Medicina e ricerca
La doppia sfida dell'obesità: umanizzare le cure e razionalizzare le risorse
di Giuseppe M. Marinari*
24 Esclusivo per Sanità24
L’obesità è una malattia, non solo un fattore di rischio per altre malattie - diabete tipo 2, malattie cardiovascolari, insufficienza respiratoria, alcuni tumori. Eppure, in Europa e in Italia, questo fatto non è ancora abbastanza riconosciuto. Le recentissime acquisizioni nel campo delle neuroscienze applicate all’obesità (Barbosa, Nature 2023, An orexigenic subnetwork within the human hippocampus; van Galen, Nature Metabolism 2023, Brain responses to nutrients are severely impaired and not reversed by weight loss in humans with obesity: a randomized crossover study) confermano l’obesità come malattia, perché mostrano una diversa risposta del cervello all’introduzione del cibo se la persona è normopeso o affetta da obesità. Sovrappeso e obesità ormai colpiscono rispettivamente quasi il 50% e poco meno del 10% degli italiani adulti, e il completo riconoscimento dell’obesità come malattia risulta determinante per evitare di lasciare senza cure una larga fetta della popolazione, più di 4 mln secondo i dati ISS. Per l’obesità di grado 2 e 3 la terapia più efficace resta la chirurgia ma in Italia gli interventi sono circa 30.000 all’anno, a fronte di più di un milione di candidati. Si opera poco, in parte per la paura dell’intervento e in parte per le difficoltà del Servizio Sanitario Nazionale, ma la chirurgia a breve termine ha comunque un costo, che poi nel tempo diventa un risparmio grazie ai benefici effetti sulle malattie associate che cura o previene. Il team bariatrico multidisciplinare (dietologo, endocrinologo, psicologo, psichiatra, cardiologo, chirurgo ed anestesista) che prende in cura il paziente è quindi chiamato ad una doppia sfida: l’attenzione alla persona nella sua totalità (l’umanizzazione delle cure) fondamentale per ridurre i timori del paziente, e la razionalizzazione delle risorse, per poter offrire cure efficaci ad un maggior numero di pazienti.
Come si aumenta l’attenzione al paziente? Cambiando i punti di vista. Anzitutto, serve la totale convinzione che la persona affetta da obesità sia malata e non carente di volontà, e serve ricordare che chi arriva alle visite per chirurgia bariatrica è già passato attraverso probabili ostilità familiari, fallimenti nella perdita di peso e conseguente colpevolizzazione. Ma, umanizzare le cure vuole anche dire non guardare ai risultati del nostro lavoro medico utilizzando sempre gli stessi dati: calo di peso, risoluzione delle malattie associate, complicazioni. Questo è un approccio troppo “medico-centrico”, che non tiene in considerazione tutte le difficoltà e le aspettative della persona che abbiamo di fronte. In un percorso di qualità assumono, per esempio, molta importanza i PROM (patients-reported outcomes measures), che non coincidono con i risultati clinici. Uscire dalla malattia obesità trasforma la vita delle persone, e non è solo un fatto di chili o di medicine per il diabete, che dopo la chirurgia in molti casi non si usano più. Parliamo piuttosto di aumento dell’autostima, coraggio di proporsi agli altri, interrompere il rapporto con quel cibo che ha fatto ammalare. Un approccio più umano alle cure richiede di comunicare tutto questo al paziente, coinvolgendolo nel percorso di cura, e definendo insieme quali sono i risultati attesi e possibili da raggiungere.
La seconda sfida è la razionalizzazione delle risorse, fondamentale quando si è in fase di contrazione economica ed abbiamo da curare tante persone. Eppure, questa è una sfida forse più facile da vincere perché abbiamo già dei modelli cui rivolgerci: l’adozione dei protocolli ERAS (Enhanced Recovery After surgery) in chirurgia bariatrica permette di aumentare la qualità percepita dal paziente, restituendo le persone in tempi brevi e in buone condizioni alla loro quotidianità, riducendo il tasso di complicazioni e anche i giorni di degenza. Se poi ai protocolli ERAS, adottati dai clinici, si aggiungono anche alcuni principi di LEAN Management (ingegneria gestionale), l’ottimizzazione dei percorsi intraospedalieri porta infine ad una riduzione degli sprechi, con maggiore sostenibilità, e a una maggiore sicurezza.
*Direttore Chirurgia Obesità IRCCS Humanitas Research Hospital
© RIPRODUZIONE RISERVATA