Medicina e ricerca
Nuove terapie per i casi più difficili di artrite reumatoide. Una ricerca tutta italiana
Ricercatori dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e del Policlinico Agostino Gemelli di Roma, in collaborazione con colleghi dell'Istituto di chimica del riconoscimento molecolare del consiglio nazionale delle ricerche (Icrm-Cnr) di Roma hanno scoperto tre nuove classi di molecole efficaci contro i casi più critici di artrite reumatoide. Le molecole, già coperte da brevetto, diventeranno farmaci dell'azienda farmaceutica italiana Galsor Srl.
La patologia
L'artrite reumatoide è una patologia infiammatoria progressiva, di origine autoimmune, con un'incidenza tra lo 0.5 e l'1% della popolazione, che interessa principalmente le articolazioni e coinvolge tutti gli organi e apparati, causando aumento di morbidità e riduzione della aspettativa di vita. Circa il 40% dei pazienti condivide, come comune fattore genetico predisponente, una variante associata a una forma più grave di malattia e che risponde meno ai farmaci attualmente in uso che sono di due tipi: quelli capaci di rallentare l'infiammazione e quelli biologici che bloccano i mediatori più importanti dell'infiammazione. Tali trattamenti, bloccando in maniera non-specifica la risposta infiammatoria, provocano frequenti effetti collaterali. Inoltre i farmaci biologici attualmente disponibili hanno un elevato costo per il Ssn. È proprio questa categoria di pazienti che ricaverebbe beneficio dalle nuove molecole messe a punto dal team dell'Università Cattolica-Policlinico Gemelli-Cnr.
«Per selezionare i principi attivi di potenziali nuovi farmaci, abbiamo usato la tecnica dello screening virtuale, selezionando da una libreria virtuale, contenente centinaia di migliaia di composti, le molecole la cui forma tridimensionale si adatta bene al bersaglio farmacologico specifico, come in un puzzle», spiega Maria Cristina De Rosa dell'Icrm-Cnr. «Abbiamo scoperto tre famiglie di molecole che si incastrano nella sede bersaglio dei linfociti, come una chiave alla sua serratura, impedendo ai linfociti stessi di andare a danneggiare l'articolazione. Il loro bersaglio è infatti la “nicchia” molecolare sulle articolazioni cui si vanno ad attaccare i linfociti T dannosi».
I ricercatori hanno testato sperimentalmente sulle cellule dei pazienti i composti capostipiti delle tre famiglie dimostrando la loro efficacia e, sulla base di risultati preliminari, l'assenza di effetti dannosi. I composti sono oggetto del brevetto depositato (Università Cattolica e CNR sono titolari al 50% della proprietà intellettuale) e della collaborazione con Galsor. L'intesa unisce le competenze di due importanti Enti di ricerca nazionali quali l'Università Cattolica e il CNR, le potenzialità cliniche del Policlinico A. Gemelli e la capacità imprenditoriale della Galsor, per sviluppare un farmaco personalizzato.
«Il farmaco sarà vantaggioso per una parte consistente e facilmente identificabile dei pazienti, aumentando l'efficacia e riducendo gli effetti collaterali e i costi dell'approccio attuale», sottolinea il professor Gianfranco Ferraccioli, Ordinario di Reumatologia all'Università Cattolica e Direttore del Polo Urologia, Nefrologia e Specialità Mediche del Policlinico A. Gemelli. «I tempi per realizzare e sperimentare il farmaco dipenderanno molto dagli investimenti che verranno effettuati – ma ci auguriamo che possano, per il bene dei pazienti, arrivare presto sul mercato. Trattandosi di molecole chimiche conosciute la tempistica di raggiungimento del mercato dovrebbe essere ridotta».
Il lavoro ha visto per l'Università Cattolica e per il Policlinico Gemelli la collaborazione dell'Istituto di Patologia Generale con il professor Francesco Ria e la dottoressa Chiara Nicolò, e dell'Istituto di Biochimica e Biochimica Clinica con il professor Bruno Giardina e il dottor Davide Pirolli.
Per realizzazione e sperimentazione del farmaco serviranno alcuni anni: «È difficile in questa fase stabilire con esattezza il tempo necessario – dichiara l'Ad di Galsor Srl Sandro Soriano - ma abbiamo programmato le varie fasi di sviluppo in circa nove anni. A ogni modo, faremo di tutto per accorciare questi tempi quanto possibile». Al momento, precisa il dottor Soriano, «è stato fatto uno specifico studio di fattibilità delle varie fasi di sviluppo del farmaco e l'individuazione delle partnership necessarie per tutte le fasi precliniche e la sperimentazione clinica di fase 1».
Si tratta di «una sfida ambiziosa», spiega Soriano, raccolta da Galsor perché «abbiamo valutato il progetto di grande potenzialità e, soprattutto, ci ha convinto molto il lavoro svolto dai ricercatori dell'Università Cattolica e del CNR. Inoltre, la mission della Galsor è proprio puntare su prodotti estremamente innovativi, per cui non potevamo non cogliere questa opportunità e non accettare questa sfida».
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