Lavoro e professione

Professioni sanitarie e incarichi "extra": quello che resta da capire nella confusione normativa

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

È stato illustrato su questo sito il Documento delle Regioni che cerca di mettere un po’ di ordine nell’applicazione dell’art. 13 della legge 56/2023. Le tematiche interpretative, prima ancora che applicative, di questa disposizione sono estremamente complesse a causa della pessima scrittura della norma e delle evidenti riserve mentali che da due anni sono sottese alla questione della libera professione del comparto. Lo scorso 1° giugno avevo elaborato un lungo commento all’art. 13 , ricostruendo la sua storia e le sue strane vicende, ricordando che in meno di tre mesi il suo testo è cambiato ben quattro volte. Alla luce di queste premesse, come avrebbe mai potuto essere lineare una questione che molti considerano libera professione – laddove nella norma le due parole magiche non sono mai presenti – e altri una mera attenuazione dei vincoli dell’esclusività del rapporto ? Il tutto con la presenza invisibile ma pesante del Mef dietro ogni parola che viene detta in proposito.
Il Documento della Conferenza delle Regioni compie un capolavoro di diplomazia quando parla del "carattere piuttosto generico e lacunoso della previsione legislativa". Il meritorio obiettivo dei tecnici della Conferenza è quello dichiarato di fornire un contributo utile al fine di una omogenea e coerente interpretazione e applicazione dell’art. 13. Preliminarmente vorrei dire qualcosa su chi potrà beneficiare della norma, perché la platea dei destinatari è limitata e carente, visto che esclude i dirigenti delle professioni. È pur vero che è lo stesso comma 1 dell’art. 13 ad aver escluso i circa 350 dirigenti – che ormai sono penalizzati sempre e dovunque in qualsiasi forma – e le Regioni non potevano certamente modificare la norma. A proposito di questa tematica, c’è una evidente contraddizione tra i due commi perché nel primo si afferma "al personale del comparto sanità" mentre, nel secondo, si precisa che, in ogni caso, "non trovano applicazione gli articoli 15-quater e 15-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502"; queste due ultime norme – come indica chiaramente la rubrica - riguardano esclusivamente la dirigenza sanitaria per cui che senso ha sancire la non applicazione di norme che comunque non sono di pertinenza del comparto?
Entrando nel merito del Documento, i contenuti della Premessa sono meramente ricognitivi della normativa correlata e non comportano particolari problemi. Ovviamente più pragmatiche sono le "Indicazioni applicative", suddivise in due paragrafi. Riguardo al primo – A) Le attività consentite -, concordo pienamente con il riferimento alla professione di appartenenza di ciascuno e sarebbe il caso di ricordare che nulla è cambiato rispetto alle altre 4 fattispecie di incompatibilità assoluta sancite dall’art. 60 del TU del 1957, richiamato dall’art. 53 del decreto 165/2001. È di tutta evidenza che la deroga al principio di cui all’art. 53 deve essere circoscritta e contestualizzata perché delle 5 classiche attività vietate, quella di cui si ammette la praticabilità è solo la (libera) professione mentre la deroga stessa non può certamente essere diretta alle altre attività richiamate nell’art. 60 del DPR 3/1957 e cioè "il commercio, l'industria, impieghi alle dipendenze di privati o cariche in società costituite a fine di lucro"; questo perché verrebbe apertamente violato il principio di cui all’art. 97, comma 3 della Costituzione. Ma anche senza volare così in alto con i riferimenti, basta solo la ragionevolezza per comprendere in cosa consiste la deroga perché altrimenti si dovrebbe dedurre – ma credo che sia francamente assurdo - che un infermiere potrà aprire una pizzeria, iniziare una attività di agriturismo, instaurare un rapporto di lavoro subordinato con una clinica privata, assumere la carica di amministratore unico di un centro estetico: quelle indicate non sono fantasie ma reali conseguenze di una deroga tombale all’art. 53.
Quando nel Documento si fa riferimento al "dove" si potranno espletare questi incarichi, con molta precisione viene esclusa la possibilità che siano svolti nella stessa azienda: non sono, dunque, assimilabili alle prestazioni aggiuntive in Alpi dei medici. Sono invece possibili:
• il conferimento di incarichi libero professionali da parte di altre strutture pubbliche, anche del Ssn;
• l’instaurazione di rapporti di lavoro autonomo con strutture private anche accreditate;
• l’esercizio di attività libero professionali a favore di singoli utenti.
Interessanti le considerazioni fatte in relazione al conflitto di interesse e a possibili incompatibilità, soprattutto nei confronti del privato accreditato. Il richiamo al conflitto di interesse potrebbe ritenersi by-passato dalla stessa deroga fatta all’art. 4, comma 7 della legge 412/1991. Tuttavia, riguardo alla questione del conflitto di interesse, in base alle deroghe all’incompatibilità richiamate non dovrebbe teoricamente sussistere, ma c’è pur sempre l’art. 2105 cc che sarebbe stato opportuno citare. Questa norma potrebbe consentire ad una azienda una verifica puntuale e oggettiva dell’attività che il dipendente chiede di effettuare: se, le prestazioni da autorizzare coincidono con l’attività istituzionale e questa è in forte criticità (a esempio, il recupero delle liste d’attesa di una certa disciplina), collaborare con il privato accreditato in una branca in cui l’azienda è sofferente, credo che concretizzi la fattispecie disciplinata dal 2105 perché sarebbe evidente che il dipendente tratterebbe affari, per conto di terzi, in concorrenza con l'azienda e potrebbe altresì divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione in riferimento alle criticità aziendali che potrebbero favorire la casa di cura privata.
Nel paragrafo - B) La procedura di autorizzazione – si ricordano puntualmente le tre condizioni per rilasciare l’autorizzazione. Le aziende sanitarie dovranno individuare con molta attenzione i referenti aziendali che attestano la sussistenza delle tre condizioni e non credo che possa essere la stessa persona fisica perché si intrecciano aspetti giuridici con quelli organizzativi – fermo restando poi che la prima condizione è di natura "politica" - e la cosa migliore può essere che la modulistica riporti più di una firma di autorizzazione. Vengono indicate alcune situazioni soggettive che non consentono lo svolgimento di incarichi. Vanno bene tutte le fattispecie indicate, magari era il caso di precisare che per permessi retribuiti si intendono "tutti" e a cui aggiungerei tutte le sospensioni dal servizio sia per una sanzione disciplinare, sia quelle decise dall’Ordine professionale. Non sono del tutto d’accordo invece con la previsione dell’aspettativa quando questa è senza assegni, basti pensare a quella disciplinata dall’art. 18 della legge 183/2010 recentissimamente aggiornata. Ma il vero problema di queste limitazioni è che non si capisce quando potranno essere svolti questi incarichi se – ovviamente – si deve rispettare la normativa comunitaria su durata massima settimanale e riposi: secondo me, residueranno poche ore al mese, altro che quattro o otto ore alla settimana. Giuste le prescrizioni sulle autodichiarazioni relative alle ore di impegno (l’articolo del DPR 445/2000 è il 47) e quelle che fanno prevalere la richiesta di eventuali prestazioni aggiuntive rispetto all’autorizzazione.
Proseguendo, non mi convince affatto l’esclusione di chi è in part time e, tra l’altro, chi lo è per meno del 50% già gode di forti liberalizzazioni. Semmai le Regioni avrebbero dovuto dare indicazioni su chi ha limitazioni da parte del medico competente e – secondo me – su chi ha gravi precedenti disciplinari. Il Documento non tratta minimamente la tematica del "monitoraggio" e ciò è pienamente coerente con la ripartizione delle competenza istituzionali e sarà oltremodo interessante vedere quando, come e, soprattutto, se il Ministero sarà in grado di farle.
Manca, infine, qualsiasi riferimento al regime giuridico, fiscale e previdenziale dell’attività consentita. A mio parere, rispetto ai tre aspetti di cui sopra, dovrebbe essere chiarito che:
- le prestazioni professionali autorizzate rientrano nella fattispecie di cui all’art. 2229 e segg. del cc;
- in termini di maggiore dettaglio sono incarichi extraistituzionali da autorizzare con le procedure dell’art. 53 del 165 e, rispetto a quelli “generici” che possono svolgere tutti i pubblici dipendenti, l’art. 13 consente di superare il concetto di occasionalità e saltuarietà;
- sono esercitabili previa apertura di Partita Iva, in quanto l’Agenzia delle Entrate ritiene che lo svolgimento di una professione non sia compatibile con il regime delle prestazioni occasionali (cfr. le Risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate n. 42/E/2007 del 12.3.2007, n. 88/E del 19.10.2015 e n. 41/E/2020 del 15.7.2020);
- i contributi previdenziali dovrebbero essere versati alle rispettiva Cassa pensioni (Enpapi e altri), anche se qualcuno ritiene che sia competente la Gestione separata Inps.


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