale nella diagnosi e nella cura delle malattie. «Ancora oggi, all’alba del terzo millennio, alle donne si continuano ad applicare regole di prevenzione e terapie meno basate sull’evidenza scientifica rispetto a quanto accada per gli uomini», sottolinea Flavia Franconi, coordinatrice del Laboratorio nazionale di Medicina e Farmacologia di genere del Consorzio interuniversitario INBB-Sassari, fondatrice del Gruppo di Farmacologia di genere della Società italiana di farmacologia, una pioniera nel campo.
Già in un editoriale del 2010 la rivista Nature sollecitava una maggior considerazione al sesso/genere in quanto determinante fondamentale per la salute. «Una recente survey evidenzia un incremento del 30% negli studi scientifici che includono entrambi i sessi, ma solo il 19% di questi ha un disegno sperimentale adatto alle ricerche di genere e solo il 5% analizza il sesso come variabile (era però il 2% nel 2009)», sottolinea Franconi, intervenuta a Bologna in un convegno dedicato a “Medicina di genere e appropriatezza della cura”, organizzato dal Consorzio ospedaliero Colibrì, network per la salute che aggrega 23 strutture socio-sanitarie in Emilia-Romagna che hanno messo al centro dell’attività la cosiddetta “medicina delle differenze”.
Alcuni dati aiutano a capire meglio quanto pesa oggi la disuguaglianza tra i due sessi in termini di salute: le donne si ammalano di più, consumano più farmaci e sono più soggette a reazioni avverse rispetto agli uomini; hanno il 50% in più di probabilità di ricevere una diagnosi errata di infarto miocardico rispetto agli uomini; sono molto più soggette a reazioni avverse da farmaci e da dispositivi medicali; e sebbene vivano più a lungo degli uomini, l’aspettativa di vita “sana” è equivalente tra i due sessi.
Il caso della Svezia: come cambiare prospettiva
Un esempio illuminante proviene dalla Svezia, che secondo il Global Gender Gap Report si classifica sempre nelle prime cinque posizioni per la parità di genere, racconta Franconi: «Un cambiamento apparentemente banale nel modo in cui veniva sgomberata la neve ha portato a una significativa riduzione degli incidenti tra i pedoni, donne in primis. Gli spazzaneve pulivano infatti il centro della strada e la neve finiva sui marciapiedi e sui lati delle strade dove camminano i pedoni, che le statistiche ci dicono essere perlopiù donne, che perciò avevano un’alta probabilità di scivolare e subire traumi. Quando gli amministratori hanno deciso di cambiare il modo di sgomberare la neve, pulendo prima i marciapiedi e poi il centro strada, si sono ridotti sia gli incidenti sia i ricoveri ospedalieri, con un significativo taglio dei costi individuali e sociali e quindi della spesa sanitaria nazionale.
Il “gender gap” dai libri di studio alle sperimentazioni
Capovolgere il punto di vista permette di rimediare a impostazioni errate, tanto nella ricerca medica quanto nella pratica clinica: i dati presenti nei libri di medicina rappresentano i giovani uomini caucasici, di 70 Kg di peso e su di loro è anche calcolata la dose dei farmaci, ma le donne in media pesano 10 kg di meno, ci sono evidenti rischi di sovradosaggio. Il “gender gap” si ripete anche quando si testano farmaci e dispositivi. Nei trial le donne mediamente rappresentano il 30% della popolazione, ma già nelle prime fasi della sperimentazione tale percentuale scende ulteriormente, evidenzia il rapporto McKinsey & Company “Closing the gaps in women health”.
Anche l’uso di animali di sesso femminile è scarso, pure quando la patologia colpisce più le donne degli uomini. Lo stesso dicasi per i medical device, ce ne sono oltre 500mila in circolazione sul mercato europeo. «Pensiamo all’importanza della lunghezza dell’ago delle siringhe quando si usa la via intramuscolare. Nella donna il grasso sottocutaneo ha uno spessore nettamente superiore rispetto all’uomo, eppure si usano aghi della stessa misura e questo comporta un maggior fallimento delle iniezioni intramuscolo nelle donne (54%) che negli uomini (5%). Ciò può avere conseguenze, anche drammatiche, ad esempio in condizioni che richiedono l’autosomministrazione come per l’adrenalina di fronte a una crisi anafilattica», racconta Franconi.
Italia capofila di una legge ad hoc, ma è già vecchia
L’Italia è stata il primo Paese al mondo ad approvare una legge sulla medicina di genere e un Piano per la sua applicazione. Ma si tratta di un testo risalente al 2018, già obsoleto, e scarsamente applicato. Anche le linee guida di Paesi come USA e Canada indicano finalmente di considerare il sesso come una variabile biologica sperimentale. «È lapalissiano: se i farmaci e i medical devices non sono studiati e testati sulle donne non sapremo come funzionano in questa popolazione - conclude la ricercatrice -. Solo attraverso una maggior consapevolezza e attenzione sulle differenze e somiglianze anatomiche, fisiopatologiche, socio-culturali esistenti tra uomini, donne e gli altri generi potremo arrivare a una “medicina di tutti”, che significa anche una medicina personalizzata e olistica così da abbattere diseguaglianze e stereotipi nella prevenzione e nella cura della salute».


© RIPRODUZIONE RISERVATA