Medicina e ricerca

Farmaci innovativi nella cura del tumore al seno: efficaci ma estremamente onerosi. A farne le spese le donne in termini di possibilità di guarire

di Rossana Berardi *

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Le donne di fatto potrebbero guarire di più o allungare la sopravvivenza. Ma rischiano di non poterne beneficiare. Se ne discuterà al prossimo appuntamento ‘Donne che curano’ organizzato a Montecitorio dall’associazione Women for Oncology Italy il 17 giugno.
Riprendiamo le fila di “Donne che curano”, evento organizzato come di consueto a Montecitorio da Women for Oncology Italy, per aprire nuovi scenari sul modo dell’oncologia rifacendosi anche a studi e risultati presentati ad Asco, il Congresso Annuale dall’American Society of Clinical Oncology punto di riferimento per gli oncologi di tutto il mondo ed appena terminato. “Donne che curano”, che si svolgerà il prossimo 17 giugno, si divide in quattro sessioni: ’Come gestire le risorse in assenza di risorse’; ’Le regioni a confronto: le reti oncologiche… in un’ottica di genere’; ’Women for oncology… oltre le disparità di genere’; ’Come gestire il lavoro conciliando vita personale e lavoro (work life balance)’.
Ciò che può essere messo in evidenza è il ruolo che possono giocare ora e soprattutto in futuro le terapie innovative tra cui gli anticorpi farmaco-coniugati di cui si è ampiamente parlato a Chicago al congresso Asco. Si tratta di molecole estremamente potenti che permettono di aspirare ad aspettative di vita maggiori rispetto alle terapie standard. Tuttavia si tratta di farmaci poco sostenibili economicamente, avendo dei costi ingenti sul sistema sanitario, fattore che comporta gravi conseguenze soprattutto per le donne visto che saranno le oncologie che curano tumori tipicamente femminili a dover spendere di più per curare le proprie pazienti. Esemplare in questo senso il tumore al seno dove gli anticorpi farmaco-coniugati, così come i farmaci biologici e l’immunoterapia svolgono un ruolo innovativo di grande efficacia. Questi farmaci, che danno maggiori opportunità di vita ai pazienti, sono poco sostenibili, onerosi e rappresentano una forma di gender gap per le stesse pazienti alle quali può essere reso più difficile, di fatto, di accedere alle cure basate su queste tipologie di farmaci. Il sistema di rendicontazione attuale delle strutture ospedaliere, infatti, valuta principalmente il costo del farmaco mentre quello a cui si dovrebbe puntare è a nostro avviso, una rivoluzione culturale che abbia come obiettivo la salute e la possibilità di guarigione delle persone. Ovvero non si valuti solo il costo del farmaco in sé ma il percorso intero del paziente. Se si consente a una donna di avere molti mesi o anni in più di vita, questo può tradursi in miglioramento della qualità della vita, spese inferiori per necessità cliniche (ricoveri, complicanze legate alla malattia, ecc.), reinserimento nel mondo lavorativo, con conseguenti risparmi per il sistema in generale.
Il caso emblematico, da questo punto di vista, è rappresentato dal tumore al seno, sia per l’elevata incidenza della patologia, sia perché all’Asco sono stati presentati risultati di studi che potranno cambiare prepotentemente la pratica clinica. Un esempio è lo studio Destiny 06, che è andato a studiare l’uso degli anticorpi farmaco coniugati in luogo della terapia standard nelle donne che esprimono in maniera bassa o molto bassa la proteina Her2, ovvero un setting dove non si utilizzava questo tipo di trattamento. Lo studio ha dimostrato benefici significativi in termini di sopravvivenza libera da progressione rispetto alla migliore terapia oncologica disponibile.
I farmaci di nuova generazione, quali gli anticorpi farmaco coniugati, invece, sono più onerosi e vanno inevitabilmente a incrementare i costi in aree terapeutiche dove non esisteva questo tipo di approccio, prevedendo peraltro una lunga durata di terapia, data l’efficacia. Il valore aggiunto per la vita dei pazienti oncologici di questi farmaci è peraltro trasversale.
Sempre all’Asco, nella sessione plenaria uno studio dedicato al tumore al polmone: lo studio Laura ha conquistato addirittura una standing ovation. Con l’assunzione di Osimertinib, farmaco biologico somministrato per via orale ai pazienti affetti da tumore al polmone in stadio III, dopo trattamento radio-chemioterapico, ha dimostrato che grazie a tale assunzione c’è stato un netto aumento di sopravvivenza libera da progressione, oltre 33 mesi, rispetto a 5,6 mesi nei pazienti trattati con placebo. Si tratta di un risultato davvero incoraggiante in una patologia in cui fino a pochi anni fa la diagnosi di tumore polmonare rappresentava una condanna a morte. Oggi, grazie alla ricerca e all’introduzione di farmaci innovativi, che si aggiungono alla prevenzione, non è più così.
Altrettanto importanti sono poi le altre sessioni del convegno di Women for Oncology, a partire dalle reti oncologiche in un’ottica di genere, cruciali per garantire ai pazienti adeguate opportunità terapeutiche in ogni regione italiana. Un tema che diventa estremamente attuale ora che si discute di autonomia differenziata delle regioni e del temuto rischio che i pazienti possano avere diverse prospettive terapeutiche a seconda della residenza. La terza sessione sottolinea come sia importante superare la consueta divisione uomo/donna, perché oggi non esistono solo due identità. Tutto è molto fluido e il sistema, le strutture sanitarie, non paiono ancora pronte per una presa in carico dei pazienti con diverse identità di genere, sia relativamente ai percorsi terapeutici che per la prevenzione e per gli screening.
Infine, l’evento affronterà il tema del work life balance che va a incidere profondamente anche nei meccanismi che frenano l’acceso delle donne a ruoli apicali o di rappresentanza. Ma non è solo il consueto problema della donna che si fa carico della gestione familiare e sociale. C’è anche il tema della cosiddetta sindrome di Hermione, ovvero il tema educativo della donna che è per natura perfezionista e non si mette in gioco finché non si sente adeguata e perché da sempre le è stato detto che fare il “passo avanti” ‘non è femminile’. È un tema che viene da molto lontano e che in Medicina è percepibile mano a mano che si acquisiscono ruoli sempre più apicali (mentre non si avverte al Liceo o all’Università). C’è da chiedersi perché la donna preferisca restare più spesso in una zona di comfort anche a costo di sacrificare la propria carriera e le proprie aspettative. D’altro canto, oggi molte giovani donne medico specializzande in oncologia fanno rinunce rispetto alla maternità per paura di perdere il posto di lavoro o di non ritrovare, dopo, la posizione che avevano.
Anche e soprattutto per loro continuiamo a impegnarci e a promuovere una crescita culturale, delle donne e degli uomini, di valore e di merito.

* Presidente Women for Oncology Italy


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