Medicina e ricerca

La rivoluzione della cardiologia interventistica nel nuovo millennio

di Sergio Berti (presidente della Società italiana di cardiologia interventistica -Gise)

Si è da poco concluso a Genova il 36° Congresso della Società italiana di cardiologia interventistica Sici-Gise. Trentasei anni di storia e di cultura cardiologica di questa società scientifica, uno straordinario milieu di esperienza e professionalità concentrati in un Congresso che ha riunito quasi 1700 professionisti e che per la prima volta ha ottenuto l'endorsement della Società europea di cardiologia interventistica, l'Eapci.
Gise rappresenta una comunità scientifica che da sempre si è distinta per la dinamicità intellettuale e per l'interesse alla gestione del dato clinico e, per questo motivo, sostiene che la componente clinica in generale e le società scientifiche debbano contribuire in modo critico al governo dell'innovazione tecnologica, parte centrale della cardiologia interventistica e una delle nostre principali aree di interesse.

Il ruolo dell’innovazione tecnologica
Proprio grazie all'innovazione tecnologica la cardiologia interventistica ha infatti avuto negli ultimi anni un rapido sviluppo soprattutto grazie a sofisticati dispositivi miniaturizzati che hanno facilitato sia la pratica diagnostica che gli interventi terapeutici e che sono diventati decisamente poco invasivi rispetto al passato. Basti pensare che in Italia ogni anno si eseguono 334.304 procedure di cardiologia interventistica di cui circa 277.000 procedure diagnostiche tra cui coronarografie, angiografie periferiche, cateterismo cardiaco destro e sinistro; 142.000 angioplastiche coronariche (di cui 32.000 in corso di infarto acuto); 12.000 angioplastiche periferiche; 2.600 vulvoplastiche; 600 riparazioni percutanee di insufficienza valvolare mitralica; 2.300 chiusure percutanee di difetti cardiaci congeniti. In una popolazione sempre più anziana e con molteplici patologie ed elevato rischio di mortalità operatoria, anche l'impiego di farmaci di nuova concezione negli ultimi 5-6 anni ha facilitato il trattamento delle patologie cardiovascolari e ha permesso di ottenere un elevato successo procedurale. In questo ambito il trattamento farmacologico complementare ed indispensabile alle procedure interventistiche (sempre più parliamo di terapia farmaco-interventistica) sta andando oggi sempre di più verso la personalizzazione avvicinandosi finalmente a strategie di cura mirate al singolo paziente piuttosto che al classico “one size fits all”. Solo per fare un esempio la doppia terapia antiaggregante, fondamentale per i pazienti dopo l'impianto di uno stent “medicato”, fino ad oggi era consigliata a tutti per un periodo di 12 mesi. Attualmente invece, sempre in un'ottica di individualizzazione della terapia, in alcuni casi è da considerarsi sicuro sospendere uno dei due farmaci dopo soli 3 mesi, in altri (in soggetti a basso rischio di emorragia) può essere ragionevolmente prolungata anche oltre i canonici 12 mesi.

La cardiologia interventistica strutturale
Altra grande protagonista del Congresso è stata la Cardiologia interventistica strutturale, ovvero la nuova branca della Cardiologia Interventistica che va oltre l'intervento sulle coronarie. Al momento a dominare la scena è senza dubbio l'impianto di valvola aortica percutanea, unico modo per impedire la progressione della stenosi. Anche in quest'ambito oggi possono essere usate tecniche mini-invasive, finalizzate a ridurre i rischi operatori, mediante la diminuzione dell'invasività dell'atto chirurgico e la riduzione dei tempi di intervento. La tecnologia in questo ambito ha fatto passi da gigante che hanno portato allo sviluppo di protesi e di tecniche che permettono operazioni molto più rapide e meno traumatiche per il paziente, portando ad una drastica riduzione delle complicanze periprocedurali e ad un sopravvivenza ad un anno superiore al 90%, risultato assolutamente impensabile fino a pochi anni fa. Anche per quanto riguarda l'insufficienza mitralica la terapia percutanea mininvasiva permette di congiungere i lembi della valvola mitrale tramite una semplice “clip” rilasciata per mezzo di un catetere nella vena femorale: rispetto alla chirurgia a cuore aperto i pazienti hanno una ripresa migliore e possono essere dimessi dall'ospedale in tempi decisamente più rapidi, se confrontata con la terapia chirurgica convenzionale. In questo scenario si affacciano i nuovi devices per il trattamento percutaneo dell'insufficienza tricuspidalica e le protesi impiantabili per il trattamento della patologia mitralica. Da ultimo l'espansione dell'intervento di occlusione dell'auricola sinistra in pazienti con fibrillazione atriale, condizione molto frequente, soprattutto oltre i 75 anni, e che richiede quasi sempre l'uso di anticoagulanti orali per ridurre il rischio della formazione di coaguli all'interno dell'atrio sinistro e quindi di ictus ischemico. La nuova strategia terapeutica, per il 40% dei pazienti che non possono assumere tali terapie, permette di impiantare un piccolo dispositivo che occlude l'auricola sinistra, un recesso dell'atrio sinistro sede della formazione dei coaguli nel 90% dei casi, attraverso l'inserimento di un catetere in una vena della gamba. L'intervento è diventato ormai a bassissimo rischio di complicanze e viene portato a termine in oltre il 98% dei casi.
La Cardiologia interventistica si conferma quindi disciplina leader in cardiologia o forse sarebbe più corretto dire in medicina per l'introduzione di nuove tecnologie salvavita che permettono di trattare pazienti critici o pazienti anziani con molteplici patologie che sarebbero altrimenti esclusi dalla chirurgica classica per elevato rischio di mortalità operatoria. In una realtà italiana già avanzata dal punto di vista diagnostico e terapeutico, la rivoluzione tecnologica sta dando risultati estremamente positivi in termini di accesso alle terapie ma anche in termini di riduzione dei rischi e possibili complicanze procedurali.


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