Lavoro e professione

I veri numeri su medici e infermieri e quella "freddezza" sul ruolo del personale sanitario

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

È stato pubblicato su questo sito un articolo di Mario Del Vecchio e Francesco Longo nel quale venivano fatte interessanti considerazioni riguardo alla presenza dei medici nella Sanità pubblica. Lo studio è supportato da dati oggettivi e indiscutibili e si afferma, in conclusione, che gli addetti ai lavori e l’opinione pubblica hanno la sensazione che manchino i medici ma la realtà è diversa, fatta naturalmente eccezione per alcune discipline critiche come l’emergenza-urgenza.
In buona sostanza, tale percezione a dovuta al fatto che da più di 20 anni le "nuove" professioni sanitarie prevedono la laurea, ma il Ssn non ha ancora riconosciuto formalmente o del tutto il loro livello di autonomia professionale, mantenendo invariato il numero di medici necessari al sistema. Non si può che concordare sul contenuto dell'articolo; tuttavia, alcuni ulteriori spunti possono essere ricavati sulla questione. Alla fine dell'articolo, i due Autori ipotizzano tre soluzioni e pongono una conseguente domanda: "è difficile"? Mi sento di rispondere: "si, molto". La mia realistica precisazione è dovuta ad una serie di ragioni già evidenziate nello studio, come i modelli organizzativi e di servizio e senz’altro le politiche retributive, cui aggiungerei l’approccio “culturale” a tutte queste tematiche.
L'integrazione tra le professioni sanitarie tradizionali e quelle, diciamo, "nuove" ha una storia particolarmente complessa. L’opinione pubblica e gli utenti delle aziende sanitarie hanno generalmente una immagine del lavoro di medici e infermieri che trasmette subito professionalità, dedizione e collaborazione. Senz’altro nella stragrande maggioranza delle strutture sanitarie questa è la percezione che l’immaginario collettivo ha delle équipe sanitarie con cui si rapporta. Tuttavia, dietro la facciata direttamente a contatto con l’utenza, i rapporti professionali tra medici e infermieri non sempre negli ultimi venticinque anni sono stati lineari e privi di criticità. Molte volte si sono generati attriti o vera e propria ostilità, tanto che spesso è intervenuta la Magistratura, sia quella amministrativa e civile ma, addirittura, quella penale. In tal senso, è ancora vivo il ricordo del fallimento del "comma 566", così come è nota la giurisprudenza che si è formata in tema di rapporti tra professioni. Nello specifico degli infermieri, è stata considerata una grande vittoria per la professione l’abrogazione del mansionario contenuto nel Dpr 225/1974 a opera della legge 42/1999 che ha elevato quella dell’infermiere – che perse l’aggettivo "professionale" – a professione sanitaria (non più ausiliaria), con il contestuale riconoscimento del percorso di studi a livello universitario. Tuttavia, le competenze e le attribuzioni del "nuovo" infermiere non sono state subito così lineari e definite; lo stesso Dm 14 settembre 1994 n. 739, che definisce il profilo, è francamente troppo generico. Con la conseguenza che da quasi 30 anni la problematica di cosa deve o può fare l’infermiere – e, ovviamente, gli altri profili - è di forte attualità, tanto da giungere al famoso (o sarebbe meglio dire famigerato) comma 566 della legge 190/2014 che ha ritenuto illusoriamente di risolvere la questione del perimetro delle competenze infermieristiche e tecnico-sanitarie in relazione all’atto medico mediante un Accordo Stato/Regioni che, peraltro, non ha mai visto la luce per la netta e insormontabile opposizione da parte dei medici. Nel frattempo, i contatti sul campo, spesso finiti davanti ai Giudici, sono stati numerosi e basterà ricordare gli esempi delle unità di degenza infermieristica (Udi), della metodica del "see and treat", degli equipaggi delle auto mediche. Su quest’ultima tematica si arrivò perfino alla radiazione dall’Ordine dei medici dell’Assessore alla Sanità dell’Emilia-Romagna. E, sempre in quella Regione, non si dimentica la freddezza con la quale è stata accolta da parte dei sindacati medici la legge regionale n. 17 del 26.11.2021 con la quale si prevede che al Direttore generale, amministrativo, sanitario, socio sanitario (nelle Asl territoriali) si unisca anche il Direttore assistenziale. Qualcosa in più di una mera "freddezza" è stata la reazione a una clausola del recente Ccnl del comparto, laddove si declinano i contenuti degli incarichi funzionali. Secondo i sindacati, il personale sanitario del comparto non può gestire "processi clinico-assistenziali e diagnostici" (art. 28, comma 1), compiti che secondo la legge rientrano esclusivamente nell’alveo delle competenze dei laureati in Medicina e Chirurgia. I conflitti, peraltro, non riguardano soltanto il rapporto medico/infermiere, perché in una sentenza di nemmeno un anno fa, il Giudice amministrativo ha affermato, anche se indirettamente, che un Tecnico di radiologia non può operare senza la presenza fisica del Radiologo, tranne quando lavora in regime di reperibilità o in emergenza-urgenza. Molta strada si deve ancora percorrere, ma è certo che la direzione giusta non può che essere quella della integrazione e della contestuale rivisitazione delle competenze professionali.
Una delle affermazioni più chiare e pragmatiche contenuta nell’articolo di cui si parla, è quella di "modificare profondamente le regole sui mix di personale che deve essere impiegato durante le procedure, limitando l’impiego di medici a quando è davvero necessario superando antichi retaggi burocratici di presenza e firma formale". Giustissimo, e ormai indispensabile, ma questa trasposizione di competenze verso l’alto non riguarda soltanto il rapporto professionale e organizzativo medico/infermiere perché nei confronti di quest’ultima professione viene coinvolta la evoluzione del profilo dell’operatore sociosanitario. Se è sotto gli occhi di tutti che molti medici svolgono compiti che dovrebbero essere propri degli infermieri, è altrettanto evidente che tanti, troppi infermieri sono costretti a effettuare mansioni della figura dell’Oss "avanzato". Tuttavia, le vicende dell’evoluzione di questa figura sono tra le più strane e incomprensibili di questo Paese. Gli Oss attendono da più di dieci anni la "terza S", proprio per appropriarsi di funzioni che gli infermieri è corretto non facciano più. Ebbene, la luce alla fine di questo tunnel normativo è ancora molto lontana e il pasticcio – è un eufemismo! - combinato nell’ultimo Ccnl del comparto (mi riferisco all’art. 22, comma 2) costituisce la "prova provata" che degli Oss tutti parlano ma le soluzioni reali, forse, non le vuole nessuno: vedremo quanto tempo ci vorrà ancora per adottare formalmente il decreto le cui bozze sono circolate ad aprile scorso.
Una ulteriore questione va sottolineata. Se tutte le professioni sanitarie sono oberate da adempimenti burocratici e da una modulistica ossessiva – tutte cose che distraggono i sanitari dall’assistenza diretta, come loro stessi continuamente segnalano – la soluzione più ovvia sarebbe quella di affidare tali compiti a personale amministrativo: provate a proporre in qualsiasi Regione o azienda un massiccio reclutamento di assistenti e collaboratori amministrativi - ma anche dirigenti - per supportare la line assistenziale! Le poche assunzioni che vengono autorizzate sono rigorosamente di personale sanitario e limitate al turn over a causa della sopravvivenza di norme finanziarie assurde (e, a mio parere, in parte incostituzionali) e questo è un altro gigantesco problema che incombe sulla Sanità pubblica.


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