Medicina e ricerca

Mais Ogm promosso dal Sant’Anna di Pisa: più produttivo e senza rischi

di Ernesto Diffidenti

Un terzo in meno delle cancerogene micotossine e fumonosine e fino al 24,5% in più di produzione senza danni per l’ambiente. Sono le performance del mais Ogm certificate da uno studio condotto da ricercatori italiani della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’Università di Pisa, con il co ordinamento di Laura Ercoli, docente di Agronomia e coltivazioni erbacee all’Istituto di Scienze della vita della Scuola Superiore Sant’Anna e pubblicate su “Scientific Reports”. Lo studio ha preso in considerazione 21 anni di coltivazione mondiale, tra il 1996 - anno di inizio della coltivazione del mais transgenico - e il 2016 periodo in cui le produzioni transgeniche sono passate da 1,7 a circa 180 milioni di ettari. Ebbene, i risultati indicano che «la coltivazione di mais transgenico presenta produzioni superiori, contribuisce a ridurre la presenza di insetti dannosi e contiene percentuali inferiori di sostanze tossiche che contaminano gli alimenti e i mangimi animali».

«Lo studio raccoglie i risultati di ricerche condotte in pieno campo negli Stati Uniti, in Europa, Sud America, Asia, Africa e Australia, e paragona le varietà transgeniche con le parentali non transgeniche - sottolineano gli autori - Elisa Pellegrino, Stefano Bedini, Marco Nuti, Laura Ercoli- . Dimostra, in maniera decisa, che il mais transgenico è notevolmente più produttivo (5,6-24,5%), non ha effetto sugli organismi non-target (cioè non bersagli della modificazione genetica), tranne la naturale diminuzione del “Braconide parassitoide” dell’insetto dannoso target “Ostrinia nubilalis” e contiene concentrazioni minori di micotossine (-28,8%) e fumonisine (-30,6%) nella granella, ovvero nei chicchi del mais».

Lo studio applica le moderne tecniche matematico-statistiche di meta-analisi su risultati provenienti da studi indipendenti, per trarre conclusioni «più forti» rispetto a quelle ottenute da ogni singolo studio. La meta-analisi si è basata su 11.699 osservazioni che riguardano le produzioni, la qualità della granella (incluso il contenuto in micotossine), l’effetto sugli insetti target e non-target, i cicli biogeochimici come contenuto di lignina negli stocchi e nelle foglie, perdite di peso della biomassa, emissione di CO2 dal suolo.

La European Court of Justice di recente aveva sentenziato che, a meno di una «evidenza significativa» sul serio rischio alla salute umana, animale e ambientale portato dalla coltivazione di piante geneticamente modificate, gli Stati membri non possono adottare misure d’emergenza per proibirne l’uso. E così ha fatto l’Italia. Lo studio, tuttavia, dimostra che dopo ventuno anni di coltivazione del mais transgenico in tutto il mondo non esiste alcuna «evidenza significativa» di rischi alla saluta umana, animale od ambientale.

Al contrario, i dati della meta-analisi indicano con chiarezza la diminuzione delle micotossine e fumonisine, sostanze contaminanti contenute negli alimenti e nei mangimi e
responsabili di fenomeni di tossicità acuta e cronica. La diminuzione di tali sostanze nella granella del mais transgenico, impiegata in alimenti per l’uomo e per gli animali, può avere effetti molto significativi per la salute umana. Gli autori - Elisa Pellegrino, Stefano Bedini, Marco Nuti, Laura Ercoli - sottolineano che lo studio ha riguardato esclusivamente l'elaborazione rigorosa dei dati scientifici e non l’interpretazione «politica» dei medesimi e ritengono che «questa analisi fornisca una sintesi efficace su un problema specifico molto
discusso pubblicamente», sintesi che «permette di trarre conclusioni univoche
aiutando ad aumentare la fiducia del pubblico nei confronti del cibo prodotto
con piante geneticamente modificate».

Il mais e la soia geneticamente modificate sono tra le principali coltivazioni biotech insieme a colza e cotone, mentre per i paesi la classifica è dominata da Usa, Brasile, Argentina, India e Canada. L’Italia è un importatore di mais destinato all’alimentazione zootecnica, anche delle produzioni Dop e Igp. Se prima del 2004 la quota di autosufficienza era superiore al 90%, dal 2016 è scesa sotto il 60% ed è pertanto aumentato l’import: gli acquisti netti delle ultime cinque campagne (21,3 milioni di tonnellate) hanno superato di 1,2 milioni quello delle quindici precedenti.


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