Medicina e ricerca

La degenerazione della bioprotesi valvolari cardiache: nuovi trattamenti biotecnologici per prevenire il rigetto

di Andrea Colli *

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Nel 2022 sono state impiantate nel mondo circa 450.000 protesi valvolari cardiache costituite, per il 95% da valvole biologiche prodotte con materiale animale.
Una piccola parte delle valvole impiantate sono ancora di tipo meccanico, costituite di carbonio, e vengono impiantate nel paziente con interventi cardiochirurgici tradizionali o mini-invasivi in circolazione extracorporea e a cuore fermo. Queste hanno una grande durata ma sulla loro superficie possono formarsi dei trombi sanguigni per cui il paziente deve essere trattato con terapia anticoagulante orale cronica. In genere vengono usate nei pazienti più giovani (età <60-65 anni).
Le valvole cardiache biologiche, anche dette bioprotesi, invece sono costituite da tessuto umano (donazione di tessuto da cadavere) o animale (solitamente suino o bovino) attaccato o meno a supporti di tipo sintetico.
Anche l’impianto delle bioprotesi può essere effettuato con un intervento chirurgico tradizionale o mini-invasivo in circolazione extracorporea e a cuore fermo, oppure sempre più frequentemente con interventi transcatetere a cuore battente. Le bioprotesi hanno una durata più limitata rispetto alle valvole meccaniche ma presentano una minore trombogenicità e per questo non necessitano di terapia anticoagulante orale cronica. In genere vengono usate nei pazienti più anziani (età >60-65 anni).
Il fenomeno di degenerazione delle bioprotesi rappresenta il maggior limite di questo dispositivo medico. Mediamente circa il 50% delle bioprotesi valvolari cardiache diventa disfunzionante dopo 10-12 anni dall’impianto a causa della comparsa di calcificazioni che irrigidiscono la valvola e ne alterano il corretto funzionamento costringendo il paziente a sottoporsi a un nuovo intervento cardiochirurgico.
Nonostante sviluppi continui e ingenti investimenti da parte delle industrie produttrici le bioprotesi replicano solo la funzione delle valvole native in quanto i processi manifatturieri e conservativi dei materiali biologici ne alterano le proprietà biologiche e biomeccaniche a tal punto che questi non sono più in grado di mantenere i normali processi di rimodellamento e vanno incontro ad un progressivo deterioramento.
I processi produttivi attuali non possono prescindere dall’uso di un agente chimico, la glutaraldeide per il trattamento del tessuto animale che lo stabilizza riducendone l’antigenicità. Tuttavia, la glutaraldeide è anche corresponsabile direttamente e indirettamente del deterioramento della protesi.
I meccanismi alla base della degenerazione delle bioprotesi sono multifattoriali, e includono fattori meccanici, chimici, infettivi e immunologici-infiammatori.
Le cause di degenerazione meccanica sono state risolte da oltre 50 anni di studi in silico, in vitro ed attente analisi dei dati clinici, che hanno spinto i bioingegneri a migliorare il design delle varie componenti delle protesi e ad utilizzare solo i materiali sintetici ad alta performance e bassa trombogenicità.
Quelli infettivi cerchiamo di prevenirli o li trattiamo quando la prevenzione non è stata efficace. La prevenzione si effettua con l’adozione di terapie antibiotiche profilattiche nel caso in cui i pazienti portatori di bioprotesi vengano sottoposti a interventi chirurgici (odontoiatrici, urologici, ortopedici, ginecologici…). Il trattamento si realizza sempre con la combinazione di antibiotici e re-interventi cardiochirurgici che sono gravati da alti rischi di mortalità e morbidità. Va ricordato che a livello mondiale esistono sempre più casi di infezioni resistenti agli antibiotici per cui lo scenario infettivo è un problema molto grave da affrontare.
I meccanismi di deterioramento chimico sono stati parzialmente mitigati utilizzando soluzioni di trattamento e conservazione meno ricche di glutaraldeide, riducendo così i danni tossici.
Recentemente, la ricerca ha portato nuove conoscenze sui ruoli dei meccanismi immunologici e infiammatori nella degenerazione delle bioprotesi, descrivendo il rigetto immunitario come il nuovo bersaglio da colpire per prolungare la vita delle bioprotesi.
In tutti i processi biologici, le risposte immunitarie hanno diversi gradi, da uno stato fisiologico a uno stato patologico.
Lo stato patologico è quello della reazione infiammatoria innata non specifica verso un nuovo corpo estraneo e quella del rigetto e/o infiammazione immuno-mediati.
Nonostante i processi industriali siano stati ottimizzati negli anni nessuno di questi è in grado di eliminare del tutto l'antigenicità delle bioprotesi che produce una forte risposta infiammatoria.
Questa situazione innesca il processo di calcificazione che è la maggior causa di deterioramento delle bioprotesi.
Tra i fattori immunologici più importanti è stata recentemente identificata la molecola alfa-Gal (o galattosio-alfa-1,3-galattosio).
L’alfa-Gal è un carboidrato strutturale che si lega alle proteine fibrose come il collagene dei tessuti animali. L’alfa-Gal non è presente invece nell’uomo perché esso ha perso la capacità di esprimerlo durante l’evoluzione. Al contrario, gli esseri umani normalmente mostrano anticorpi anti-Gal a causa della stimolazione antigenica continua data dalla flora intestinale poiché alcuni batteri producono alfa-Gal , e questo rappresenta un'importante barriera allo xenotrapianto.
È stato dimostrato che l'impianto di bioprotesi induce una specifica reazione immunitaria nei confronti dell'antigene alpha-Gal, che si correla in maniera forte alla progressiva degenerazione delle bioprotesi. Per ridurre questo pericoloso fenomeno immunologico possiamo agire in due modi, il primo è quello di usare solo tessuti biologici animali ingegnerizzati che siano carenti di alpha-Gal oppure applicare nuovi e diversi trattamenti biochimici non tossici che inibiscano l’effetto dell’alpha-Gal, non rendendolo visibile al nostro sistema immunitario.
Il primo metodo è certamente quello più affascinante ma è quello che richiede gli investimenti economici e temporali maggiori, sproporzionati rispetto all’attuale scenario macroeconomico mondiale.
Il secondo invece è già disponibile, è italiano, ha dimostrato in diversi studi di essere efficace e deve essere testato su larga scala.
Alla base di questa tecnologia vi è una nuova soluzione di fissazione composta da una miscela di polifenoli naturali che copre stericamente e scherma il riconoscimento di specifici siti reattivi della matrice extracellulare coinvolti nella degenerazione delle bioprotesi valvolari cardiache.
In particolare, Il trattamento messo a punto ha dimostrato di inibire oltre il 98% dei residui antigenici di alpha-Gal presenti sulle superfici di tutte le bioprotesi disponibili in commercio.
In esperimenti in vivo su animali modificati geneticamente per renderli simili all’uomo, l’inibizione dell’alpha-Gal ha dimostrato di bloccare il processo di calcificazione di oltre il 98%.
Inoltre, sempre in vivo, ha dimostrato di inibire l’adesione delle piastrine, minimizzando la trombogenicità delle bioprotesi trattate con la miscela di polifenoli.
Il trattamento con polifenoli è riuscito infine a ridurre di oltre il 96% anche l’adesione di batteri molto aggressivi come gli Staphilococcus aureus offrendo un ulteriore elemento di prevenzione dell’infezione e degenerazione della bioprotesi.
L’insieme di questi efficaci effetti biologici generati dall’applicazione della miscela di polifenoli al tessuto delle bioprotesi offre una nuova e forte prospettiva tecnologica per prolungare la longevità delle bioprotesi. In questo modo si minimizzerebbe il rischio di doversi sottoporre ad un nuovo intervento chirurgico o transcatetere raggiungendo l’obiettivo di una sola bioprotesi per tutta la vita.

* Cardiochirurgo dell'Università di Pisa sulla degenerazione delle valvole cardiache


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