Medicina e ricerca
Alzheimer: si apre una nuova stagione per la ricerca e la cura dei pazienti
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La malattia di Alzheimer, una delle cause più comuni di demenza, è caratterizzata dall'accumulo cerebrale progressivo di aggregati del peptide beta amiloide (Abeta); tali modifiche a livello cerebrale si riflettono in livelli ridotti del peptide Abeta nel liquido cerebrospinale.
In un lavoro recentemente pubblicato sulla rivista Frontiers in Neuroscience e rilanciato in occasione della Giornata dell’Alzheimer, un gruppo di ricercatori dell’IRCCS Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia, in collaborazione con l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS di Milano e la Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, hanno messo a punto un nuovo saggio di spettrometria di massa per l’identificazione ed il dosaggio di diverse forme del peptide beta amiloide nel liquido cerebrospinale di pazienti con Malattia di Alzheimer.
Come spiega la dottoressa Luisa Benussi del Laboratorio Marcatori Molecolari del Fatebenefratelli, “tale metodo permette di quantificare, in maniera rapida e semplificata rispetto agli altri metodi che si basano sulla stessa tecnologia, 19 forme di Abeta, compresi alcuni frammenti troncati nella parte iniziale e con piroglutammato, mai dosati prima nel liquido cerebrospinale. Sono state, inoltre, identificate e quantificate forme di Abeta mai descritte in precedenza: quattro frammenti legati al rame e due frammenti con aggiunta di fosfato, che risultano essere tra le forme più abbondanti nel liquido cerebrospinale”.
Il saggio, applicato in uno studio pilota su liquido cerebrospinale di pazienti Alzheimer, soggetti con lievi disturbi di memoria e soggetti senza oggettivi disturbi di memoria come gruppo controllo, ha evidenziato un’alterazione del livello di cinque frammenti di Abeta, sia nella fase precoce che nella fase conclamata di Alzheimer, oltre a confermare la riduzione del livello di Abeta1-42. Sebbene sia necessario condurre ulteriori studi per validare questi risultati, questo metodo potrebbe rappresentare un potenziale strumento per la stratificazione dei pazienti ed il monitoraggio della terapia, in particolare in pazienti in trattamento con farmaci “anti-Abeta”, specialmente se diretti contro frammenti modificati di Abeta. Le nuove forme di Abeta, indentificate nel liquido cerebrospinale per la prima volta grazie a questo saggio, potrebbero rappresentare un potenziale nuovo target terapeutico.
E sempre a proposito di farmaci, dopo oltre 20 anni di tentativi, la FDA (food and drugs aministration) americana, l’ ente nazionale regolatorio per l’approvazione dei farmaci e la loro messa in commercio, ha approvato lo scorso 7 giugno un nuovo farmaco per il trattamento della malattia di Alzheimer: l’ aducanumab, un anticorpo monoclonale in grado di eliminare dal cervello gli accumuli di proteina beta-amiloide ritenuta responsabile della malattia. Come spiega il dottor Orazio Zanetti, primario dell’Unità Operativa Alzheimer e responsabile del Servizio Clinical Trial dell’IRCCS Istituto Centro San Giovanni Di Dio Fatebenefratelli, si tratta di una svolta epocale e rivoluzionaria. Il nuovo farmaco cambia il mondo dei servizi sanitari che si occupano di problemi di memoria, i nostri centri per i disturbi cognitivi e le demenze, CDCD (circa 600 nel nostro paese). Come già avvenuto più di vent’anni fa con i farmaci oggi disponibili – donepezil, rivastigmina e galantamina-ADUCANUMAB impone una nuova riorganizzazione dei servizi sanitari che dovranno imparare ad affrontare la sfida della diagnosi precoce utilizzando i biomarcatori che consentono di identificare –attraverso per esempio la PET cerebrale – la presenza in eccesso di amiloide nel cervello.
Altro campo di ricerca promettente è lo studio dell’alterazione delle reti neurali ( o circuiti neuronali), responsabili di specifiche funzioni cognitive. Sfruttando le proprietà dei campi magnetici e attraverso la registrazione delle variazioni emodinamiche cerebrali, è possibile ricostruire una mappa delle reti neuronali e indagarne il livello di compromissione. Queste osservazioni hanno aperto la strada a nuovi approcci, di cui l’IRCCS Centro S. Giovanni di Dio-Fatebenefratelli di Brescia è capofila che, mediante la stimolazione non-invasiva delle reti colpite dall’AD, puntano a prevenire l’insorgenza dei sintomi o a rallentarne il decorso. Infatti, le misure ottenute con la TMS (stimolazione magnetica transcranica) in combinazione con l’elettroencefalogramma consentirebbero di distinguere diversi stadi della malattia con un’accuratezza vicina all’ 80%. “Il comune denominatore di questi studi è un approccio di medicina personalizzata in cui la TMS viene guidata dallo studio del cervello del singolo paziente attraverso le neuroimmagini. In questa ottica, i ricercatori hanno sviluppato un protocollo per stimolare con la TMS circuiti cognitivi come il default mode network ed il circuito esecutivo, a livello individuale”, spiega la dottoressa Marta Bortoletto, responsabile del Laboratorio di Neurofisiologia, IRCCS Centro San Giovanni di Dio- Fatebenefratelli.
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