Lavoro e professione
Infermieri su ambulanze 118, Ipasvi Emilia Romagna boccia i paletti dei medici
di Collegi Ipasvi Emilia Romagna
Leggiamo (senza stupore) la presa di posizione della Federazione Regionale degli Ordini dei Medici dell'Emilia Romagna (si leggal’articolo di ieri su Sanità24) , che assume un sapore più di difesa sindacale dei posti di lavoro – lecita, non c'è dubbio, anche se non da parte di un Ente deontologico-professionale – nel rivendicare la presenza di un medico su ogni mezzo di soccorso avanzato a tutela (reale) della professione e (presunta) della salute dei cittadini.
Giova ricordare, infatti, che l'iniziativa della Regione E-R di predisporre documenti per l'armonizzazione dei protocolli avanzati di impiego di personale infermieristico per lo svolgimento del servizio di emergenza sanitaria territoriale 118 non è nuova rispetto ad analoghe iniziative già in atto da tempo (circa 10 anni) e con soddisfazione dei cittadini, in altre Regioni (Lombardia e Veneto, ad esempio). La stessa regione Emilia-Romagna, a macchia di leopardo, disponeva di mezzi di soccorso avanzato con infermiere (con competenze avanzate e algoritmi per la somministrazione di farmaci) dallo stesso periodo e i cittadini delle province di Piacenza, Modena, Bologna e della Romagna ne hanno potuto beneficiare pienamente.
Vorremmo tranquillizzare i cittadini che i documenti della Regione Emilia-Romagna, elaborati nel rispetto rigoroso delle norme vigenti richiamate nella delibera, avvalorati da un autorevole parere medico-legale e da quello delle società scientifiche medico-infermieristiche d'area emergenza/urgenza (IRC, SIMEU, ANIARTI, AMIETIP), rispondono in modo assoluto agli orientamenti internazionali in tema di emergenza territoriale.
Occorre ricordare che molti tra i più conosciuti medici italiani a livello internazionale dell'area dell'emergenza e dell'anestesia rianimazione assieme a 5.000 altri professionisti e comuni cittadini hanno firmato un documento di solidarietà ai medici che erano strati sospesi dall'OMCEO di Bologna per aver firmato i protocolli infermieristici, nel quale si legge “Il divieto di utilizzo da parte degli infermieri di strategie terapeutiche salva-vita codificate da linee guida internazionali, avallate da precise e protocollate prescrizioni mediche, in pazienti in imminente pericolo di vita, rappresenterebbe un passo indietro di decenni per l'Emergenza nazionale, esponendo – questa misura sì, regressiva davvero – a rischi inaccettabili la popolazione. Come professionisti coinvolti quotidianamente e da anni nel trattamento dei pazienti più gravi, negli ospedali e sul territorio, riteniamo sia tempo che questioni come questa, dotate di enorme impatto sia sulla salute che sulla opinione pubblica, vengano affrontate sulla base di dati scientifici consolidati, con il supporto di esperti del settore ed evitando di generare allarmismi nocivi per la popolazione e per il Sistema Sanitario nel suo complesso”.
Nei documenti della Regione viene individuato un infermiere, con formazione ed esperienza specifica, che si occupa di screening pre-ospedaliero dei sintomi di alcune categorie di persone soccorse, con attività che si sostanziano nella raccolta di “segni e sintomi” o nel sottoporre il paziente ad alcuni esami (quali l'elettrocardiogramma, la cui refertazione in telemedicina è garantita da figura medica, nei pazienti con dolore toracico), per accelerare i tempi della diagnosi medica e/o indirizzare il paziente verso il centro di cura più adeguato (i c.d. ospedali “HUB” per determinate tipologie di malattie).
La somministrazione precoce di farmaci salva-vita è prevista per pazienti con sindromi acute ed evolutive, in casi e con metodologie predefinite, quali l'abuso di oppiacei, l'ipoglicemia grave o le sindromi coronariche acute che non possono certamente essere garantite dai soli medici in quel rapporto di 1 a 60.000 abitanti previsto dalla norma o nelle aree più periferiche (e più lontane) dei nostri territori. Stesso discorso vale per l'effettuazione di particolari manovre salva-vita in sede di primo intervento, in particolare per la gestione dei pazienti in arresto cardiaco.
La posizione della Federazione Regionale dei Medici rispetto al tema del dolore, poi, appare davvero sconsiderata. Pensare ancora oggi che il dolore acuto sia “utile a chiarire la diagnosi” si pone in antitesi con tutta la letteratura internazionale che afferma esattamente il contrario. Davvero singolare che un organismo pubblico etico/deontologico affermi che il trattamento del dolore debba soccombere ad una “valutazione medica che possa annotare segni e sintomi e correlarli clinicamente a una condizione patologica”: il rilievo di segni e sintomi è a disposizione di tutti i professionisti sanitari appositamente formati, così come affermato dalla “Legge sul dolore” n.38/2010. La somministrazione di farmaci antidolorifici in fase pre-ospedaliera a pazienti con dolore severo è un atto di civiltà nei confronti degli assistiti affermato, tra l'altro, dalle Società scientifiche mediche SIIARTI, SIMEU, IRC, SIARED, SIS118, AISD, SICUT. In altre parole si vorrebbe che un infermiere soccorritore di una giovane diciottenne caduta durante una discesa nei nostri magnifici comprensori sciistici, che si presenta alla sua osservazione con dolore acuto ad un braccio e evidente alterazione anatomo-funzionale (per non parlare di frattura scomposta e abusare della prerogativa diagnostica dei medici) non possa (più) somministrare il trattamento antidolorifico prima di intraprendere un viaggio di diverse decine di chilometri in ambulanza tra le frane e gli smottamenti delle nostre strade appenniniche. Per fortuna sulle piste da sci c'è tanto ghiaccio da giustapporre sul traumatismo! Chi sarebbe disposto a dire alla ragazza in questione, che per la sua tipologia di trauma nessuna Centrale Operativa attiverebbe un'automedica o un elicottero e che ancora, nel 2016, dovrebbe tenere il dolore fino al primo Pronto Soccorso mordendo una cintura di cuoio?
Gli interventi previsti dai protocolli, scritti e concordati con i medici dell'emergenza responsabili delle Centrali Operative 118 e con un nutrito gruppo di esperti che sanno bene quali siano le reali esigenze del servizio, garantiscono secondo evidenze codificate un intervento assolutamente rispettoso di tre parametri chiave: la rapidità dell'intervento, la stabilizzazione dell'assistito, la possibilità di prevedere in tempi ristrettissimi l'iter degli interventi successivi, necessari a garantire la salute e spesso anche la sua vita.
Forse il concetto di “algoritmo” preoccupa la Federazione Regionale, ritenendolo un meccanismo in grado di aprire porte professionali non proprie degli infermieri. La definizione stessa di algoritmo tuttavia, esclude questa possibilità: è un procedimento che risolve un determinato problema attraverso un numero finito di passi elementari, interpretabili in modo diretto e univoco dall'esecutore, richiede una quantità finita di dati in ingresso e la sua esecuzione deve avere termine dopo un tempo finito e deve portare a un risultato univoco. Quel che serve per un intervento immediato in grado di compiere quell'atto sanitario (non “medico”) per stabilizzare il paziente nell'emergenza, utile per consentire proprio al medico di compiere un atto complesso, questa volta di sua completa pertinenza, di diagnosi e terapia.
Qual è quindi in realtà, se non quello di non poter “occupare” professionisti medici, il problema di un'ambulanza su cui ci sia il solo infermiere? Sia chiaro, non si sta parlando di professionisti qualsiasi, ma di infermieri formati e preparati ad affrontare le situazioni di emergenza con totale competenza e professionalità, capaci di atti in grado di fornire quella prima assistenza indispensabile spesso alla sua stessa sopravvivenza. L'occupazione di nuovi medici, poi, potrebbe avvenire esclusivamente con l'afflusso di Medici di Emergenza Territoriale (MET) che, utile sottolinearlo, dopo un percorso di studi esclusivamente teorico di 6 anni (il tirocinio per Medicina e Chirurgia è osservazionale) e un anno di praticantato prima dell'esame di stato (che potrebbe essere svolto in contesti del tutto difformi dell'emergenza come gli studi dei medici di medicina generale), affrontano un percorso formativo teorico-pratico di ben 3 mesi. Emergency is not time to learn.
Quello che serve al Sistema, invece, è che i medici, gli infermieri e tutti gli altri professionisti del sistema sanitario lavorino insieme, convinti che la qualità della nostra Sanità dipenda dalla collaborazione tra coloro che vi lavorano e operano quotidianamente e non dalla contrapposizione, come ha affermato di recente anche l’Assessore Regionale Venturi.
Non servono appelli al Ministro, ma buonsenso e collaborazione. Non servono allarmi che in realtà non hanno nessuna giustificazione clinica e/o organizzativa reale, ma la consapevolezza che un sistema sanitario efficiente, capace davvero di tutelare i cittadini, ha bisogno che tutte le sue componenti, che tutti i suoi professionisti, operino al massimo delle proprie capacità, senza che nessuno sia strumentalmente di intralcio all'altro.
Ma soprattutto cui prodest una battaglia in stallo che perdura da anni e che gli Ordini medici hanno già condotto a più riprese anche in sede giudiziale? Non certo ai cittadini che attendono risposte confidando in una chiamata al 118, in un trattamento rapido al pronto soccorso, in un'assistenza multiprofessionale sempre più di qualità, dalle corsie degli ospedali fino alle case della salute.
La Regione Emilia-Romagna ha deliberato. Andiamo avanti.
Le stragi continue in mezza Europa nell'ancor vivo ricordo della tragedia del 2 agosto di 36 anni fa alla Stazione di Bologna, ci invitano alla ragionevolezza e, soprattutto, ci suggeriscono di essere pronti ad agire.
Noi siamo pronti.
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