Lavoro e professione

Previdenza/ Il sempreverde bancomat pensionati

di Claudio Testuzza

S
24 Esclusivo per Sanità24

Saltato l’assalto alla riforma Fornero (sono passati più di 12 anni) e raccolti solamente alcuni passaggi anticipatori promossi negli ultimi anni con risultati spesso contraddittori, il Governo pare star studiando, più che soluzioni tecniche e programmatiche, un rastrellamento di fondi economici. Quando si parla di possibili recuperi o risparmi l’obiettivo primario restano, come sempre, le pensioni. Così, anche questa volta, come già fatto ad inizio del 2022, ci si industria come procedere a tagli e quindi fare cassa sui pensionati. In fondo il procedimento è assai semplice e le resistenze, come hanno dimostrato le timide reazioni contrarie dei sindacati a dicembre scorso, sono assolutamente arginabili. Le pensioni a differenza degli stipendi, vengono rivalutate ogni anno sulla base dell’aumento dei prezzi. Si tratta di un meccanismo, la perequazione, che permette di adeguare il trattamento previdenziale all’andamento del costo della vita, senza il quale i pensionati sarebbero vittime designate del processo inflazionistico. Senza un qualche meccanismo di difesa i loro trattamenti, specie quelli più bassi, perderebbero rapidamente il loro potere d’acquisto. Prima della riforma Monti-Fornero, l’adeguamento pieno dall’inflazione, previsto dal governo Prodi, riguardava tutte le pensioni fino a tre volte il trattamento minimo e scendeva al 90% per gli importi fra 3 e 5 volte il minimo e al 75% oltre 5 volte il minimo. Successivamente l’adeguamento è stato fatto scendere ulteriormente per le pensioni più alte, mantenendo un minimo di recupero per gli importi più bassi.
È quello che è avvenuto in maniera castratoria l’anno scorso. Le necessità di cassa hanno profondamente snellito quanto promesso, con un effetto punitivo per i pensionati del recupero per gli importi da 4 a 5 volte il minimo con l’ 80%, al 55% per pensioni da 5 a 6 volte il minimo, del 50% da 6 volte a 8 volte il minimo, del 40% da 8 a 10 volte il minimo e il 34% per gli importi superiori. Ma non è bastato. Nel corso della discussione del disegno di legge del bilancio si è assistito ad un’altra erosione per le fasce superiori a 5 volte il minimo portando al 53% (3,869 % del 7,3 previsto dall’Istat quale inflazione 2022) il precedente 55 %; dal 50 al 47% ( 3,431 % del 7,3 % ) quelle fino a 8 volte il minimo; dal 40% al 37% ( 2,701 del 7,3% ) per quelle fino a 10 volte il minimo; e dal 35 al 32% ( 2,336% del 7,3% ) quelle oltre dieci volte.
Se si considera, poi, che, i pur modesti incrementi, non vengono realizzati con riferimento agli scaglioni, così come nel caso dell’ rpef, ma in funzione della fascia in cui l’importo totale della pensione si colloca, l’incremento, o meglio sarebbe dire il decremento del recupero, si riferirà a tutto l’importo della pensione. La formula, attivata l’anno scorso per recuperare risorse da destinare a famiglie e lavoratori, si ripropone anche per l’anno prossimo per sostenere la manovra economica. Infatti abbassando la percentuale di valutazione si creano margini da incassare. Si attiva un vero e proprio bancomat a scapito dei pensionati. Impedire ad essi , specie per la fascia medio alta di recuperare parte dell’inflazione, significa penalizzarli in modo permanente, perché il taglio di un anno si ripercuote per gli anni a venire in quanto riduce la base dell’importo per una possibile rivalutazione futura. Condizione già censurata, in passato, dalla stessa Corte Costituzionale che non prevedrebbe tagli non circoscritti nel tempo e non giustificati da emergenze.


© RIPRODUZIONE RISERVATA