Lavoro e professione
Aggressioni in corsia: l’81% le ha subite ma il 69% non denuncia. Di Silverio: Finanziare il Ssn per aumentare i servizi e abbattere la frustrazione di medici e pazienti
di Anaao Assomed
24 Esclusivo per Sanità24
Sono quotidiane ormai le aggressioni verbali e fisiche ai danni dei colleghi medici e dirigenti sanitari. Le notizie che emergono all’onore delle cronache sono solo quelle più gravi e drammatiche, e rappresentano appena la punta dell’iceberg di una situazione preoccupante, diffusa e costante di aggressioni, che crea un clima di paura sul posto di lavoro per molti colleghi, e colleghe soprattutto.
Siamo ormai in un vero e proprio stato di emergenza e l’escalation non sembra fermarsi.
Per tenere alta l’attenzione, è importante anche il supporto di dati che forniscano al Governo, alle istituzioni e all’opinione pubblica le reali dimensioni di questo fenomeno: per questo Anaao Assomed ha sottoposto ai propri iscritti e ha diffuso sui canali social a tutti i dirigenti sanitari, un sondaggio nel mese di marzo, su un campione rappresentativo di professionisti.
I responders sono proporzionalmente rappresentativi di tutte le fasce di età e tra loro è prevalete il genere femminile, indicatore di come il problema sia maggiormente sentito dalle donne.
I medici di tutte le discipline, nessuna esclusa, hanno risposto al sondaggio. Ma va sottolineato come ben il 13% dei responders lavori in Psichiatria e l’11% in Pronto Soccorso / Medicina d’emergenza-urgenza.
Queste le due discipline a maggior rischio di aggressione, per dinamiche differenti che tuttavia hanno come causa comune la carenza di personale e il definanziamento del SSN.
Nei dipartimenti di emergenza, sono soprattutto i parenti ad aggredire il personale, dove le ben note attese spesso slatentizzano violenza e frustrazioni represse. Quindi il sovraffollamento, la carenza di posti letto e di personale contribuiscono a istigare comportamenti aggressivi, dove il medico non viene più visto come colui che si prende cura ma colui che colpevolmente trascura.
Nei reparti di psichiatria è il paziente ad aggredire, in condizioni di acuzie psicopatologica, quando non è ancora compensato dalla terapia farmacologica, o di una condizione di intossicazione da sostanze. Negli ultimi anni le diagnosi psichiatriche sono significativamente aumentate mentre in parallelo i medici psichiatri sono diminuiti e sono stati chiusi servizi territoriali, con gravi carenze in tutte le regioni e frequenti dimissioni spontanee dei colleghi.
Non c’è da stupirsi che le aggressioni siano in aumento: l’81% dei responders riferisce di essere stato vittima di aggressioni fisiche o verbali.
Di questi, ben il 23% riferisce aggressioni fisiche, il 77% verbali e ben il 75% ha assistito personalmente ad aggressioni ai colleghi.
Il dato è preoccupante e impone immediate iniziative per la tutela dei lavoratori.
Le aggressioni sono compiute dal paziente solo nella metà dei casi (51,3%) mentre i parenti sono responsabili del 42,3% degli eventi, soprattutto in Pronto Soccorso come esposto sopra.
Ma il dato ancor più allarmante è che ben il 69% dei sanitari non denuncia l’aggressore.
La mancata denuncia è indicativa purtroppo di una diffusa sfiducia, per esempio che l’azione legale possa alla fine condurre a concreti risultati. Ma soprattutto, gli aggrediti si arrendono per il carico emotivo e di tempo di una denuncia, che li esporrebbe a spese legali, udienze in tribunale magari ulteriori minacce da parte dell’aggressore.
Quasi tutte le aggressioni denunciate, hanno richiesto l’intervento delle forze dell’Ordine, che sono state attivate nel 26% dei casi. Quindi, solo nei casi più gravi, che poi evolvono in un esposto all’autorità giudiziaria. Il 73% dei sanitari, gestisce da solo o con l’aiuto di colleghi, le violenze verbali o fisiche.
Solo il 10% ha risposto alla domanda in cui si chiedeva di precisare i giorni di prognosi o ne ha riportato un numero.
Di questo 10%, un terzo ha riportato 10 giorni di prognosi, ma non mancano risposte più preoccupanti.
Inoltre, 29% dei responders riferisce di essere a conoscenza di casi di aggressione da cui è scaturita l’invalidità permanente o il decesso.
Nonostante la situazione sia grave, il 48% dei responders non ha idea se le aggressioni vengano identificate come evento sentinella dall’ASL/AO. Ancora una volta traspare come il problema sia sottovalutato dalle Direzioni: l’assenza di azioni a tutela dei dipendenti crea un circolo vizioso di sfiducia che porta a non denunciare, neanche all’interno dell’azienda, perché ritenuto assolutamente inutile.
Quali sono le cause che i sanitari individuano alla base delle aggressioni? Per oltre la metà dei responders, la causa non è attribuibile direttamente all’aggressore.
Infatti, il 31,4% individua il definanziamento del Ssn come causa principale, fattore questo che espone il medico perché spesso ritenuto come diretto responsabile del razionamento delle prestazioni erogate. Per il 16.7% le carenze organizzative e per il 6.7% la carenza di comunicazione sono i fattori scatenanti le aggressioni.
Il 35,5% invece attribuisce le aggressioni a fattori socio-culturali, di deprivazione sociale o di svilimento del ruolo del medico.
Infine, ben il 58% dei responders non è a conoscenza che l’argomento è oggetto di discussione ai tavoli sindacali, informazione nota solo al 24%.
Dunque cosa si può fare?
«È inutile trovare scuse: bisogna finanziare il Ssn. I tre miliardi in più sul Fsn dell’ultima legge di bilancio non bastano assolutamente. Non bastano, per esempio, a potenziare i servizi di psichiatria, ad aumentare i posti letto per acuti e cronici, a riorganizzare il territorio, ad assumere. Perché certamente è necessario aumentare gli organici: per avere più tempo per la comunicazione con i parenti, più tempo per la cura dei pazienti, meno attese nei Pronto Soccorso - commenta il Segretario Nazionale Anaao Assomed, Pierino Di Silverio -. Infine, è necessario che i medici siano protetti, soprattutto nei Pronto Soccorso più a rischio, da personale addetto alla sicurezza. Ma è paradossale che i medici debbano difendersi da coloro di cui si prendono cura. Questa aggressività purtroppo è anche fomentata da un dibattito pubblico violento, soprattutto sui social, con amplificazione di casi di presunta malasanità e da studi legali speculativi, che attuano un vero e proprio sciacallaggio nei confronti del personale sanitario, invogliando a fare cause che nel 97% dei casi si concludono con un nulla di fatto. Una cosa è certa : non possiamo esercitare una professione così delicata e impegnativa in un clima di paura costante anche solo di entrare in ospedale. È necessario – conclude Di Silverio - che medici e pazienti si uniscano per chiedere il finanziamento della sanità pubblica, e che si difendano non gli uni dagli altri ma insieme da chi la vuole smantellare».
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