Aziende e regioni

Cantiere sanità/ Ai territori la tutela e l’erogazione della salute tenendo la barra dritta su costi standard, Lea e Lep. E stop agli “orticelli” di parte

di Ettore Jorio

S
24 Esclusivo per Sanità24

Una brutta cosa – meglio una banalità, a meno che non si pensi a introdurre una grande mutua statale - quanto si sente dire in giro della necessità di riportare la tutela della salute nella competenza esclusiva dello Stato, modificando ovviamente l’attuale Costituzione. Chi lo afferma, e sono in tanti a farlo, fa doping legislativo e argomentativo.
Sul tema, occorre mantenere sempre i piedi ben piantati a terra, consci della storia vissuta e quella antecedente alla durata di una vita.
Per intanto, perché la tutela della salute è sempre stata, sul piano erogativo, di competenza territoriale: delle Regioni attraverso i Comuni (ufficiali sanitari e condotte mediche, veterinarie e ostetriche) e gli enti ospedalieri autonomi ma vigilati dalle Regioni. A fare eccezione, è stata a suo tempo l’erogazione convenzionata (medicina di famiglia e diagnostica chimico-clinica e radiologica) affidata alle casse mutue, sostanzialmente enti a gestione privatistica di tutela degli interessi assistenziali degli associati/iscritti. Per i non iscritti rimaneva l’assistenza ai poveri, assicurata (per modo di dire) dall’Ente comunale assistenza.
Anche la organizzazione e la sorveglianza sul tutto era effettuata, rispettivamente, attraverso i Consigli provinciali di sanità (legge istitutiva 2248/1865), nonché dagli efficienti presidi ministeriali dei medici e veterinari provinciali, divenuti organi regionali.
Il passato insegna sempre
Ebbene oggi, a fronte della storia, invero non da tutti vissuta perché il cambiamento avvenne circa cinquant’anni fa, se ne sentono di cotte e di crude a sostegno di tesi che nulla hanno a che fare con la concretezza, con l’attualità costituzionale.
Ma non accade solo questo. Si fa una gran confusione a buttare alle ortiche il Ssn, così come si sbaglia a demonizzare le prestazioni erogate dal privato accreditato.
Nel processo politico che si fa al servizio pubblico, si dimentica cosa ha significato introdurre - primi nel mondo insieme agli svedesi che però lasciano alla previdenza/assistenza ben oltre il 60% delle retribuzioni – l’universalismo assicurato attraverso il passaggio dall’anzidetto finanziamento contributivo (casse mutue) a quello impositivo. Il tutto con il risultato che con le imposte corrisposte, ovviamente da parte di chi gode di reddito, si assicura assistenza a tutti, nessuno escluso.
Le regole vanno applicate, ma con conoscenza e ragionevolezza
Quanto al sistema erogativo si combina da sempre un pasticcio interpretativo, ma grosso. Ciò per due ordini di motivi.
Il primo perché si interviene senza conoscere la sana regola della concorrenza amministrata (Giorgio Pastori docet), che impone dal 1992 (Dlgs 502, noto come “riforma bis”) l’esercizio dell’attività erogativa condizionandolo all’accreditamento istituzionale. Deve essere quindi posseduto sia dalle strutture pubbliche che private, queste ultime però abilitate alla erogazione a carico del Ssn solo a seguito di appositi contratti con aziende sanitarie/Regioni. Una metodologia che consente retribuzioni uguali agli erogatori tutti a fronte di prestazioni uguali: Drg per l’ospedaliera doc e tariffe per il resto. Un modo questo per stressare il concetto di gestione aziendale della salute: sei retribuito a produzione, devi essere quindi bravo a quadrare i conti, mantenendo sempre attualizzati i tuoi requisiti ulteriori in termini di strutturalità, organizzazione e tecnologia.
L’altro punto riguarda una grande confusione che regna da sempre nel confronto sulla sanità, politico e non. Esso è riferito al non tenere in considerazione - positiva per la qualità delle prestazioni rese all’utenza e negativa perché la si confonde, a tutto suo vantaggio, con erogazione ordinaria delle strutture delle aziende sanitarie – l’attività di alta qualità erogata dagli Irccs. Questi ultimi, per un totale di 51, dei quali ben oltre il terzo operanti in Lombardia, divisi quanto a 30 in gestione privatistica e a 21 in quella pubblica, ma autonoma dalle aziende sanitarie. Un patrimonio di valore che di fatto rappresenta la quasi totalità del fenomeno ricettivo della mobilità attiva, rappresentativa della emigrazione del dolore, un fenomeno frequente nel Mezzogiorno.
Il non tenere nella giusta considerazione produce l’esaltazione del dramma di una sanità da sempre inefficiente e pericolosamente differenziata, per diversità e inefficienza di alcune Regioni, alla quale tuttavia si contrappone una logica tutta politica. Chi ha preteso in Costituzione nel 2001 i Lep e il Federalismo fiscale sembra oggi disinteressarsene confondendolo strumentalmente con regionalismo differenziato. Così facendo butta alle ortiche i costi standard (prezzo giusto per Lea), fabbisogni standard (diversi per Regioni costruiti sulla base dei loro indici di deprivazione prevalenti), e la perequazione (sufficiente a sostenere i Lep in favore delle Regioni con un gettito proprio insufficiente).
Insomma, la partita di come ristrutturare il Ssn è difficile ma nessuno si sta impegnando per giocarla come si deve.
Le modifiche pretendono la loro attuazione
Nessuno tiene in considerazione il dato reale, ovverosia che la sanità di oggi è la vittima del decadentismo progressivo e verosimilmente programmato con tanto cinismo, come fonte e metodo di costruzione della ricchezza privata e di incarichi manageriali a vita congeniali a svuotare l’assistenza pubblica, consentiti da una legislazione aggiustata di continuo e mai assolta in termini attuativi. Uno per tutti, basta pensare alle modifiche introdotte allo scopo di godere di scelte degli erogatori secondo principi agonistici, dalla legge di mercato e della concorrenza per il 2021 (legge 118/2022) agli artt. 8-quater e quinquies del d. lsg. 502/92, non attuati da alcuna Regione.
E ancora. Con management aziendali pretesi dai decisori non secondo capacità reale bensì per disponibilità, con incarichi seriali di verificatori promossi da siti ministeriali dal costo plurimilionario e di durata infinita. Con decisori politici, supportati da una burocrazia a dir poco accondiscendente, votati al rilascio di accreditamenti a vocazione diretta, in specialità multiple e nella diagnostica per immagini al più alto costo, spesso non funzionante nei presidi pubblici.
Insomma, ci sarebbe tanto da scrivere su una sanità come quella del nostro Paese che ha vilipeso progressivamente la Nazione, con particolare riferimento a quella residente nelle regioni del Mezzogiorno, sempre di più abbandonato nelle periferie.
L’augurio di un Parlamento “migliore”
L’auspicio è che si arrivi a godere di un Parlamento degno di questo nome così come quello che ebbe a individuare nel 1978 la soluzione, nella più corretta delle ristrutturazioni, che dia fiato e concretezza all’esigibilità dei Lea ovunque, come preteso dalla Costituzione.
Insomma, le regole costituzionali ci sono e come. Quelle ordinarie, disciplinanti l’exit dalla spesa storica, anche. Occorre buona volontà per far una riforma strutturale, sfuggendo però ogni compromesso ovvero interessi da proteggere, diversi da quelli della collettività sofferente. Ma di questo si sente parlare poco, nonostante la competizione elettorale in atto per le europee.


© RIPRODUZIONE RISERVATA