In parlamento
Emergenza Pronto soccorso/ La Affari sociali fa il punto e chiede (timidamente) più soldi e nuovi modelli
di Barbara Gobbi
24 Esclusivo per Sanità24
Oltre 20 milioni di accessi in Pronto soccorso, con picchi in determinati periodi dell’anno (ad esempio quanto è più acuta l’influenza stagionale o nei mesi di vacanza), con un fenomeno di stazionamento (boarding) dei pazienti anche per giorni, che si accentua nel fine settimana e nei festivi. Un alto numero di accessi “impropri”, con i codici bianchi e verdi che superano il 50% degli ingressi totali. Con il corollario di un 40% di ingressi che sarebbe evitabile, secondo quanto riferito dal ministro della Salute Schillaci in audizione, tanto che la dimissione a domicilio “rappresenta la quota preponderantedegli esiti di tutti gli accessi, arrivando a toccare oltre il 70% dei casi mentre il ricovero in degenza raggiunge il 12% dei casi”. Poi, le misure messe in fila per evitare la fuga di medici e infermieri (e ridurre la piaga dei gettonisti), che però non riescono a colmare quel “ gap salariale rispetto ai Paesi europei di riferimento, pari a quasi il 30 per cento per quanto riguarda sia la dirigenza medica che il comparto sanitario”, denunciato dalla Cgil. Non c’è da stupirsi poi se dalla Fnomceo arrivi la stima di una carenza “di circa 4.500 medici e 10.000 infermieri negli organici della sola emergenza ospedaliera”, dati peraltro potenzialmente sottostimati “considerato che alcune società scientifiche del settore dell’emergenza-urgenza parlano di dimissioni di circa 100 medici al mese che lasciano il servizio pubblico”. Mentre per i giovani medici l’Emergenza continua perde appeal, con ben 6.125 contratti di specializzazione rimasti vacanti su 16.165 borse bandite. Motivo per cui la Simeu “ritiene necessaria una riforma delle scuole di specializzazione che preveda un maggior coinvolgimento degli specializzandi nell’attività lavorativa vera e propria”. E chiede di contrastare efficacemente il fenomeno del “boarding”, cioè di “quell’indefinita attesa del ricovero ospedaliero una volta che il pronto soccorso abbia assolto il suo compito e concluso la fase di valutazione”. Situazione che per la società scientifica, “è necessario correggere attraverso una profonda riforma del sistema, che incida, in primo luogo, sul potenziamento della medicina del territorio, così da intercettare istanze non urgenti, che a volte si riversano in modo inappropriato sul pronto soccorso”.Il rompicapo Pronto soccorso, al termine dell’indagine conoscitiva avviata dal Presidente della XII Commissione Affari sociali Ugo Cappellacci, sembra ancora un rebus senza soluzione a leggere le conclusioni a cui si è giunti dopo un anno di lavoro e 15 audizioni. Del resto, la medicina d’emergenza-urgenza rientra tra le grandi tessere del nuovo puzzle Ssn cui al ministero si sta cercando (almeno a leggere le dichiarazioni ufficiali) di mettere mano agendo sull’attuazione del Pnrr per il tramite del Dm 77, con il tavolo di coordinamento tra i Dm 77 e 70 (chi l’ha visto?) e, certo non ultima in termini d’importanza, con la nuova strategia sulle liste d’attesa che potenzialmente dovrebbe anche aiutare a decongestionare gli accessi al Ps.Intanto, il presidente Cappellacci vede il bicchiere mezzo pieno, spiegando che dall’indagine conoscitiva sul sistema dell’emergenza-urgenza e pronto soccorso «emergono spunti importanti che sono stati già tradotti in iniziative». E che l’indagine è «una opportunità per migliorare il Servizio sanitario nazionale e la sua resilienza», perché «rimane una eccellenza nel mondo e in Europa, anche un modello per l’Europa che verrà, ma ha bisogno di manutenzione». Intanto, quanto a ricette si vede ben poco in cottura: rafforzare il territorio, ridurre le liste, riorganizzare nel suo complesso l’emergenza-urgenza, potenziare il personale, tutelarlo maggiormente sia dalle continue aggressioni sia dal rischio di cause valutando la depenalizzazione dell’atto medico, formare-informare i cittadini. La domanda retorica che sorge spontanea è duplice: perché dovrebbe funzionare oggi una ricetta non nuova, e soprattutto con quali denari? Se lo chiedono anche gli estensori del documento che tra le righe ammettono: “Se da un lato occorrono maggiori investimenti, dall’altro sembra necessario agire sul piano dei modelli organizzativi”.1)
Potenziamento della medicina del territorio.
A conclusione dell’indagine, sembra non esserci dubbio sul fatto che, se si vuole provare a risolvere la situazione problematica in cui versa attualmente la medicina di emergenza-urgenza, sia fondamentale realizzare una vera e propria riforma del sistema nel suo complesso, potenziando la medicina territoriale. Solo agendo in questa direzione si potrebbero intercettare le richieste di salute non connotate da effettiva urgenza, che attualmente si concentrano impropriamente sul pronto soccorso, con gravi conseguenze sul piano del sovraffollamento. Imprescindibile sembra dunque il riordino della medicina territoriale e dell’assistenza domiciliare, dando attuazione agli interventi previsti dal Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) e dal decreto ministeriale n. 77 del 2022, per fare fronte a un bisogno di salute ineludibile, rispetto al quale si ricorre troppo spesso al pronto soccorso, in maniera non corretta. Uno degli obiettivi principali del Pnrr, alla Missione 6 (Salute), è la realizzazione degli Ospedali di comunità e delle Case della comunità, insieme al rafforzamento dell’assistenza domiciliare. In tale contesto, uno dei punti sottolineati più frequentemente riguarda la necessità di riorganizzare e potenziare il numero di posti letto di cure intermedie per gestire in modo appropriato la fase post acuzie, successiva alle dimissioni ospedaliere. Con riferimento alle dimissioni, è ritenuta di fondamentale importanza l’integrazione sociosanitaria ospedale-territorio per la gestione dei pazienti in condizioni di maggiore fragilità mediante lo sviluppo delle centrali operative territoriali previste dal richiamato decreto ministeriale n. 77 del 2022. È stata altresì sottolineata l’importanza di valorizzare la figura dell’infermiere di famiglia e di comunità.Un altro pilastro della riforma della medicina territoriale è considerata l’attivazione, in maniera uniforme e omogenea su tutto il territorio nazionale, del Numero europeo armonizzato 116117, che ha il compito di fornire ascolto e di dare una risposta ai bisogni di salute per eventi non emergenziali che oggi ricadono interamente sul sistema di emergenza, spesso attraverso le sale operative del 112 e del 118, che risultano stabilmente sovraccaricate, a discapito della rapida e corretta gestione degli eventi di reale emergenza. Si tratta, quindi, di assicurare lo sviluppo di un servizio volto ad orientare meglio la domanda di quei pazienti che necessitano di una riposta di tipo più ambulatoriale e territoriale.Un’ulteriore risposta in termini di rafforzamento dell’assistenza sanitaria e, parallelamente, di decongestionamento dei pronto soccorso, è rappresentata dagli investimenti nella telemedicina, in particolare nella realizzazione di sistemi di telemonitoraggio sanitario dei pazienti con patologia cronica.
2) Riduzione delle liste di attesa.
Come è stato osservato da parte di più soggetti intervenuti in audizione, il problema delle liste d’attesa rappresenta una delle cause principali del sovraffollamento dei pronto soccorso. Occorre, dunque, individuare una soluzione volta ad affrontare il problema in modo organico. In tal senso, oltre alle disposizioni recate dalla legge di bilancio per il 2024, che prevedono l’incremento delle tariffe orarie per tutte le prestazioni aggiuntive espletate dal personale medico e del comparto sanità, dal 2024 al 2026 (articolo 1, commi 218-221, della legge n. 213 del 2023) nonché la previsione per cui le regioni possono utilizzare una quota non superiore allo 0,4 per cento del livello di finanziamento indistinto del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato per l’anno 2024 per il recupero delle liste di attesa (comma 232 della medesima legge), presso il Ministero della salute è stato istituito il Tavolo tecnico per l’elaborazione e l’operatività del Piano nazionale di Governo delle liste d’attesa 2024-26, con l’obiettivo principale di innovare radicalmente gli strumenti di monitoraggio dei tempi di attesa al fine di renderli sempre più tempestivi e precisi, e prontamente disponibili per la programmazione. Nell’ottica di un intervento innovativo, si dovrebbe puntare soprattutto su un’effettiva unificazione delle agende delle prenotazioni effettuate presso il soggetto pubblico e il privato accreditato. Altra esigenza è quella di realizzare un reale monitoraggio dei tempi delle singole aziende ospedaliere, in modo da erogare alle regioni finanziamenti mirati, non “a pioggia”. Un altro capitolo connesso riguarda il controllo sulle prescrizioni, che deve essere volto a contenere le prescrizioni concernenti prestazioni non realmente necessarie, che contribuiscono ad allungare le liste d’attesa.
3) Riorganizzazione del sistema dell’emergenza-urgenza.
Come è emerso dall’indagine svolta, oltre che attraverso gli investimenti in sanità, occorre agire anche sul piano dei modelli organizzativi, in modo da rendere più efficiente il sistema dell’emergenza. Da più parti è stata sollevata, inoltre, l’esigenza di procedere alla revisione del decreto ministeriale n. 70 del 2015, in modo da realizzare compiutamente l’integrazione della rete dell’emergenza-urgenza nella rete ospedaliera. Tra le misure non procrastinabili da adottare, è stata individuata l’implementazione di percorsi alternativi per la presa in carico e la cura di situazioni classificabili come “urgenze minori”, quali i percorsi a gestione infermieristica “See and treat” e i percorsi di presa in carico precoce “fast track”, attivabili per codici a bassa e media complessità assistenziale. Di primaria importanza appare anche l’applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale del Numero unico per le emergenze 112, nel quale viene convogliato, tra gli altri, il numero 118. I casi in cui il paziente raggiunto da un’ambulanza viene trattato sul posto, senza necessità di effettuare il trasporto verso il pronto soccorso, sono da attribuire probabilmente a richieste improprie da parte dell’utente, ad una valutazione preventiva non sempre corretta e, comunque, a pazienti che non avrebbero dovuto essere gestiti dal sistema di emergenza sanitaria 118 ma da un diverso livello di assistenza sanitaria territoriale. L’intervento sanitario in emergenza con mezzo di soccorso dovrebbe essere riservato, parimenti a quanto detto per l’accesso in pronto soccorso, ad eventi realmente emergenziali. Il corretto triage e conseguente corretta assegnazione delle missioni di soccorso consente di riservare ed assicurare tempestivamente le risorse ai casi di reale emergenza e di consentire un dimensionamento delle risorse ordinato e sostenibile. Dall’indagine è emersa una certa disomogeneità tra una regione e l’altra con riferimento al funzionamento del sistema.All’interno del pronto soccorso, particolare attenzione va assicurata al triage, essendo lo snodo decisionale rispetto all’avvio dei pazienti verso il corretto percorso, alla distribuzione interna delle risorse (umane, strumentali, diagnostiche) e alla definizione delle interfacce in uscita (osservazione breve intensiva, ricovero ordinario, percorsi di presa in carico ambulatoriale, rete dei servizi territoriali).Al fine di provvedere alla copertura dei turni, stante la carenza di personale, è stata altresì avanzata la proposta di prevedere meccanismi di rotazione programmata di dirigenti aventi la specializzazione equipollente alla medicina d’emergenza-urgenza, da preporre esclusivamente alla gestione dei codici 3-4-5, riservando ai medici specialisti in medicina d’emergenza-urgenza del pronto soccorso la gestione dei codici 1-2.
4) Potenziamento del personale.
Numerosi sono stati, nel corso dell’indagine, gli appelli alla necessità di predisporre misure volte a fare fronte alla carenza di medici ed infermieri. Non c’è soluzione indicata che non passi dal superamento dei tetti di spesa per consentire il reclutamento di nuovo personale sanitario. Per quanto concerne specificamente la medicina di emergenza-urgenza, il problema sembra essere legato anche alla scarsa attrattività del settore, per le ragioni che sono state più volte evidenziate. Uno degli strumenti ritenuto idoneo ad attrarre il personale sanitario verso questo settore è la previsione di incentivi, non solo economici. Al riguardo, pur essendo stato espresso un generale apprezzamento per le misure recentemente introdotte dal decreto-legge n. 34 del 2023 (cosiddetto “decreto bollette”), richiamate nel programma dell’indagine, da parte di diversi soggetti partecipanti alle audizioni è stata tuttavia sollevata l’esigenza di rendere permanente l’incremento della tariffa oraria per le prestazioni aggiuntive, ivi previsto, oltre che di aumentarne ulteriormente l’importo. Si è proposto anche di riconoscere al personale che svolge la propria attività in questo settore le indennità e i benefici previsti per i lavori usuranti. Ad ogni modo, si ritiene che dovrebbe essere assicurata un’adeguata tutela assicurativa e previdenziale.Dalla quasi totalità dei soggetti auditi - con un’unica eccezione - è emersa l’esigenza di abolire il fenomeno del ricorso alle cooperative per sopperire alla carenza di personale, ritenendosi che nel Servizio sanitario nazionale il rapporto tra datore di lavoro e professionista della salute debba essere individuale. La presenza dei cosiddetti “medici a gettone”, inoltre, non contribuisce a mantenere un clima lavorativo sereno, stante soprattutto la differenza di trattamento economico tra costoro e i professionisti dipendenti dal Servizio sanitario nazionale.È stata altresì rappresentata l’esigenza di normare la figura infermieristica in emergenza-urgenza nonché quella di istituire i profili di competenze per il personale che opera nei setting di emergenza-urgenza.
5) Tutela del personale sanitario
. È stata sollevata da più parti, da un lato, l’esigenza di tutelare il personale sanitario che opera nell’ambito della medicina dell’emergenza-urgenza contro le aggressioni fisiche e verbali, che colpiscono in modo particolare questa categoria di professionisti della sanità. La tutela passa attraverso la messa in sicurezza degli ambiti lavorativi, ad esempio attraverso la presenza di personale di polizia, ma soprattutto attraverso dalla formazione del personale sanitario sulle adeguate modalità di comunicazione con i pazienti e i parenti dei pazienti, nonché dal rafforzamento delle pene per chi aggredisce il personale o danneggia luoghi e attrezzature. Dall’altro lato, a fronte di un eccessivo contenzioso medico-legale, che costituisce un deterrente per lo svolgimento delle professioni sanitarie, soprattutto nell’ambito dell’emergenza-urgenza, è stata rappresentata più volte l’esigenza di depenalizzare l’atto medico.
6) Promozione della diffusione di corrette informazioni presso la popolazione
. Un aspetto del problema è considerato la mancanza di una cultura sanitaria, per cui accade che i cittadini non riescano a valutare i propri bisogni, anche e soprattutto per quanto riguarda l’accesso al sistema dell’emergenza, non riuscendo a distinguere un bisogno di assistenza sanitaria urgente da un sintomo che può essere affrontato in sede di medicina generale. A tal fine, occorrerebbero investimenti in tecnologia, affinché gli strumenti tecnologici possano essere considerati come la prima porta d’accesso al sistema sanitario. Lo scopo è quello di orientare la domanda di salute, di aumentare la consapevolezza dei cittadini, fornendo strumenti idonei e, al contempo, evitando di creare troppi canali, per scongiurare eventuali effetti distorsivi. E’ necessario che i cittadini siano responsabilizzati nelle loro richieste e che comprendano le difficoltà connesse al percorso assistenziale, facendosi carico anch’essi della funzionalità e della sostenibilità del Servizio sanitario nazionale. È chiaro che questo potrà avvenire solo se il cittadino riuscirà ad ottenere accesso ai livelli assistenziali necessari in relazione ai suoi bisogni e alle sue aspettative di salute.
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