Lavoro e professione

Previdenza e Fisco/ Le contraddizioni e i rischi del taglio del cuneo fiscale

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

In vista della manovra d'autunno si ritorna a parlare di taglio del cuneo fiscale prevedendo di poter utilizzare anche le accise sulla benzina per favorire un incremento in busta paga per contribuenti fino a redditi di 35 mila euro. Ma così come già in passato si usano termini impropri per mascherare riduzioni che nulla hanno a vedere con il fisco e che invece interessano i contributi previdenziali. Il Governo il 1° maggio aveva tagliato il cuneo contributivo di 4 punti percentuali, e questo taglio si sommava a quello che ara stato già fatto nella precedente legge di bilancio. Così da luglio e fino alla fine dell’anno si avrà un taglio del cuneo contributivo di 6 punti percentuali per chi ha redditi fino a 35mila euro, di 7 punti percentuali, per i redditi fino a 25mila euro. Con incrementi della busta paga che possono arrivare sino a 90/100 euro lordi per i lavoratori con i redditi più bassi. Bene per quanto attiene il recupero stipendiale, meno bene per quanto si riversa sulla spesa previdenziale. Per cuneo fiscale si intende la somma delle imposte (dirette, indirette, contributi previdenziali) che impattano sul costo del lavoro, sia dalla parte dei datori di lavoro, sia per i lavoratori dipendenti, autonomi o liberi professionisti. In sostanza, il cuneo fiscale è la differenza tra lo stipendio lordo versato dal datore di lavoro e la busta paga netta ricevuta dal lavoratore. In Italia il peso del cuneo fiscale è del 45,9%. Uno dei più alti tra i paesi dei Paesi dell’Ocse. Basti pensare che in media un’azienda spende il 210% della retribuzione netta che eroga al lavoratore. In pratica uno stipendio netto di 1.500 euro all’azienda costa 3.150 euro. Non essendo stato possibile, sino a ora, intervenire sul fronte fiscale riducendo le aliquote su i redditi, per poter sollevare i lavoratori dall’aumento dei prezzi dovuto all’inflazione e aumentare le loro risorse economiche da spendere, si è posto l’obiettivo di intervenire sulla contribuzione previdenziale. In pratica si realizza una riduzione di alcuni punti dei contributi da versare all’Inps per riversare nel salario quanto risparmiato dalla previdenza. Ma l’operazione non è a costo zero in quanto il processo prevede di non influenzare il calcolo per la pensione futura. Infatti si attiva un "allineamento" fra un’aliquota di "finanziamento", indicata a definire i contributi da versare all’Inps, e una di "computo", utilizzata a definire i contributi virtuali da conteggiare nel calcolo della pensione. Per questo fu necessario stanziare diversi miliardi per attivare la riduzione del cuneo. Processo che necessariamente si ripropone se, come sembra di capire, l’attuale Governo vuole mantenerlo per il futuro. Ma a questo punto esiste un’altra contraddizione che riguarda, questa sì, il fisco. Infatti i percettori della riduzione del cuneo previdenziale con l’incremento della busta paga si trovano già a pagare un Irpef maggiorata. Ricordiamo che l’Irpef si paga sul salario al netto dei contributi previdenziali. Se il Governo taglia i contributi, aumenta il reddito imponibile su cui il lavoratore paga le tasse. Per far sì che l’Irpef non si mangi fino a quasi la metà del beneficio previsto dalla riduzione del cuneo, il Governo dovrà trovare almeno i tre miliardi delle maggiore Irpef che, adesso, sta incassando.


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