Lavoro e professione

Manovra/ Tra articolo 33 e scontri governo-sindacati una dialettica incandescente e poco produttiva

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

Il livello dello scontro tra Governo e sindacati medici è arrivato a un inasprimento che rischia di superare ogni soglia di correttezza. Ho parlato di "scontro" perché in effetti negli ultimi giorni non si è più in presenza di una logica e ordinaria dialettica istituzionale ma di un vero attacco reciproco e continuo all’interno del quale si lanciano spesso affermazioni azzardate, se non del tutto infondate. Vediamo gli ultimi passaggi "dialettici" scaturiti dopo lo sciopero del 5 dicembre scorso. Cominciamo con lo scoglio forse più rilevante, il famigerato art. 33 del Ddl bilancio. Lungi dal ritirarlo completamente come esigevano i sindacati, il Governo ha formulato un emendamento con il quale l’intervento è stato ristrutturato. Ebbene, come è stato efficacemente rappresentato su questo sito lo scorso 8 dicembre, l’intervento in materia previdenziale consiste in una lunghissima integrazione della norma originaria che crea situazioni di forti discriminazioni, mantiene gravi penalizzazioni ed è, oltretutto, difficile da leggere prima ancora che da interpretare. Se poi si pensa che i problemi possano essere risolti trattenendo gli infermieri fino a 70 anni (!), c’è davvero da chiedersi se gli estensori dell’emendamento sappiano di cosa stiamo parlando.
Il nuovo art. 33 è saturo di tecnicismi e sembra scritto da un alieno che non sa cosa succede negli ospedali. È abbastanza incomprensibile come il "fine di assicurare un efficace assolvimento dei compiti primari di tutela della salute e di garantire l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza" coinvolga gli infermieri e non, ad esempio, le ostetriche o i tecnici di laboratorio. Per non parlare delle penalizzazioni perché, in ogni caso, tutta la revisione delle finestre d'uscita per le pensioni anticipate prevede un posticipo della decorrenza dell’assegno che si concretizza in un ennesimo scippo di diritti quesiti ed è in assoluta controtendenza con le chiare e inequivocabili indicazioni della Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 130 del 23 giugno 2023 (illegittimità del differimento de Tfr dei dipendenti pubblici), ha già censurato queste manovre.
Tra l’altro, in termini generali, si ricava la ossessiva – e giusta - preoccupazione del Mef di garantire "un sostanziale e complessivo equilibrio" dei conti, secondo la relazione tecnica allegata all'emendamento. Se questo zelo e ipertecnicismo contabile fosse perseguito anche nei confronti dell’evasione fiscale e del contrasto alle rendite di posizione, forse qualche problema si potrebbe risolvere.
Andiamo avanti con la dichiarazione del Presidente del Consiglio rilasciata a Milano il 7 dicembre: «Quest'anno sul fondo sanitario siamo arrivati ad una cifra mai raggiunta prima». L’affermazione è formalmente ineccepibile ma è sconcertante nel contenuto e sarebbe come dire che nel misurare l’altezza di un ragazzo di 16 anni che è arrivato a un metro e 80 si proclami che tale altezza non era stata "mai raggiunta prima". C’è poi il mistero di quell’accenno della Premier a un argomento delicato «anche immaginando una detassazione dei premi di risultato»: ecco, appunto, è immaginario. Passiamo alle repliche – piuttosto stizzite – del ministro della Salute che sul Corriere della sera del 5 dicembre riguardo alla crisi della Sanità pubblica ha detto che «affermare che intendiamo depotenziarla è ideologia pura. Mi trovi una sola norma a dimostrazione di questo assunto». Ebbene, di norme ce ne sono tre già solo in questi ultimi giorni perché in sede di conversione del decreto 145/2023 sono stati decisi questi interventi: i fondi 2023 per il bonus psicologo salgono a 10 milioni complessivi, l’aliquota agevolata Iva al 10% agli integratori alimentari e l’esenzione Iva per le prestazioni sanitarie vale anche per quelle di chirurgia estetica. Restano ovviamente sul campo le decine di interventi adottati durante l’anno, fino ai 600 milioni previsti dal Ddl bilancio in favore degli accreditati privati o all’aumento del tetto della farmaceutica convenzionata.
Decisamente poco elegante è poi il rimprovero diretto ai sindacati: «piuttosto siano rapidi nella trattativa per il rinnovo del contratto. Dipende da loro. Non li vedo uniti». Come può mai dipendere dai sindacati l’avvio della trattativa per il triennio 2022/2024 – siamo già abbondantemente oltre due terzi della vigenza – quando non è ancora stato firmato definitivamente il Ccnl 2019/2021 ? E le notizie riguardo ai controlli non sono affatto consolanti. Di chi è la responsabilità se le trattative per il rinnovo del Ccnl 2019/2021 iniziano il 2 febbraio 2023, a contratto già scaduto? Questo sgarbo istituzionale lo aveva già messo in atto il Ministro Brunetta il 17 dicembre 2021 quando sul sito del Governo scese in una polemica degradante con un sindacato infermieristico. Evidentemente il potere politico ha una singolare concezione della contrattazione collettiva e delle sue regole.


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