Medicina e ricerca

Costruire comunità «amiche» dei pazienti

di Marco Trabucchi (Associazione italiana di Psicogeriatria)

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24 Esclusivo per Sanità24

La consueta scadenza di settembre ci ricorda il dovere di pensare alle persone affette dalla malattia di Alzheimer e dalle altre demenze. E' di prassi iniziare con i dati dell’epidemiologia, perché ancora molti non si sono resi conto della diffusione della malattia in tutte le società del mondo. Ritengo però che, vista la sensibilità ormai raggiunta della società italiana su queste tematiche, non serva insistere sulle dimensioni, anche perché poco cambia di anno in anno e si rischia di indurre un’anestesia da allarmi ripetuti. Altrettanto poco serve focalizzarsi in questa occasione sui risultati della ricerca; è il passaggio più importante per garantire un futuro migliore agli ammalati e alle loro famiglie di oggi e a quelli di domani; però, in attesa di risultati significativi, si devono evitare speranze non sostenute da fatti che si realizzano, le quali poi si traducono in pessimismo rinunciatario (il passaggio dalla speranza tradita all’inattività rispetto ad un certo obiettivo è un percorso incombente e pericoloso in molte vicende sociali, anche in ambito sanitario!).

In questo scenario è necessario attivare la progettualità collettiva, andando alla ricerca di risposte che si possono mettere in atto concretamente, qui e ora. L'approccio più incisivo consiste nell' indurre le comunità ad accogliere le persone ammalate e a sostenerle, in modo da lenire la loro sofferenza e quella delle famiglie. Ma cosa significa costruire una comunità solidale che accoglie, evitando che si tratti solo di un’affermazione teorica? Fare in modo che l’ambito di vita normale delle persone affette da demenza sia collocato in un’atmosfera di attenzione, di apertura, di disponibilità, di interventi mirati. Si deve partire dalla considerazione che la casa dell’ammalato, anche se non è collocata in una landa desertica, rischia di trovarsi in una situazione di solitudine e abbandono. Non è una “prigione”; ma talvolta chi assiste e chi è assistito si chiudono entro le mura del loro povero “castello”, perché così si sentono più sicuri rispetto a chi vive fuori, sordo alle richieste di aiuto. Una comunità solidale invece mette in atto interventi perché la chiusura non avvenga: le porte aperte portano dentro ascolto, vicinanza, dialogo, interventi di supporto sul piano clinico, psicologico, tecnologico. Come fare concretamente? Vi sono alcune sperimentazioni in particolare in Germania e in Inghilterra che mirano a creare attorno all’ammalato un’area di protezione, in modo che le strade della sua città non divengano percorsi pieni di pericoli e di paure, ma vie aperte e accoglienti. Una comunità amica delle demenze deve essere cosciente che gli ammalati possono conservare a lungo la capacità di relazione con gli altri e con l'ambiente, purché incontrino tolleranza e apertura. Ciò deve avvenire nelle piccole e nelle grandi cose di ogni giorno; se l'ammalato esce di casa trova chi lo saluta, lo accompagna nei posti trafficati, se entra in un negozio o in un bar viene accolto con calore, evitando qualsiasi perplessità o rifiuto di fronte alle sue richieste, se si rivolge ad un ufficio pubblico o ad una banca gli impiegati sono attenti alle sue esigenze e quindi a dare risposte congrue. Se entra in una chiesa è accolto con disponibilità e con la sensibilità che permette di attivare piacevoli ricordi del tempo passato (si ricordi che ancor oggi per gli anziani la religione è un momento importante dell'esperienza vitale); se si perde i vigili sanno come accompagnarlo a casa senza angosce, paure o costrizioni. Se incontra dei ragazzini per la strada questi conoscono la malattia e sanno come avvicinarsi alla persone con ridotta cognitività e che hanno perso la memoria; quindi invece che canzonarlo lo circondano di attenzioni, attivando le residue capacità di relazione dell’ammalato.

Questo programma richiede un impegno solidale dell'intera comunità per essere messo in atto, con la collaborazione di diversi mondi: dall'autorità comunale, alle forze dell'ordine, all'associazione commercianti, alle scuole, alla chiesa.

Anche il sistema sanitario deve partecipare all’impresa; a questo proposito è utile insistere sull’opportunità che attorno alla cura delle malattie croniche si attivi una collaborazione intensa con i comuni, evitando separazioni che non hanno fondamento clinico. Infatti la comunità solidale avrà centri di accoglienza aperti per alcune ore al giorno perché sostenuti dal volontariato, organizzazioni come le residenze per anziani saranno disponibili a portare all'esterno i loro servizi. Anche l’ospedale sentirà di avere una responsabilità particolare verso le persone affette da demenza; il pronto soccorso non sarà una porta chiusa dietro la quale non si sa cosa avviene, ma un luogo dove l'ammalato entra con la sua famiglia, viene trattato con tolleranza e accompagnato con dolcezza nelle diverse procedure diagnostiche e terapeutiche. Lo stesso potrà avvenire per i reparti di degenza.
Una comunità amica delle persone affette dalla demenza non costa in termini economici, ma è molto impegnativa in termini di formazione, di adeguamento dei comportamenti, di attenzione verso le fragilità. Perché non provare a costruirla? Il Sud Tirolo si è impegnato a diventare una Provincia amica delle demenze; un percorso che guardiamo con grande interesse.


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