Lavoro e professione

Retribuzioni e pensioni: gap di genere anche tra i medici

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

Per chi lavora l’intero anno la retribuzione media delle donne è inferiore del 18% a quella dei maschi. Per chi lavora una parte dell’anno la retribuzione media giornaliera è inferiore del 26% a quella corrispondente dei maschi. Nel 2023 le retribuzioni settimanali lorde degli uomini sono state superiori in media del 28,34% di quelle delle lavoratrici: 643 euro contro 501. A fotografare questo gap ancora marcato è il Rendiconto sociale dell’Inps.
Rendiconto che, riguardo ai lavoratori del settore privato, evidenzia che la retribuzione media annua degli uomini è pari a 26.227 euro contro i 18.305 euro delle donne, con una differenza di circa ottomila euro annui, con, poi, un evidente assegno più basso per le pensioni.
Lo conferma l’ultimo rapporto annuale, sempre dell’Inps, di settembre, secondo cui nel 2023 la pensione media mensile degli uomini era pari a 1.750 euro lordi a fronte dei 1.069 euro mensili lordi per le donne. Circa 1.430 euro netti per gli uomini e 947 euro netti per le donne. La rilevazione dell’Inps sottolinea che tutti i dati relativi ai livelli occupazionali, alle condizioni contrattuali, ai livelli retributivi e pensionistici evidenziano la permanenza di una discriminazione di genere ancora rilevante. Considerazione che giunge nello stesso periodo in cui da uno studio di Confcommercio emerge che in Italia il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro tra i 15 e i 74 anni è ancora lontano dai livelli europei. Lo scorso anno è stato del 49,3%, al di sotto di oltre 12 punti del livello della Ue a 26 (61,8%).
Un divario che, ha fatto notare Confcommercio, aumenta nel tempo : da 11,6 punti percentuali del 2018 a 12,5 punti del 2023. Divario che rappresenta uno dei principali problemi per la crescita di lungo termine del nostro Paese.
Peraltro, altro dato sconfortante, e che incrementa ancora di più il gap femminile è determinato dalla costatazione che con la nascita di un figlio sale la probabilità di uscita dal lavoro per la donna e si riduce per l’uomo. Prima della nascita di un figlio la probabilità di uscita dal lavoro è simile per uomini e donne con l’8,5%-9% per i primi e il 10,5%-11% per le seconde. Mentre nell’anno di nascita la percentuale sale al 18% per le donne e scende all’8% per gli uomini. A sette anni dalla nascita del figlio la probabilità di uscita dal lavoro è del 5% per gli uomini e del 10% per le donne. La nascita pesa anche sui redditi con le donne che perdono il 16% dei redditi se hanno il congedo di maternità e il 76% dei redditi se non possono contare su questo ammortizzatore. La nascita di un figlio non incide negativamente sui reddito degli uomini che, anzi a 7 anni dalla nascita di un figlio, contano in media su un incremento del reddito di circa ilo 50%.
Proprio il tema della femminilizzazione della professione medica, e dei suoi aspetti economici è stato quest’anno al centro del Bilancio Sociale dell’Enpam.
Le donne medico in attività sono di più dei loro colleghi uomini.
All’interno dell’intera categoria medica ed odontoiatrica, come illustrato dal Bilancio Sociale 2024 dell’Enpam, appena pubblicato, il rapporto era di 50,1 femmine per 49,9 maschi (dato rilevato al 31 dicembre 2023). A fine 2023, la tendenza già in atto da diversi anni, si è definitivamente consolidata facendo segnare statisticamente un sorpasso minimo nella percentuale, ma particolarmente simbolico nel significato.
Un vantaggio a favore delle donne destinato inevitabilmente a crescere ulteriormente nei prossimi anni se si considera che tra i nuovi iscritti alla Quota A, cioè tutti i nuovi camici bianchi che si sono affacciati alla professione medica e odontoiatrica nel 2023, ben il 59 per cento è donna a fronte del 41 per cento di maschi.
Si confermano, tuttavia, importanti differenze a seconda del tipo di attività.
In generale quella meno “femminilizzata” è la specialistica esterna (31% le donne 69% gli uomini). La libera professione medica, quella che versa i propri contributi alla cosiddetta Quota B, è tuttora appannaggio degli uomini (62 per cento contro il 38 delle donne) , specie nella componente odontoiatrica.
Nel settore del lavoro in convenzionamento con il Servizio sanitario nazionale, invece, nella specialistica ambulatoriale, la prevalenza femminile è ormai consolidata (55 per cento donne e 45 per cento uomini), mentre nell’ambito della medicina generale, per intenderci quella dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta, il sorpasso non è ancora avvenuto, ma è ormai dietro l’angolo, con i maschi ancora al 51 per cento e la componente femminile in forte ascesa al 49 per cento.
Purtroppo le donne medico non sfuggono al gender gap se si considerano i dati rilevati dall’Enpam che mostrano come, a parità di ruolo, una donna medico guadagna, in media, il 30% in meno rispetto a un suo collega maschio.
Le donne medico, che risultano, nel 2022, attive alla così detta quota B (redditi da libera professione) dell’Enpam, sono circa 35.000 e indicano un reddito medio di 50mila euro, mentre gli uomini sono 46.500 con reddito medio dichiarato di 80mila euro. Esaminando la percentuale di reddito per le diverse fasce d’età si evince come la differenza di reddito dovuta al genere sia persistente per tutte le fasce d’età ma con delle importanti differenze.
Le professioniste nella classe di età 60-69 anni presentano redditi in media di circa 48 mila euro rispetto ai 74 mila notificati dai loro colleghi dell’altro sesso. I dati relativi alle classi di età più giovani tendono a confermare la disparità retributiva di genere all’interno del Ssn. Nella fascia d’età 20-29 anni i medici uomini che svolgono libera professione denunciano circa 22 mila euro l’anno contro i 17 mila delle donne, mentre tra 30-39 anni i maschi guadagnano 44mila euro contro i 32 mila delle femmine.
Aumenta, anche, la presenza femminile nelle file di tutte le professioni ordinistiche. Ma i compensi delle donne continuano a soffrire di un divario di genere così come quello delle donne medico, in particolare, quali libero professioniste.
Negli ultimi 17 anni la percentuale di iscritte donne è cresciuta notevolmente. Le iscritte donne rappresentano, al 2023, quasi il 41 per cento del totale. Tra gli “under 40” sono circa il 54 per cento, percentuale che decresce con l’aumentare dell’età. Tra i nuovi iscritti sono al 52 per cento donne. Considerando solo gli under 40 le nuove iscritte superano i colleghi uomini di quasi il 7 per cento.
Se analizziamo i dati relativamente alle differenze di genere, Gpg (Gender pay gap), tra i liberi professionisti iscritti agli Enti previdenziali, nel 2023, si registra una differenza di reddito pari a circa il 45 per cento.
Da sottolineare anche una maggiore differenza tra reddito e fatturato nei professionisti uomini rispetto alle loro colleghe donne. Il fenomeno è ascrivibile a diverse cause. Tra queste è possibile ipotizzare che, in molti casi, l’attività professionale sia in realtà un’attività svolta in favore di altri professionisti, rendendola più simile a quella di lavoro dipendente/collaboratore. Ciò comporta che il fatturato coincida quasi completamento con il reddito. Quanto appena descritto è, in particolar modo, rilevante per i giovani e le donne. Altre cause possono essere ricercate nelle diverse specializzazioni scelte dalle professioniste donne per poter conciliare vita familiare e lavoro professionale.


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