Lavoro e professione
Fabbisogno di personale: nell’horror delle disuguaglianze di salute nostrane affidarsi all’AI è un sacrilegio
di Ettore Jorio
24 Esclusivo per Sanità24
IA e programmazione: un binomio per molti versi inquietante, allorquando si presume di processare il fabbisogno epidemiologico in contumacia. Attrarre infatti, creativamente, i fattori che esprimono il necessario e l’utile nella tutela della salute per darli in pasto a valutazioni informatizzate - peraltro desunte da campioni che, ben si sa, nel nostro Paese non sono affatto rappresentativi dei particolari e differenziati siti di provenienza, geografica e istituzionale – rappresenta un grave pericolo per l’assistenza socio sanitaria di domani. Aggiunta alla situazione penosa di oggi, che fotografa un presente assistenziale da horror per le categorie più deboli, si va ovviamente ben oltre il pericolo.
L’«empirismo informatizzato», così mi piace chiamare l’IA
Affidare alla IA dati desunti dalla statistica “bugiarda”, non rilevati materialmente e quantomeno estratti da valorizzazioni vecchie almeno di due anni, è sacrilegio. Ciò accade perché, molto spesso, il processo del censimento è consegnato a soggetti poco affidabili per non essere attrezzati di professionalità necessaria ad effettuare le rilevazioni in loco dei fabbisogni, nella specie in un Paese con una Nazione che si esprime in senso “dialettale” e spesso incapace di manifestare le proprie sofferenze.
Tanto sono diversi l’orografia, il sistema viario, le economie, i fabbisogni epidemiologici, i rischi epidemici e le conseguenti condizioni di vita delle persone che diventa davvero difficile ad alcune regioni ritrovarsi e riconoscersi come parte di un insieme sociale che, di fatto, non c’è. Tanto è disgregato il servizio sanitario nazionale divenuto da tempo a-sistemico.
Rivolgersi a una metodologia simile, seppure in via sperimentale - così come pretesa dalla anzidetta legge di bilancio per il 2022 (art. 1, comma 269, della legge 234/2021) - dimostra più la volontà di esperire un tentativo piuttosto che pervenire alla migliore soluzione. Ciò lo si ricava dalla stessa lettera interministeriale, a dir poco preoccupante, che confessa il possesso di “armi puntate” dichiarando «la complessità dei contesti analizzati per la definizione della metodologia proposta e il campione limitato di strutture posto alla base dell’analisi dei dati, dovuto alla partecipazione su base volontaria di alcune regioni ai fini della fornitura di dati utili allo sviluppo della metodologia».
Quanto deliberato non costituisce affatto lo strumento ideale e ottimale per pervenire a un corretto fabbisogno di personale ospedaliero, funzionale a consegnare alle persone la migliore performance della PA sociosanitaria. Maggiormente per la sanità territoriale, ove il processo di individuazione del fabbisogno di personale dei presidi di spedalità spoke è alquanto complesso e suscettibile di condizioni di utilità mutevole. Ciò nel senso che, atteso che esso è attribuito alle aziende sanitarie fin troppo diverse tra loro, deve tenere conto – tra le altre situazioni riguardanti la viabilità e l’urbanistica - delle variabili di vita, del patrimonio strutturale, delle patologie ivi radicate, dei rischi territoriali, della cultura sociale e della economia, che sono tali da condizionare l’organizzazione pubblica e la disponibilità delle risorse umane da individuare, anche esse differenziate. Tutto questo, nella particolarità, di programmare le condizioni assistenziali di vita e di lavoro ottimali nonché di quella territoriale, funzionali entrambi a filtrare la domanda a quella ospedaliera.
Evitiamo gli errori insanabili
Ebbene, proprio per questi motivi, tenuto conto degli anzidetti elementi di diversificazione caratterizzanti la previsione degli organici da destinare a servizi pubblici, occorrerà stare ben attenti a non combinare guai, facili da concretizzare con ricorso a previsioni informatiche. Ciò perché dalla determinazione del fabbisogno viene a pagare pegno anche il bilancio di previsione, e dunque delle relative coperture, con sopportazione dei costi duraturi, che vanno ben oltre il triennio interessato.
Ricorrere poi a formulazioni tratte – come detto - da risultati demo-statistici da estendere a tutta la PA di medesima species, cui verrebbe attribuito di definire il modello al quale fare sempre e comunque riferimento, andrebbe a creare un altro grave vulnus. Verrebbe infatti leso l’esercizio dell’autonomia riconosciuta a tutti gli enti territoriali, così come alle aziende sanitarie cui è conferita addirittura una autonomia imprenditoriale.
Una tale soluzione generebbe un rischio gravissimo, quello di registrare ricadute negative tali da misurare il fabbisogno del personale prescindendo dalle reali necessità dell’ente di riferimento, imponendo così coperture in bilancio non affatto commisurate né alle esigenze di servizio, né alla domanda sociale e né tampoco alle disponibilità economiche che, di qui in poi, dovranno fare i conti con il patto di stabilità e crescita.
Non solo. Anche l’introduzione a regime del federalismo fiscale netterà a rischio la stima dei fabbisogni standard regionali, sia nella fase di programmazione che in quella di conduzione e gestione.
Insomma, in un momento nel quale sono in corsa l’individuazione del Lep, la determinazione dei costi standard e fabbisogni standard quantitativi per gli enti locali, la definizione dei fabbisogni standard differenziati regionali per i Lep e No Lep nonché delle regole e dei valori garanti della perequazione, ricorrere ad algoritmi appare francamente eccessivamente creativo.
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