Medicina e ricerca
Tumore colon-retto: screening efficaci, ma serve appropriatezza per garantirli in tutto il Paese
di Gioacchino Leandro (presidente Associazione Italiana Gastroenterologi ed endoscopisti Ospedalieri - Aigo)
Quante persone può salvare lo screening per il tumore del colon retto? Secondo uno studio presentato dalla nostra società scientifica, l'Associazione Italiana Gastroenterologi ed endoscopisti Ospedalieri (Aigo), con questo strumento è possibile ridurre del 25% la mortalità per questa patologia, cioè salvare grazie alla diagnosi precoce un malato su quattro. Un risultato di rilievo, considerato che con 52mila nuove diagnosi nel 2016 il tumore del colon retto è stata la terza neoplasia più frequente tra gli uomini e la seconda tra le donne e, soprattutto, che ogni anno provoca oltre 18.500 decessi.
Per questa ragione non si può che apprezzare che il mondo della politica sia sempre più sensibile a questo tema, come dimostra la decisione presa da un numero crescente di Regioni di estendere la fascia di età delle persone invitate a eseguirlo, passando da quella 50-69 anni a quella 50-74 anni.
Screening, Regioni in ordine sparso
È il caso, per esempio, del Lazio, dove già da tempo, i programmi di screening coinvolgono le persone over 70, dell'Emilia-Romagna dove è proposta la colonscopia a coloro che, avendo una età tra i 70 e i 74 anni, non abbiano eseguito l'esame negli ultimi dieci anni e della Lombardia dove la Regione a marzo ha esteso il limite di età delle persone invitate allo screening da 69 a 74 anni.
Per poter rendere questi provvedimenti efficaci, però, è necessario avere un'infrastruttura che li possa effettivamente applicare: per poter effettuare più esami, cioè, è necessario avere più specialisti in grado di eseguirli e interpretarli, i gastroenterologi, e più strumenti e strutture.
L'esame di screening, cioè la ricerca del sangue occulto nelle feci, è un test di laboratorio abbastanza comune e semplice e, quindi, un maggior numero di prestazioni non rappresenta per la nostra sanità uno sforzo particolarmente gravoso. Ciò che invece è oneroso in termini di uomini e carico di lavoro è l'esame di approfondimento, cioè la colonscopia, che deve essere effettuato quando il test di screening è positivo.
Ma di quanti esami in più stiamo parlando?
Se si prende, per esempio, il caso della Lombardia è facile fare una stima. Secondo dati Istat, in questa regione le persone nella fascia di età tra i 70 e i 74 anni sono 475.093 e quindi, dal momento che lo screening si effettua una volta ogni due anni e che l'adesione al programma nel 2014 è stata del 49%, si può valutare che si tratti di 232.800 persone in più che effettuino l'esame per la ricerca del sangue occulto nelle feci.
I dati statistici sui programmi di screening per il tumore del colon retto elaborati dalla Regione Lombardia rilevano che il 4,6% delle persone sottoposte al test richiede esami di approfondimento. Pertanto l'estensione della fascia di età per gli screening sino ai 74 anni può portare un aggravio di oltre 10.700 prestazioni nella sola Lombardia.
Può il sistema sanitario regionale reggere un simile carico?
E con quali ricadute sulla qualità della cura, soprattutto in termini di accresciuti tempi di attesa?
Su questo parametro può essere significativo il caso della Puglia. In questa area il tempo di attesa per una colonscopia è oggi superiore ai 180 giorni per quasi una persona su quattro. E ciò nonostante i programmi di screening siano praticamente assenti, quindi con un numero di prestazioni richieste limitato solo a quelle prescritte dai medici per i casi con un sospetto diagnostico. Secondo dati dell'Osservatorio Nazionale Screening, nel biennio 2011-2012 era attivo solo un programma di screening ed è stato sottoposto ai test solo l'1,7% della popolazione che avrebbe potuto.
Ma a quanto arriverebbe l'attesa in questa regione per effettuare una colonscopia se i programmi di screening fossero applicati diffusamente? E se anche in questo territorio vi fosse l'estensione dell'età sino ai 74 anni?
La soluzione, ovviamente, non è cancellare i programmi di screening ma piuttosto mettere nelle condizioni gli specialisti preposti, i gastroenterologi, di poterli applicare. Per fare ciò è necessario su tutto il territorio italiano rivedere gli organici delle unità di gastroenterologia e potenziarli. Anche in considerazione di due ulteriori elementi di scenario. Da una parte, infatti, per le norme sul blocco del turn over i gastroenterologi che stanno andando e andranno in pensione nei prossimi anni non saranno sostituiti. Dall'altra, bisogna anche tenere presente che un programma di screening efficace porta un aumento dell'incidenza registrata per la malattia e un maggiore carico di lavoro per gli specialisti che devono trattarla.
Ancora una volta, risulta evidente che un investimento iniziale maggiore, anche se richiede più coraggio, sul lungo periodo porta migliori risultati, sia per la salute dei pazienti sia per le finanze della sanità pubblica.
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