Lavoro e professione
Medicina Generale al bivio tra mura e cura
di Silvestro Scotti *
24 Esclusivo per Sanità24
Vorrei aprire la mia relazione parlandovi di un articolo, pubblicato da un’oncologa australiana sul Guardian, che mi ha molto colpito per le riflessioni espresse sulla medicina di famiglia; riflessioni, che seppur sorte da un contesto sociosanitario lontano e diverso dal nostro, sono assolutamente appropriate e coerenti alla nostra realtà al punto che, non vi nascondo, nel prosieguo avrò difficoltà a differenziare il suo pensiero dal nostro.
Scrive la collega: Non ha senso dire "è solo" un medico di famiglia. I medici di famiglia hanno una profonda conoscenza della condizione umana.
L’articolo si apre con un racconto: Il medico di famiglia ha ricevuto la chiamata di una paziente oncologica che gli comunica che "preferisce morire piuttosto che fare una ulteriore chemio", spingendolo in tal modo a chiamare l’oncologa. Questa, dopo aver organizzato il supporto necessario, pone alla paziente la domanda che l’aveva incuriosita: di tutti i contatti ospedalieri di emergenza che le erano stati forniti, perché ha chiamato il medico di famiglia che non aveva nemmeno accesso alla cartella degli ospedalieri?
Quanti di noi si riconoscono?
Ci si aspetta di sentire che ha perso il foglio con i numeri da contattare e invece la paziente risponde: "Perché mi fido di più di lui".
Con imbarazzo, la consola dicendo che anche lei è brava, ma, scrive l’oncologa, "i suoi elogi schietti per il medico di famiglia mi scaldano il cuore e sono d'accordo con lei sul fatto che le abbia davvero salvato la vita".
Altro flash: alcune settimane dopo, la collega si ritrova a parlare agli studenti.
Quasi sempre la loro motivazione per diventare medico è "perché voglio aiutare le persone".
Quando gli studenti rivelano che tipo di specialista desiderano diventare, non può fare a meno di notare che tra le centinaia di studenti, quasi nessuno vuole diventare medico di famiglia nonostante sia ragionevole pensare che, data l’età, sia proprio il medico di famiglia il professionista con cui abbiano potuto avere il contatto più probabile e produttivo.
La continua carenza di medici di famiglia in Australia è stata definita la "statistica più terrificante" nel settore sanitario. Gli specialisti stanno crescendo a un ritmo molto più elevato rispetto ai medici di famiglia, con una conseguente distorsione dell’occupazione che non è utile né ai pazienti né alla società.
Perché una generazione di studenti, non solo in Australia direi, svaluta automaticamente questa preziosa carriera?
Se nessuno, al di fuori di noi, si occupa di rappresentare dall’esterno il prestigio di essere un Mmg perché un medico ambizioso dovrebbe accontentarsi?
È molto facile valorizzare comunicativamente le specialità a maggiore impatto emotivo, ma così facendo siamo certi che non si rende alla società un disservizio involontario?
L’idea che le Università ribaltino il curriculum medico in modo che gli studenti si formino a rotazione tra territorio e ospedale, avrebbe notevoli vantaggi per una popolazione che invecchia e per la sostenibilità dello stesso Ssn.
Gli studenti toccherebbero con mano i bisogni assistenziali dei cittadini delle comunità per cui andranno ad operare tanto sul territorio che in ospedale, vedrebbero i danni di una medicina che opera per silos e si renderebbero conto che non esiste “solo” un medico di famiglia.
Dobbiamo imparare a dire agli studenti di medicina che, se vogliono aiutare le persone, allora dovrebbero prendere in considerazione la Medicina Generale e proporre loro un contatto con questa esperienza professionale.
Dopotutto, non possiamo essere ciò che non vediamo.
Quanto ci riconosciamo in queste riflessioni?
In questo racconto sono evidenti temi sovrapponibili a quelli presenti oggi in tutti i Paesi che grazie anche ad una risposta di cure primarie possono ancora vantare un Servizio sanitario nazionale a cui il cittadino si può rivolgere.
Si rappresenta, infatti, l’analisi dei fattori determinanti la carenza di risorse umane nella medicina di famiglia; carenza su cui poco si interviene in termini di sviluppo vocazionale e di riconoscimento sociale.
Si rappresenta un percorso di formazione e informazione che rende sconosciuto o svalutato ai giovani una medicina di famiglia che svolge un ruolo fondamentale nel puzzle assistenziale del nostro Servizio sanitario.
È quindi necessario operare una revisione del percorso formativo post-laurea per rendere strutturale per tutti i tirocinanti la formazione-lavoro, oggi limitata ai soli medici che vivono in una realtà di carenza e che volontariamente accettano gli incarichi.
Tale possibilità ha ormai ampiamente dimostrato di essere una misura efficace e di fondamentale importanza nel ridurre il problema della carenza dei medici e, se divulgata efficacemente, potrebbe migliorare anche l’attrattività verso questo percorso formativo post-laurea.
Abbiamo quindi strumenti per sostenere l’estensione della formazione-lavoro a tutti i medici in formazione in maniera definitiva, anche al di fuori del momento emergenziale.
Altri elementi caratterizzanti la revisione del percorso formativo potranno essere il riconoscimento del titolo accademico e la definizione di percorsi formativi, in collaborazione con l’Università, per le proposte di formazione teorico-pratica in tema di rapporto ospedale-territorio.
Unica attenzione in questo processo sarà quella di renderlo graduale e combinato. La formazione-lavoro e il titolo accademico non possono che andare di pari passo, l’una non può fare a meno dell’altro.
Se viene riconosciuta all’Università la capacità di creare delle skill di competenza teoriche, il medesimo riconoscimento va attribuito alla formazione sul campo negli studi dei medici di famiglia.
L’intervento normativo, utile a evolvere l’attuale, dovrà pertanto riconoscere pari dignità di competenza all’unicum teorico pratico del percorso formativo.
Non bisogna poi dimenticare che oggi la Medicina generale rappresenta il presidio del Ssn che vanta la maggiore capillarità sul territorio grazie ai nostri 60.000 studi distribuiti su tutto il territorio italiano.
Il modello di riorganizzazione territoriale previsto dalla Missione 6 del Pnrr pone una sfida di integrazione tra la proposta assistenziale centralizzata presso la Casa di Comunità, Hub o Spoke che sia, e l’offerta assistenziale dispersa oggi garantita dalla capillarità dei nostri studi medici.
Diventa però fondamentale affrontare risposte concrete alla mancanza di medici e al tema delle aree scoperte, temi che rendono critico il mantenimento di questa capillarità.
Fimmg sottolinea, ancora una volta da questo palco, l’importanza di introdurre un indicatore, oggi trascurato, nei modelli di offerta di integrazione, centralizzati o dispersi che siano.
Non possiamo più ignorare che l’assistenza medica territoriale è fortemente influenzata dalla presenza e dalla disponibilità di un presidio di salute fondamentale, ovvero un indicatore della presenza dello studio di un medico di famiglia in una determinata area geografica calcolato per km².
Possibile non si comprenda che questo indicatore influenza accessibilità e qualità delle cure mediche per la popolazione ivi residente e che in nessun documento programmatico di riforma territoriale sia espresso con chiarezza?
Questo fattore non è l’unico certamente, va infatti correlato alla densità di popolazione, alle caratteristiche demografiche di quella popolazione e alla disponibilità qualificata di personale sanitario in termini di prossimità.
A questo vanno aggiunte l’orografia dei territori, le caratteristiche di viabilità e i servizi di trasporto pubblico, le distanze da percorrere per fare in modo che, in tutti i comuni del nostro Paese, la casa diventi davvero il primo luogo di cura.
È chiaro che ci troviamo ad affrontare una serie di sfide che possono mettere in discussione la capacità della medicina di famiglia di fornire cure efficaci ed efficienti.
È il momento di esplorare il bivio tra mura e cura, tra barriere e ponti, tra limiti e accessibilità a cure di qualità, che rispondano al bisogno di salute delle persone e non a singoli eventi o a singole patologie.
Il concetto di "rompere i muri per arrivare alla cura" richiama l’idea fondamentale dell’accesso universale alle cure sanitarie.
Questo principio sottolinea l’importanza di superare le barriere economiche, sociali e geografiche che impediscono a molte persone di ricevere le cure di cui hanno bisogno.
Queste persone sono silenziosamente presenti nella nostra attività quotidiana e troppo spesso la nostra azione è una strenua e improba ricerca per rompere le barriere che ne impediscono un equo accesso alle cure.
Se veramente vogliamo potenziare l’assistenza territoriale, servono investimenti economici finalizzati alle donne e agli uomini della Medicina Generale impegnati a preservare, in maniera compensativa, universalità, equità e inclusione.
Se affrontiamo il tema delle risorse per il personale convenzionato, è fondamentale la immediata conclusione della discussione negoziale del triennio 2019-2021 e la sua concretizzazione nel corrispondente Atto d’Intesa da parte della Conferenza Stato-Regioni e la contestuale emanazione dell’Atto di Indirizzo per l’apertura della discussione per il triennio 2022-2024.
Atto di indirizzo 2022-2024 che dovrà avere chiari i finanziamenti aggiuntivi derivanti da interventi normativi che chiariscano e rendano fruibile contrattualmente la ripartizione delle risorse, tra personale dipendente e convenzionato, del finanziamento previsto dall'articolo 1, comma 274, Legge 30 dicembre 2021, n. 234.
Ma tutto questo potrebbe non bastare.
Servono investimenti per il personale convenzionato con l’Ssn già nella manovra in discussione in questi giorni.
La Medicina Generale, sul tavolo degli ultimi Accordi collettivi nazionali firmati, ha condiviso il riequilibrio percentuale del valore delle quote variabili/accessorie di reddito rispetto alla parte fissa della quota capitaria che gli stessi Mmg da tempo considerano non più adeguata ai carichi di lavoro e agli oneri organizzativi necessari a sostenerli.
Abbiamo dunque raccolto la richiesta degli stessi medici, che sono quindi pronti alla sfida di essere misurati su obiettivi.
Ma per poter raggiungere questi obiettivi non bisogna sottovalutare la necessità di strumenti e dotazioni organizzative, individuali e collettive, che richiedono investimenti anche dello stesso professionista a cui però non si può più chiedere di restringere ulteriormente il proprio reddito professionale.
Servono quindi meccanismi indiretti di vantaggio fiscale applicabili al reddito accessorio, considerato che gli obiettivi raggiunti con queste progettualità produrranno servizi e conseguenti risultati assistenziali al servizio pubblico, determinando potenzialmente risparmi più che spese.
Basterebbe citare a questo proposito i processi di transizione digitale applicata al mondo della sanità, elemento capace di offrire evidenti vantaggi per i pazienti, i loro caregiver, i medici e conseguentemente per le istituzioni sanitarie.
È chiaro che una transizione spinta può impattare sui processi e modificare gli equilibri tra i professionisti della sanità, favorendo integrazione ma anche modelli di sovrapposizione di funzioni non coerenti con quelle specifiche dei diversi professionisti.
Solo i processi governati dagli stessi professionisti possono favorirne il cambiamento senza determinarne l’involuzione o peggio la subordinazione intellettuale.
È dunque essenziale che la Medicina Generale, forte delle proprie caratteristiche, sia coinvolta nel modello per la transizione digitale e definisca se stessa nell’ambito di un ecosistema informatico come componente integrata, in coerenza con la propria funzione ma anche con gli obiettivi della programmazione nazionale, regionale e aziendale.
Una tale integrazione si sommerà ai benefici dei processi d’innovazione e formazione connessi, risolvendo nuovi compiti e funzioni solo se sostenuti da concetti di fiduciarietà digitale e non da fenomeni di disintermediazione digitale.
Una medicina di famiglia così integrata potrà portare al sistema dell’assistenza territoriale, grazie a meccanismi di trasferimento fiduciario, una percezione di maggiore prossimità per il paziente, potrà sostenere e monitorare processi di domiciliarità a distanza facilitando una risposta concreta nelle aree scoperte, rendendosi fulcro dello sviluppo di una vera rete di medicina d’iniziativa monoprofessionale e multiprofessionale.
Questa rete, se sostenuta da piattaforme professionali proprie della Medicina Generale, potrà avvantaggiarsi di sistemi di segmentazione e analisi del rischio di popolazione, amplificati anche da processi di connessione digitale medico-paziente.
Esperienze di questo tipo sono state condotte con successo durante la pandemia Covid per consentire la prioritarizzazione all’accesso vaccinale e all’uso degli antivirali mettendo chiaramente in evidenza come i classici Clinical Trial possano essere affiancati da modelli di Ricerca dinamica, basati su grandi numeri, flessibilità adattativa e informazioni tratte dal mondo reale attraverso il contributo della Medicina generale.
È di questi giorni, infatti, la firma di un Protocollo d'intesa tra l’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) e la Federazione italiana Medici di medicina generale (Fimmg), finalizzato a costruire eventi informativi e formativi rivolti ai Mmg e ai Dirigenti Sanitari dell’Agenzia (medici, farmacisti, biologi, chimici), per promuovere la partecipazione dei Mmg a progetti di ricerca. Questa collaborazione contribuirà a rispondere al bisogno terapeutico dei pazienti, a rendere più equo l’approccio al farmaco, a favorire la sostenibilità economica del nostro Ssn e Ssr, con il fondamentale contributo della Medicina Generale.
Impossibile non concludere la relazione con il tema che caratterizza l’attività di una rappresentanza contrattuale, ovvero le nostre proposte di evoluzione attraverso l’Acn di una Medicina Generale che scelga di evolvere e rompere muri interni ed esterni.
Per Fimmg è imprescindibile la conferma dell’attuale stato contrattuale di Convenzione oggi previsto, confermando l’assoluta contrarietà alla trasformazione dei sistemi territoriali convenzionati verso la dipendenza o sistemi misti.
Appare però necessario che la Medicina Generale si interroghi al proprio interno sulla impellente necessità di organizzare una risposta degli studi medici a maggiore intensità di offerta (diagnostica di primo livello) e temporale (H12 e H16) rendendolo sostenibile e compatibile con un soddisfacente equilibrio tra vita privata e vita lavorativa.
Questa organizzazione deve trovare risposte di relazione e coordinamento con i modelli di sviluppo delle Case di Comunità Hub e Spoke, delle Centrali Operative Territoriali e con gli Ospedali di Comunità, ricordando che il DM 77 sostiene tali modelli come integrativi e non sostitutivi dell’attuale offerta di medicina generale.
Si potrebbero prevedere interventi normativi che possano modificare i contenuti dell’art. 8 comma 1 del D.Lgs 502/1992, riportando alla contrattazione nazionale l’identificazione dei livelli massimali e ottimali, di compatibilità tra svolgimento dell’attività oraria e di scelta (Ruolo Unico), senza trascurare lo sviluppo della capacità di libera professione dei medici convenzionati.
Vanno definiti gli standard minimi di composizione, organizzazione e strumenti che rendano coerente l'offerta assistenziale/territoriale all'estensione in km² dell'area di assistenza sia per la risposta del singolo medico (area disagiata) sia per i medici appartenenti alle stesse Aggregazioni Funzionali Territoriali (concetto di medico/medici per km²).
La AFT diventerebbe pertanto soggetto contrattuale nella organizzazione complessa, sia per l’erogazione diretta di servizi aggiuntivi rispetto alle attività ordinarie previste per il singolo studio medico, sia nel rapporto con le attività previste nelle Case di Comunità Hub e Spoke.
Serve uno strumento normativo e contrattuale che dia forma alla AFT come soggetto monoprofessionale medico, capace pertanto di erogare prestazioni sanitarie e caratterizzandosi come una forma giuridica di interesse sociale e pubblico.
In un breve titolo "la Medicina Generale al bivio tra mura e cura" c’è tutto il senso della sfida che abbiamo di fronte.
Potremo trovarci al bivio di un’evoluzione digitale che con automatismi predeterminati sembra aiutarci e semplificarci il lavoro ma, di fatto, ci ruba la nostra anima professionale.
Potremo trovarci al bivio di un’evoluzione digitale che grazie alla telemedicina, all’empowerment digitale del paziente arricchiti dal rapporto fiduciario ci aiutano a gestire al meglio i nostri pazienti riducendo distanze e tempi di intervento.
Nel bivio tra l’isolamento professionale e l’integrazione multiprofessionale dovremo implementare il valore di un lavoro di équipe che, definendo correttamente ruoli, relazioni, competenze, ne crei un effetto amplificativo di funzione per tutti i professionisti sanitari partecipanti.
Potremo dover rompere mura esterne che vogliono predeterminare le nostre azioni, i nostri comportamenti, in sintesi il nostro essere dei professionisti intellettuali appartenenti a un ambito ordinistico e costituzionale, che attribuisce autonomia professionale ma richiede sempre ruolo e responsabilità.
Potremo dover rompere mura interne a noi stessi, che ci appaiono protettive e invece non ci permettono di guardare a quello che intorno a noi evolve, rendendoci immobili in un mondo che cambia.
Negli anni 2000 Jack Folla sosteneva: "un uomo solo che guarda il muro è un uomo solo. Due uomini che guardano il muro è il principio di una evasione".
Fimmg c'è.
* Segretario nazionale Fimmg
© RIPRODUZIONE RISERVATA