Lavoro e professione
Rogo Thyssenkrupp, cosa resta a 10 anni dalla tragedia
di Franco Bettoni (presidente nazionale Anmil)
L'inferno si scatenò nella notte fra il 5 e il 6 dicembre 2007, esattamente dieci anni fa: un tubo di olio che si rompe, una scintilla, una fiammella e poi la linea numero 5 dell'acciaieria Thyssenkrupp di Torino si trasforma in un fiume di fuoco. Un operaio muore sul colpo, altri sei perderanno la vita uno dopo l'altro nei giorni successivi, mentre le polemiche sulla sicurezza si intrecciarono alla rabbia e al dolore dei familiari delle vittime di una delle più sconcertanti tragedie sul lavoro degli ultimi tempi. Per Torino fu come un pugno allo stomaco: la città non riusciva a spiegarsi come potesse essersi verificata una simile tragedia in una delle sue fabbriche più rinomate e prestigiose. Tutto il Paese rimase allibito, accusò il colpo e, come per una sorta di risarcimento tardivo, spinse il governo ad accelerare il varo del “Testo unico sulla sicurezza sul lavoro” che vide la luce pochi mesi dopo, nell'aprile del 2008 (Dlgs 81/2008).
Da allora sono passati dieci anni, ma la lezione, sul lato concreto, non sembra essere stata sufficiente: nelle nostre acciaierie e nella metallurgia in genere, ma anche nei cantieri edili, sui trattori agricoli, alla guida di un autotreno, sulle strade ecc., ci si continua ancora ad infortunare e a morire. Ovunque, in ogni posto di lavoro il rischio di subire un infortunio è sempre lì in agguato; la mancanza di sicurezza ci propone quotidianamente drammi di questo genere, anche se di dimensioni più limitate o meno eclatanti perché accadono contemporaneamente ma in luoghi differenti, di certo però non sono meno strazianti.
Come associazione che rappresenta da quasi 75 anni le vittime del lavoro e raccoglie circa 350.000 iscritti non ci vogliamo rassegnare e, continueremo a combattere affinché non si debba più assistere impotenti a tragedie come quella della Thyssenkrupp dove, per colpa di imprenditori senza scrupoli, sono state spezzate le giovani vite di lavoratori e un dolore incommensurabile è stato arrecato alle famiglie. Né può certo consolarci il fatto che i colpevoli, peraltro solo quelli italiani, sono stati assicurati alla giustizia, mentre quelli che contano, i vertici tedeschi dell'acciaieria, rimangono ancora in libertà.
Successivamente a quell'evento, nel settore della Metallurgia, dagli oltre 8.000 infortuni del 2007, anno della tragedia, si è scesi progressivamente sotto i 5.000 casi nel 2016 con un calo di circa 3.000 unità. La flessione infortunistica in questo settore nell'ultimo decennio, pari ad oltre il 38%, è stata di gran lunga superiore a quella dell'andamento generale che ha fatto registrare un più modesto -22,5%.
Potrebbe sembrare che l'immane tragedia della Tyssenkrupp abbia indotto a una maggiore attenzione da parte delle aziende e all'adozione di più efficaci sistemi di protezione nello svolgimento di queste lavorazioni che da anni occupano il primo posto nella graduatoria delle attività più pericolose in tutto il panorama produttivo nazionale, con un indice di frequenza infortunistica superiore del 67% a quello medio nazionale. Ma va detto, tuttavia, che proprio la Metallurgia, con il ridimensionamento o la chiusura delle grandi aziende nazionali (il caso ILVA non è purtroppo isolato), ha subito molto più degli altri settori gli effetti devastanti della grave crisi economica che proprio in quegli anni ha investito il nostro sistema produttivo.
C'è da ritenere, pertanto, che il forte calo registrato in questo settore sia in gran parte solo apparente e dovuto soprattutto alla drastica riduzione della produzione e del lavoro (sia in termini di numero di addetti che di ore lavorate). Tanto più che il numero degli infortuni mortali, dopo il picco del 2007 dovuto al caso Tyssenkrupp, si è poi mantenuto sostanzialmente stazionario sulle 6/8 unità annue. È emblematico, infine, il fatto che nei primi 10 mesi del 2017, ai primi segnali di ripresa economica, gli infortuni nella Metallurgia siano cresciuti del 6% rispetto allo stesso periodo del 2016 e le morti sul lavoro siano aumentate da 1 a 5.
Proprio l'azione sinergica tra la tragedia ThyssenKrupp e la sensibilità culturale,giurisprudenziale ed istituzionale, già da molto tempo maturata, ha fatto da sfondo alla adozione di un impianto normativo unitario che, seppur con qualche difetto,
racchiude in sé un modo nuovo e moderno di interpretare la tutela della sicurezza e
della salute nei luoghi di lavoro in cui, al centro di tutto, vi sono: l'organizzazione del
lavoro e dei processi produttivi e la responsabilizzazione di tutti gli attori aziendali.
Tuttavia, a dispetto delle tutele formali contenute nelle norme, casi analoghi a quello
Thyssen continuano a tornare alla ribalta e su molti altri ancora neppure si accendono
i riflettori, poiché relativi a micro o piccole imprese, i cui morti neppure fanno
notizia.
Invero non può dirsi ancora definitivamente compiuto quel percorso di cambiamento
culturale auspicato con l'entrata in vigore del Testo Unico ma, ancor prima, non può
dirsi compiuto il processo di attuazione dello stesso Dlgs 81/2008.
A distanza di quasi dieci anni dalla sua adozione, infatti, ancora una ventina di
provvedimenti attuativi restano sulla carta; né le ultime riforme del mercato del
lavoro paiono aver contribuito significativamente al completamento di questo
processo normativo e culturale.
L'attenzione sul tema pare addirittura essere progressivamente calata in questi ultimi
anni, dietro l’ombra dalla crisi economica e occupazionale. Eppure i dati Inail,
sull'andamento degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, non sono
confortanti; così come quelli derivanti dalle risultanze delle attività ispettive e di
vigilanza.
I dieci anni dalla tragedia ThyssenKrupp servono dunque non solo a non dimenticare
ma, in prossimità del decennio del Testo Unico sicurezza del prossimo 9 aprile, a
rimboccarci le maniche e chiedere con rinnovato vigore l'impegno istituzionale per
condizioni di lavoro più sicure basate su tutele sostanziali, oltre che meramente
formali.
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