Lavoro e professione

La violenza contro gli operatori sanitari e le necessarie tutele minime che aziende e Stato dovrebbero garantire

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

L’aumento esponenziale degli episodi di violenza nei confronti del personale sanitario è il segno di una mancanza di comprensione e di rispetto verso l’importante lavoro svolto dagli operatori sanitari e, in generale, da tutto il personale, causato anche dalla percezione – reale o presunta - di una mancata tutela nel momento del bisogno o della malattia. La evidente e irreversibile crisi del Ssn genera una concausa di questo mancato rispetto che naturalmente non può giustificare mai la reazione aggressiva. Un fondamentale aspetto della questione delle violenze nei confronti dei sanitari è quello relativo alle tutele che le aziende sanitarie possono mettere in atto in favore dei propri dipendenti i quali – forse è il caso di ricordarlo – sono la prima e più preziosa risorsa della Sanità pubblica. In tal senso, la legge 113/2020 – già insufficiente di per sè - non prevede impegni specifici a carico delle Aziende sanitarie e le esclude da qualsiasi azione positiva e responsabilità nella tutela del dipendente.
Ad esempio, alcune aziende hanno avuto dubbi nel riconoscere il patrocinio legale previsto dai rispettivi contratti di lavoro, soprattutto perché le clausole contrattuali sembrerebbero finalizzate ai casi di tutela passiva e non attiva, come nel caso delle vittime di violenza. È vero che i due Ccnl prevedono una formula identica negli artt. 67 (dirigenza sanitaria) e 88 (comparto) che presume che il procedimento sia aperto "nei confronti del dirigente per fatti o atti connessi all’espletamento del servizio ed all’adempimento dei compiti di ufficio" e, quindi, non sembra che il patrocinio possa essere concesso quando sia il dipendente a farsi "parte attiva” nel procedimento. Però la chiave applicativa è proprio questa, perché la legge 113/2020 con l’art. 6 ha ribaltato uno dei punti di debolezza della situazione precedente ovvero la punibilità a querela della persona offesa. Se è stata ufficializzata, dunque, la procedibilità d’ufficio, non si può più dire che il dipendente sia parte "attiva" perché la Procura agisce autonomamente. Inoltre, ambedue le clausole contrattuali precisano all’inizio "nella tutela dei propri diritti ed interessi". In conclusione, l’assunzione del patrocinio da parte dell’azienda è, a mio parere, pienamente conforme allo spirito della norma. Peraltro il fenomeno delle aggressioni è ormai talmente diffuso e pesante che una iniziativa politica delle Regioni non potrebbe che avere consensi da parte di tutti. Anzi, ci sono dei punti inespressi nella legge 113/2020 che sono quasi tre anni che segnalo e che per l’ennesima volta ribadisco:
• Il riconoscimento formale della qualifica di pubblico ufficiale a tutti gli esercenti una professione sanitaria;
• nella predisposizione del DVR aziendale ai sensi dell’art. 18 del d.lgs. 81/2008, una specifica valutazione del rischio aggressione per le diverse categorie operanti all’interno dell’azienda;
• l'obbligatorietà della segnalazione alla Procura da parte dell’Azienda sanitaria;
• applicazione del giudizio direttissimo di cui all’art. 558 cpp;
• l'obbligatorietà della costituzione di parte civile dell’Azienda;
• la previsione del danno all’immagine per l’Azienda e del danno esistenziale per il sanitario;
• l'introduzione della pena accessoria del volontariato in ospedale;
• per i casi più gravi o reiterati, benefici similari a quelli stabiliti per le donne vittime di violenza;
• specifiche polizze integrative dell’assicurazione obbligatoria nell’ambito del welfare aziendale;
• la rivalsa della retribuzione erogata ai dipendenti assenti dal servizio a causa delle aggressioni secondo le norme contrattuali;
• finalizzazione alla sicurezza del personale sanitario dell’importo delle multe incassate come sanzioni disciplinari.
Ma, a parte quelli di competenza legislativa, quanti degli interventi sopra ricordati vengono attivati sul campo dalle aziende ? Credo che non siano molte quelle che si schierano a fianco dei loro dipendenti con azioni concrete. Un caso emblematico in tal senso è quanto è accaduto ad una dottoressa del 118. I fatti risalgono al 2018 e va precisato che le norme entrate successivamente in vigore non avrebbero potuto cambiare l’esito del procedimento penale appena conclusosi. Al momento dell’arrivo al domicilio del paziente con l’auto medica, l’uomo veniva trovato a terra apparentemente svenuto. Quando la dottoressa si è avvicinata, il soggetto ha reagito improvvisamente afferrandola per un braccio e provocando la frattura del polso e lesioni neurologiche. In seguito, il paziente è stato portato al pronto soccorso e la sanitaria ha dovuto lasciare il servizio per le lesioni subite. Non si è più ripresa da allora e ha perso la funzionalità del braccio destro, tanto da dover rinunciare alla professione. Da qui la denuncia per lesioni gravi che ha seguito l’iter procedurale previsto e, dopo cinque estenuanti anni, qualche settimana fa è arrivata la sentenza del Gup che è stata di non luogo a procedere, cioè di proscioglimento, perché il fatto non costituisce reato. La pronuncia del Giudice sembra irreale alla luce del danno subito e dell’inequivoco svolgimento dei fatti in presenza di testimoni. Tuttavia, il punto nodale della decisione è stato che, pur non sussistendo la certezza di una situazione di incapacità di intendere e di volere, lo svolgimento dei fatti non ha consentito di ricostruire l’elemento psicologico del dolo e nelle motivazioni depositate viene asserito che la ricostruzione sarebbe stata inutile o impossibile anche nell’eventuale istruttoria dibattimentale. Quindi, alla luce della totale assenza nella vicenda di un movente, il Gup ha ritenuto che non fosse presente una ragionevole previsione di condanna e ha deciso per il proscioglimento. Le considerazione assunte dal Giudice si sono basate sulla nuova natura e le caratteristiche dell’udienza preliminare come scaturiscono dalla riforma dell’art. 425 cpp operata dal d.lgs. 150/2022, la cosiddetta riforma Cartabia. La sentenza contiene taluni aspetti molto particolari che nel probabile appello saranno approfonditi. Ma una particolare circostanza - che può essere coerente per un giurista - è tuttavia incomprensibile per un normale cittadino e cioè che un soggetto che ha provocato gravi lesioni a chi lo stava soccorrendo è stato ritenuto inconsapevole di ciò che faceva da parte dei magistrati – in questo caso non esperti della materia – senza l’esame completo della cartella di pronto soccorso o alcun approfondimento di natura neurologica finalizzati a capire perché il paziente fosse apparentemente incosciente e per quali eventuali cause pregresse: insomma, capire il perché di un gesto improvviso, inaspettato e, fino a prova contraria, immotivato. L’art. 425 riformulato lo scorso anno prevede che il Giudice "pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna". La questione ruota, appunto, intorno al concetto di "elementi acquisiti".
Cosa si può ricavare da questo vicenda? In altre parole, in giudizi di questa tipologia – come detto, anche dopo la legge 113/2020 e l’art. 16 della legge 56/2023 - qualora l’aggressore fosse prosciolto, il sanitario aggredito rimarrebbe senza alcuna possibilità di risarcimento perché anche in sede civile l’art. 2043 cc – che prevede il risarcimento per un danno ingiusto – viene temperato e vanificato dal successivo art. 2046 che precisa che “non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità d'intendere o di volere”. Ma c’è di più, perché il codice civile per questa fattispecie non prevede nemmeno un'indennità, la cui misura è rimessa all'equo apprezzamento del giudice come nel caso della legittima difesa (art. 2044) o per lo stato di necessità (art. 2045). Per fare un esempio, il presunto assassino della psichiatra Barbara Capovani sarà verosimilmente prosciolto e affidato obbligatoriamente a una Rems, come peraltro era già accaduto nel 2022; e quell’atroce delitto rimarrà del tutto impunito e senza risarcimenti per i parenti della povera dottoressa. Si potrebbe allora istituire uno Fondo dedicato – presso il ministero o presso l’Inail o regionale – con il quale provvedere ai risarcimenti dei danni subiti dai sanitari aggrediti nell’ipotesi in cui il colpevole venga prosciolto ovvero nei casi in cui il condannato sia del tutto incapiente. Esistono precedenti per causali simili: basterà ricordare il patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsto per le vittime di reati di violenza sessuale (art. 4 della legge 38/2009), i Fondi europei di coesione, lo specifico Fondo per le vittime dei reati intenzionali violenti (art. 14 della legge 122/2016) e quello per i sanitari vittime del Covid (art. 22-bis della legge 27/2020). Alcune Regioni hanno istituito fondi di questo genere e anche il privato a volte vi ricorre.


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