Medicina e ricerca
Ernie, nuovi Drg e parametri
di Elio Borgonovi (Cergas Bocconi) e Dalila Patrizia Greco ( Asst Grande ospedalemetropolitano Niguarda)
L’approvazione dei nuovi Lea dopo 15 anni da un lato chiude un capitolo della storia del Ssn caratterizzato soprattutto da politiche di contenimento dei costi, dall’altro apre un capitolo nuovo che, se gestito in modo diverso, può diventare affascinante. Infatti, in considerazione del fatto che comunque le risorse sono e resteranno scarse, la sfida consiste nel ripensare i modelli di assistenza. Oggi si parla tanto di ripensare il modello assistenziale per le cronicità, di presa in carico del paziente, ma il ripensamento può e deve riguardare anche i trattamenti per acuti, poiché la presa in carico significa occuparsi della diagnosi precoce, degli accertamenti pre-ricovero o pre-intervento, di ciò che si fa durante il ricovero o l’intervento chirurgico, ma anche di ciò che accade in seguito ai pazienti.
Nel convegno organizzato il 20 gennaio 2017 dal Cergas dell’Università Bocconi, l’Asst - Ospedale Metropolitano Niguarda e il Quality board della European hernia society questa problematica è stata affrontata con riguardo alla chirurgia di parete addominale. Negli ultimi 10-15 anni questo ambito di chirurgia ha subito numerose evoluzioni che hanno evidenziato in modo significativo i limiti dell’attuale sistema Drg. Sono noti i pregi e i limiti del sistema di finanziamento Drg che, da un lato, stimola la ricerca di maggiore efficienza per la singola procedura, ma - dall’altro - rischia di non tenere conto dell’intero processo assistenziale.
Per quanto riguarda la chirurgia di parete addominale, è stato sottolineato un paradosso apparente. Fino all’inizio degli anni 2000 la chirurgia di parete veniva svolta in regime di ricovero e quindi si avevano dati epidemiologici completi, tratti dalle Schede di dimissione ospedaliera (Sdo). In seguito la scelta formale di trattare la chirurgia a bassa complessità a regime ambulatoriale, mantenendo gli stessi standard chirurgici organizzativi e di location operatoria precedente, ha dato come risultato l’apparente perdita di interventi, in realtà si è solo persa la tracciabilità di una parte di tale attività.
Nel grafico in alto a destra si evidenzia l’epidemiologia che tra il 2002 e il 2007 è sostanzialmente stabile, mentre negli anni successivi si evidenzia un crollo degli interventi in regime di ricovero che comunque nel primo semestre del 2015 hanno raggiunto 41.035 casi.
In assenza di dati complessivi sulla distribuzione tra interventi in regime di ricovero ordinario, in day surgery e in regime ambulatoriale, è indicativo l’andamento rilevato dalla Regione Veneto, nella quale si passa da una distribuzione di 38,3% di ricoveri ordinari e 61,7% di day surgery nel 2000 - quando non era ancora possibile l’intervento in regime ambulatoriale - al 13,2% di ricoveri ordinari, 49,7% di day surgery e 37% di ricoveri in regime ambulatoriale nel 2009.
Peraltro nel caso degli interventi in regime di ricovero e ancor più in quelli ambulatoriali a bassa intensità non è possibile evidenziare un dato molto rilevante, quello delle recidive, che sono un indicatore della qualità della precedente prestazione chirurgica e determinano un aumento dei costi.
Inoltre i Drg 162 e 163 appaiono sempre più incongruenti non solo per il ritardo di adeguamento di tutti i Drg, ma anche per due ulteriori ragioni specifiche. Da un lato, inducono a ridurre i costi del singolo intervento ricorrendo eventualmente a materiali di più basso costo ma meno sicuri e resistenti di quelli messi a punto dai processi di innovazione delle imprese produttrici. Dall’altro non tengono conto dei costi addizionali dovuti alle recidive e alla gestione delle complicanze post-intervento (es. infezioni, sieromi, ecc.). Nei casi a media e alta complessità è sempre più frequente la situazione in cui la minimizzazione del costo del primo intervento comporta un costo complessivo più elevato per il Sistema sanitario nazionale, poiché si aggiunge il costo di ulteriori trattamenti.
Poiché le migliori teorie di tipo economico affermano che la somma di ottimi parziali (ad esempio costo più basso per il primo intervento e per il trattamento delle recidive) non coincide con l’ottimo complessivo (costo totale che è influenzato anche dalla percentuale delle recidive che è correlato alla qualità dei device usati nel primo intervento e alle gestione del primo intervento in unità organizzative dedicate o con alta esperienza nel settore), sembra giunto il momento di affrontare in modo organico tre problemi.
In primo luogo la definizione di reti regionali ed eventualmente inter regionali (per le Regioni più piccole) che vedano la presenza di unità in grado di trattare casi a bassa e media complessità, collegate a unità specializzate nel trattamento di casi a più elevata complessità. Non si tratta di definire unità di serie A o di serie B, ma di ragionare in modo organico poiché non sono possibili investimenti in termini di attrezzature, ma soprattutto di formazione di equipe competenti su tutti gli ospedali e unità di chirurgia della parete addominale.
In secondo luogo è necessario adeguare i sistemi informativi in modo da consentire la tracciabilità dei pazienti e consentire la rapida individuazione di “ciò che accade al paziente” dopo il primo intervento. Ciò consentirebbe di valutare aspetti di qualità del servizio (assenza di recidive), performance delle varie unità chirurgiche, spesa complessiva per il Ssn. Questa tematica è stata affrontata nel convegno, anche attraverso l’esperienza di altri paesi che hanno attivato registri su questa patologia.
In terzo luogo è opportuno attivare anche forme di collaborazione tra produttori di device per la chirurgia di parete addominale e utilizzatori. Superando una situazione di “reciproco sospetto” tra pubblico e privato, è giunto il momento anche per il Ssn di favorire forme di reciproca informazione, basate sulla fiducia, in grado di applicare il sano principio valido anche per l’economia domestica secondo cui molte volte “chi più spende (per acquisti di prodotti di qualità) meno spende” poiché i beni (siano essi vestiti, scarpe, frigoriferi, etc.) durano di più. Ad esempio, l’uso di differenti tipologie di “mesh” comporta costi molto differenti che vanno dai 15 euro (polypropylene), tra 265 e 1.100 euro (composite material), fino a 10.500 (biologic material). Evidentemente quelle a più alto costo possono e devono essere utilizzate solo per situazioni molto complesse, mentre quelle a costo più basso appaiono comunque superate e utilizzabili solo per casi a bassa complessità.
Infine, è stata affrontata, in particolare nell’intervento di Carla Rognoni, ricercatrice Cergas, il tema della analisi dei costi, che vanno rapportati ai benefici per i pazienti sottoposti a interventi chirurgici più efficaci. Tali costi possono essere distinti in costi diretti, ossia le risorse impiegate per l’intervento (sala operatoria, materiali, personale impiegato, etc.), e costi indiretti, ossia permessi per malattia, trattamenti correlati, perdita di produttività, costi di follow-up. Entrambe le tipologie di costi si duplicano in caso di recidiva. In uno studio francese condotto nel 2011 su 3.239 pazienti in 51 ospedali pubblici francesi, il costo medio per l’intervento di ernia addominale è stato di 4.731 euro. Il costo medio indiretto è stato di 1.720, per un totale di costo medio pari a 6.451 euro, con un minimo di 4.731 per le persone non occupate e 10.107 per le persone occupate.
Sarebbe interessante riprodurre questo studio anche in Italia per avere costi rispondenti alla realtà del nostro Paese.
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