Lavoro e professione
Angelelli (Cei): per superare le violenze ai sanitari ricostruire la fiducia dei cittadini nel Ssn
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“Se vogliamo mettere un freno alle aggressioni ai sanitari è necessario ricostruire quel rapporto di fiducia tra cittadino e servizio sanitario, che si è andato sgretolando nel tempo”. E’ l’appello che don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio Cei per la Pastorale per la Salute, ha lanciato al Convegno sulla Responsabilità Sanitaria organizzato a Roma dall’Aris nazionale, Aris Lazio e Provincia Romana dei Camilliani. Un incontro – presenti medici, magistrati, legali ed assicuratori – durante il quale sono stati resi noti anche i dati più aggiornati sugli errori commessi nei ricoveri ospedalieri e le relative conseguenze legali. “Cifre indubbiamente preoccupanti – stando all’analisi dei relatori – che in Italia ogni anno vede coinvolto “circa un milioni di pazienti vittime di errori sanitari su circa 10 milioni di ricoveri ospedalieri, tra i quali circa 6-7 mila muoiono per cause connesse direttamente o indirettamente ai trattamenti sanitari ricevuti”. Per don Angelelli, “la mancanza di fiducia non solo genera malcontento e a volte assurde pretese e voglia di rivalsa da parte del cittadino, ma anche lo smisurato aumento del ricorso alla cosiddetta e nota medicina difensiva che comporta per lo Stato una spesa stimata intorno ai 9 miliardi di euro”.
“In poche parole – l’esortazione del direttore - ci vuole una de-escalation della pericolosa tensione che si è creata tra l’esasperazione del paziente e l’impossibilità miracolistica del medico”. Una frase forte e dall’indubbio sapore belligerante “acquisito purtroppo in questo tempo di guerre per esprimere la preoccupazione e l’amarezza che suscitano i continui episodi di violenza contro i sanitari”. “Con ogni probabilità queste dinamiche violente – ha aggiunto - sono alimentate anche dallo “squilibrio che si è venuto a creare dal momento in cui l’atto medico è scivolato nel penale ed ha creato quella frattura nel rapporto medico-paziente, oggi difficile da risanare”. “Che senso ha – si è chiesto don Angelelli – continuare a chiedere sempre più finanziamenti per la sanità se poi i fondi vengono diluiti in cose futili, delle quali si potrebbe fare tranquillamente a meno? E non parlo evidentemente della sola medicina difensiva, penso per esempio alla questione dell’appropriatezza delle cure”. Dunque, è in questo clima di sfiducia dei cittadini nel sistema che “nascono molto probabilmente i conflitti nei Pronto Soccorso e gli schiaffi che volano contro medici ed infermieri”.
“Eppure per quanto strano possa sembrare il nostro SSN funziona, offre assistenza di qualità, è uno dei migliori in Europa, forse nel mondo. Ma sembra che tutto vada male e cresce la sfiducia della gente”. Sul da farsi, don Angelelli ha indicato la strada della “rimessa mano al concetto di relazione tra paziente e medico, o meglio tra paziente e sistema sanitario. Continuiamo a parlare di prestazioni, a ragionare in termini quantitativi piuttosto che qualitativi. E per qualitativi intendo proprio qualità di relazioni. Per esperienza posso assicurarvi che le buone relazioni tra medico, paziente e parenti del paziente sminuiscono il ricorso al contenzioso. Dobbiamo capire che c’è una bella differenza tra il vedersi curati e il sentirsi curati”. Da qui la proposta di “riflettere sulla possibilità di rivedere il sistema di penalizzazione dell’atto medico” perché “non è possibile che la morte di un paziente sia attribuita tout court al medico che lo ha curato o alla struttura che lo ha accolto. Senza poi tener conto al sistema folle che questa possibilità ha creato: a chi non è mai capitato di ascoltare alla radio magari della macchina, mentre guida, spot del tipo ‘se pensi di aver subito un torto in sanità rivolgiti al nostro studio tal dei tali: ci pagherai solo a causa vinta’. Non lo possiamo accettare. Come credo non lo possano accettare le assicurazioni costrette a rimborsi astronomici e dunque di conseguenza costrette a chiedere premi insostenibili per tanti medici e tante strutture”.
Nel suo indirizzo di saluto, padre Virginio Bebber, presidente Nazionale dell’ARIS, riprendendo le parole di don Angelelli, ha sottolineato come nelle strutture socio-sanitarie associate all’ARIS “si pone una grande attenzione proprio all’istaurazione di un ottimo rapporto relazionale tra paziente e personale sanitario”. Una sensibilità socio-curativa messa in pratica “per far sì che il malato si senta non solo curato, ma possa contare su qualcuno che si prende cura di lui. Come diceva san Camillo ai sui discepoli ‘il malato è il nostro padrone’”.
Infine Michele Bellomo, presidente di ARIS Lazio, che si è soffermato sulle difficoltà che deve affrontare quotidianamente chi gestisce una struttura sanitaria “in questi tempi difficili in cui – ha specificato - oltre a circondarsi di personale sanitario deve aggiungere avvocati e assicuratori” e naturalmente cercare di coprire i costi di queste altre figure professionali, pur restando nei limiti gestionali. “Ciononostante – ha concluso Bellomo – nelle nostre strutture sanitarie, tutte di matrice religiosa, resta fondamentale il benessere del paziente così come la tutela dei nostri collaboratori. Facciamo tanti sacrifici, ma andiamo avanti. Facciamo anche tanta fatica a farci riconoscere i nostri sforzi. E pensare che nelle nostre strutture convenzionate e non profit, allo Stato le nostre prestazioni per paziente costano circa il 40% di meno che nelle strutture pubbliche”.
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