Lavoro e professione

Sciopero 20 novembre, il balletto sui dati emblematico della distanza tra medici, aziende e istituzioni

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

Se si cerca una rappresentazione sintetica e allo stesso tempo emblematica dello stato in cui versa il Ssn, si può senz’altro fare riferimento allo sciopero del 20 novembre. Non sulle motivazioni o sui contenuti - fin troppo chiari, se non si è prevenuti o totalmente all’oscuro della materia - bensì sui flussi comunicativi e, in particolare, sui dati relativi allo sciopero. È un mistero assoluto come sia possibile, in un paese normale e su una questione così delicata e importante, passare da una adesione dell’85% di fonte sindacale a quella di poco più dell’1% di fonte governativa: come detto, è un mistero, ma è fortemente segnaletico di quanto sia abissale la distanza tra le rispettive posizioni, distanza senz’altro ideologica ma, evidentemente, anche relativa ai metodi e agli strumenti dialettici utilizzati. Non bastavano le diatribe sul finanziamento della Sanità pubblica, le rivendicazioni retributive e le risibili controproposte datoriali, lo scarico di responsabilità tra Governo e Regioni e tra Governo e i precedenti esecutivi: nemmeno sulla riuscita dello sciopero si può ritrovare, non dico una condivisione, ma almeno una ragionevole oggettività nel monitorare i dati. Nella tabella ufficiale della Funzione pubblica allegata, peraltro relativa a dati provvisori, si possono leggere indicazioni sconcertanti. In particolare:
• se il personale rilevato complessivamente è di 373.221 unità e si riferisce al 26,57% delle amministrazioni che hanno inserito i dati in procedura, significa che il totale del personale della Sanità dovrebbe essere circa 1.400.000, dato ovviamente assurdo: non sarà che il 26,57% riguarda il numero delle aziende che non hanno inviato i dati?
• non è dato capire la tipologia del personale oggetto di monitoraggio perché se il numero di 373.000 comprende indistintamente tutto il personale, il dato appare scorretto e fuorviante perché lo sciopero – come da intestazione della tabella - riguarda esclusivamente la dirigenza e “le professioni sanitarie del Ssn” cioè al netto del personale tecnico (circa 100.000) e amministrativo (circa 55.000) del comparto;
• nella tabella manca una colonna necessaria per conferire oggettività alla rilevazione: oltre al personale in servizio e a quello assente per altri motivi, sarebbe indispensabile il numero del personale precettato, altrimenti la percentuale di adesioni che si ricava è del tutto incompleta;
• la rilevazione si riferisce alle ore 10,30, per cui non comprende tutto il personale turnista che il 20 novembre avrebbe dovuto lavorare di pomeriggio.
A prescindere dalla elaborazione dei dati, sarebbe interessante conoscere i provvedimenti che le Regioni intendono adottare nei confronti delle aziende sanitarie che non hanno comunicato le adesioni. L’art. 5 della legge 146/1990 prevede espressamente che “Le amministrazioni o le imprese erogatrici di servizi di cui all’articolo 1 sono tenute a rendere pubblico tempestivamente il numero dei lavoratori che hanno partecipato allo sciopero, la durata dello stesso e la misura delle trattenute effettuate secondo la disciplina vigente”. Ora, è pur vero che la disposizione non indica sanzioni o penalizzazioni, ma in questo momento storico così denso di tensioni non dovrebbero essere consentite leggerezze di questo tipo e le parole “sono tenute” dovrebbero imporre comportamenti quantomeno corretti. Se i dati non sono stati forniti per inerzia o dimenticanza, si tratterebbe di uno dei tanti adempimenti che non vengono fatti correttamente. Ma se la incompletezza dei dati cela motivazioni intenzionali, allora la questione sarebbe veramente inquietante.
Tra l’altro, si deve considerare che per la Sanità gli atti aziendali prodromici sono ben diversi da quelli di quasi tutte le altre amministrazioni pubbliche. L’individuazione dei contingenti del personale esonerato dallo sciopero - cioè, in termini più realistici,i lavoratori “precettati” - coinvolge una platea molto più larga per evidenti motivi: basti pensare, in proposito, che negli accordi aziendali sui servizi minimi da garantire sono, in linea di massima, previsti quelli attivi nelle giornate festive, mentre nella stragrande maggioranza delle amministrazioni degli altri tre comparti gli uffici e i servizi sono chiusi nei giorni festivi. A proposito delle regole pattizie per la garanzia dei servizi pubblici minimi, per la Sanità sono vigenti l’Accordo sui servizi minimi in caso di sciopero del 26.9.2001 per la dirigenza medica e veterinaria e l’omologo Accordo per il comparto del 20.9 2001. I due accordi, sostanzialmente uguali, sono molto dettagliati e disciplinano tutti gli aspetti di natura organizzativa che precedono lo sciopero e le modalità di svolgimento dello stesso.
Un aspetto particolare dello sciopero del 20 novembre è la dichiarazione secondo la quale molte aziende sanitarie hanno attivato tutte le iniziative possibili per limitare al massimo i disagi all’utenza. In tale contesto si inserisce una questione annosa come quella della sostituzione dei lavoratori che hanno aderito allo sciopero. A parte il fatto che con la diffusa e crescente carenza di personale l’operazione sarebbe già parecchio difficile, si deve segnalare che in tempi e contesti diversi la sostituzione veniva spesso considerata condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, ma recentemente la Suprema Corte ha ritenuto legittima la sostituzione. Secondo il costante orientamento giurisprudenziale, vedi da ultima la sentenza della Corte di Cassazione, sez. lavoro, n. 9709/2022, nel caso della proclamazione di uno sciopero da parte delle organizzazioni sindacali di categoria, “non costituisce attività antisindacale la condotta del datore di lavoro che, nell’intento di limitarne le conseguenze dannose, disponga la adibizione del personale rimasto in servizio alle mansioni dei lavoratori in sciopero, anche se tale adibizione avvenga mediante l’assegnazione a mansioni inferiori”.
Tra l’altro è chiaro che sono ben diversi gli effetti dello sciopero sulla produzione industriale che ricadono esclusivamente sul datore di lavoro rispetto alla pubblica amministrazione dove le conseguenze le pagano i cittadini. E questa considerazione vale ancor di più per la Sanità dove i servizi erogati rispondono ad un preciso precetto costituzionale. Nondimeno va precisato che, se da un lato sia ormai consolidato l’orientamento secondo cui il datore di lavoro non possa sostituire i lavoratori con personale esterno, dall’altro, lo stesso principio non valga nel caso di sostituzione degli scioperanti con risorse interne all’azienda. In stretta correlazione con quanto appena riportato, si ricorda che l’art 32, comma 1, del d.lgs. 81/2025 vieta espressamente la possibilità di sostituire i lavoratori in sciopero con il ricorso a contratti di somministrazione. La norma risale alla legge Treu del 1996, poi rielaborata dal decreto Biagi nel 2003 e, infine, sistematizzata dalla sopra richiamata disposizione di uno dei decreti del cosiddetto Jobs Act. Considerato il notevole utilizzo da parte delle aziende sanitarie del personale interinale, sarebbe importante verificare quanto è accaduto in tal senso il 20 novembre. Ovviamente, deve ritenersi ancor più vietato il ricorso ai famigerati “gettonisti”.


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