Lavoro e professione
Previdenza/ Premio di risultato e Welfare
di Claudio Testuzza
24 Esclusivo per Sanità24
In una fase contrattuale relativa al personale delle aziende sanitarie, uno degli elementi di grande interesse è rappresentato dal premio di risultato, previsto all’esito positivo della valutazione, che comporta la sua attribuzione ai dirigenti sulla base dei diversi livelli di valutazione della performance conseguita dagli stessi dirigenti e solo a seguito del conseguimento di una valutazione positiva. Anche se non interamente sovrapponibile a quanto avviene nel sistema privato, tuttavia, appare utile rappresentare quanto realizzato dalle nuove disposizione per il settore, così come ampiamente documentato dalla circolare Inps n.49/2023 dedicata a una completa illustrazione di tutte le misure di welfare che le aziende possono riconoscere ai dipendenti. Ricordiamo, infatti che la legge di bilancio 2017, con l'introduzione del comma 184-bis nell'articolo 1 della legge 208/2015, ha rafforzato l'opportunità di convertire il premio di risultato in alcuni benefit "nobili", quali i contributi di previdenza complementare e i contributi di assistenza sanitaria integrativa, escludendone in toto l'imponibilità, anche se di importo eccedente gli ordinari limiti di deducibilità fiscale (5.164,57 euro per i contributi di previdenza complementare e 3.615,20 euro per quelli di assistenza sanitaria integrativa).
Il lavoratore può scegliere se riceverlo in busta paga. In questo caso, può optare per una tassazione agevolata che, per il 2023, è del 5% invece che del 10% come era stato fino allo scorso anno, purché il premio non ecceda i 3.000 euro lordi annui e il reddito da lavoro dipendente dell’anno precedente non superi gli 80.000 euro. Infatti l’articolo 40, comma 1, del decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48, recante "Misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro", ha previsto, limitatamente al periodo d’imposta 2023, e con riferimento ai soli lavoratori dipendenti con figli, compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti, i figli adottivi o affidati, che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 12, comma 2, del Tuir, l’elevazione da 258,23 euro a 3.000 euro, del valore dei beni ceduti e dei servizi che non concorre a formare il reddito da lavoro dipendente di cui all’articolo 51, comma 3, del Tuir, includendo tra i c.d. fringe benefit anche le somme erogate o rimborsate ai lavoratori dipendenti per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale. La ratio degli interventi è quella di ridurre l’onere fiscale e contributivo sul lavoro subordinato, sia a favore dei dipendenti, assoggettati a un minore prelievo fiscale e contributivo, sia a favore dei datori di lavoro, per il risparmio degli oneri previdenziali dovuto all’ampliamento delle componenti escluse dal reddito da lavoro dipendente e alla possibilità di dedurre, nella determinazione di tale reddito, le spese sostenute per il welfare aziendale in precedenza soggette, invece, a una limitata deducibilità. Tradizionalmente il pubblico impiego non ha mai goduto di defiscalizzazioni del salario accessorio ma qualcosa ultimamente è cambiata. Secondo una elaborazione dell’Aran di alcuni anni fa, su dati della Ragioneria Generale (Conto annuale), risulta che la Sanità è il comparto dove si investono minori risorse per il welfare aziendale: 1.382.844 euro a carico delle aziende per 646.305 unità di personale, con un beneficio pro capite medio di 2 (due !!) euro annui. Anche se il Governo nel patto per il lavoro pubblico, del 10 marzo 2021, aveva promesso una innovazione epocale. Il paragrafo 6, infatti, recita: "le parti concordano inoltre sulla necessità di implementare gli istituti di welfare contrattuale, anche con riguardo al sostegno alla genitorialità con misure che integrino e implementino le prestazioni pubbliche, le forme di previdenza complementare e i sistemi di premialità diretti al miglioramento dei servizi, estendendo anche ai comparti del pubblico impiego le agevolazioni fiscali previste per i settori privati a tali fini". Dal punto di vista normativo riteniamo non esistano impedimenti ma il problema maggiore è costituito dal finanziamento.
La circolare Inps entra poi nella specificità di alcune norme che, anche dopo l’armonizzazione della base imponibile fiscale e previdenziale ad opera del Dlgs 314/1997, mantengono alcuni profili distintivi per quanto riguarda la determinazione delle somme soggette a contribuzione nei limiti indicati dall’articolo 12 della legge n. 153/1969 e, in particolare, con riferimento al comma 4, lettera f) (cfr., anche, l’articolo 9-bis del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 giugno 1991, n. 166), il quale dispone che i contributi e le somme a carico del datore di lavoro versate a Casse, fondi, gestioni previste da contratti collettivi o da accordi o regolamenti aziendali, al fine di erogare prestazioni integrative previdenziali o assistenziali, sono comunque assoggettate anche al contributo di solidarietà del 10% per la quota a carico del datore di lavoro. In sintesi un piano di welfare favorisce il miglioramento della produttività, senza però compromettere la sostenibilità dell'impresa: da una parte si crea un clima lavorativo positivo e si premia la produttività dei lavoratori, dall'altra si ottengono rilevanti benefici fiscali e migliori risultati di business.
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