In parlamento
Cantiere Sanità/ La “proposta Schlein” in filigrana. Fianco scoperto sulle coperture finanziarie
di Stefano Simonetti
24 Esclusivo per Sanità24
Da alcuni giorni si parla molto del cosiddetto disegno di legge Schlein sul rifinanziamento della Sanità pubblica. Da quasi un mese è iniziato l’iter parlamentare e sono già state fatte in merito parecchie audizioni da parte della competente Commissione. Tecnicamente si tratta della proposta di legge A.C. 1741 dal titolo “Disposizioni per il sostegno finanziario del Servizio sanitario nazionale in attuazione dei princìpi di universalità, eguaglianza ed equità”, prima firmataria Elly Schein con altri 18 parlamentari. L’Atto è stato presentato il 26 febbraio 2024 e l’esame in Commissione è iniziato il 24 aprile 2024 con i relatori Simona Loizzo e Marco Furfaro. Per le tematiche oggetto della proposta il documento è stato abbinato con le proposte di legge C. 503 Speranza, C. 1533 Consiglio regionale del Piemonte, C. 1545 Consiglio regionale dell’Emilia-Romagna, C. 1608 Consiglio regionale della Toscana, C. 1626 Consiglio regionale delle Marche, C. 1712 Consiglio regionale della Puglia. Il 14 maggio scorso si sono svolte da parte della XII Commissione Affari sociali numerose audizioni informali che hanno coinvolto Fiaso, Fofi, Fimmg, Iss, Agenas, The Bridge, Gimbe, Aaroi-Emac.
L’oggetto specifico della proposta di legge si ricorderà che era stato promosso per prima dalla Regione Emilia-Romagna, alla quale si era affiancata la Toscana e chi scrive aveva già commentato l’iniziativa su questo sito il 5 settembre 2023 . Il testo accreditato alla Segretaria del PD ha avuto, come era logico aspettarsi, molti commenti e, anche da parte di chi è sostanzialmente d’accordo con l’iniziativa, ci sono state critiche e puntualizzazioni. Ad esempio, il vicepresidente di Fondazione the Bridge Alessandro Venturi, durante l’audizione in Commissione, ha detto che «aumentare le risorse non è una misura sufficiente, la spesa sanitaria va invece riclassificata». Molto precise e come di consueto corredate da numeri e dati statistici ineccepibili sono le osservazioni della Fondazione Gimbe che – sempre nel corso dell’audizione del 14 maggio – ha osservato che “l’incremento del Fondo sanitario nazionale di 4 miliardi di euro l’anno, proposto dai Ddl è superiore al 2,6% previsto dall’Ocse fino al 2035, salvo poi essere inferiore dal 2036: è un’importante iniezione di denaro pubblico per il Servizio sanitario nazionale, tuttavia non sufficiente a recuperare l’enorme gap della spesa sanitaria pro-capite rispetto alla media dei Paesi europei”. Da parte sua, Ettore Jorio ha criticato la proposta e una frase in particolare mi ha colpito, quella in cui afferma che “questo lo sanno benissimo le pieddine, Livia Turco, Rosy Bindi, Beatrice Lorenzin e Nerina Dirindin. Lo sanno a tal punto, si suppone, da non essere tra i diciotto firmatari”. Orbene, al di là dei nomi e dei coinvolgimenti personali, forse le quattro esponenti democratiche non potevano essere firmatarie per il semplice motivo che tre di loro non sono più parlamentari da due legislature e Lorenzin è una senatrice.
L’analisi tecnica della proposta di legge. Lungi dal commentare la scelta politica o ideologica della proposta di legge, vorrei in questa sede fare alcune considerazioni sul contenuto meramente tecnico-giuridico dell’articolato. Il testo è piuttosto breve e presenta una singolare configurazione tra norma programmatica (l’art. 1) e la consueta e abusata norma congiunturale, solitamente adottata con decreto legge (l’art. 2). Nell’art. 1 troviamo la norma fondamentale, cioè quella che si pone l’obiettivo di arrivare almeno al 7,5 % del Pil nominale entro il 2028. Il progressivo incremento viene previsto nella misura dello 0,21 % su base annua. Destinatario dell’incremento è “il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard, cui concorre lo Stato”, lunga parafrasi con la quale ormai da anni si designa formalmente l’ex Fondo sanitario nazionale.
L’art. 2 prevede una ennesima norma di modifica che interviene sul “decreto Calabria” del 2019 e coinvolge le Regioni nella realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica assicurando il governo della spesa del personale in funzione dell’esigenza di garantire l’equilibrio economico. Il successivo capoverso del comma oggetto della novella legislativa reca un importante e fondamentale intervento, quello di disapplicare il famigerato art. 23, comma 2, del d.lgs. 75/2017 che imponeva il blocco del salario accessorio al valore 2016. La norma non viene abrogata, perché resta in vigore per il resto del pubblico impiego, ma “non trova applicazione” per il personale del Ssn. In realtà la formulazione della norma non dice esattamente così, perché utilizza un giro di parole assolutamente inedito e francamente singolare: “il personale degli enti del Servizio sanitario nazionale delle regioni”.
L’art. 3 si occupa dell’aggiornamento del Piano nazionale di governo delle liste di attesa (Pngla), e formula quattro distinti piani di intervento a carico delle Regioni, finalizzati a sei precisi ambiti assistenziali. Nella lettera a) si dispone l’indizione entro il 30 giugno 2024 di “procedure concorsuali straordinarie” per il personale sanitario. Anche in questo caso la formulazione è a dir poco astrusa perché “personale del comparto della dirigenza medica, sanitaria, veterinaria e delle professioni sanitarie e infermieristiche” non si era mai letto. L’indicazione non è soltanto contorta ma risulta incompleta perché letteralmente dimentica il personale tecnico-sanitario e - ma questo era evidente - il personale amministrativo, tecnico, gli assistenti sociali e gli operatori socio sanitari. A prescindere dalla forma, la norma pone un interrogativo importante: cosa sono “le procedure concorsuali straordinarie” ? Concorsi che derogano alle norme dei Dpr 483/1997 e 220/2001, concorsi semplificati (non si sa bene come) o la straordinarietà riguarda il rispetto del Piano dei fabbisogni ? Tra l’altro, questi concorsi secondo la lettura formale della norma, li devono indire le Regioni e non le aziende. Il tutto entro un mese!
La lettera b) ipotizza un sistema di prenotazione unico regionale, valido sia per le strutture pubbliche che per quelle private accreditate. La lettera c) dispone il ricorso alla libera professione intramuraria in caso di impossibilità di assicurare le prestazioni entro i tempi stabiliti dal Pngla. La norma non è altro che la riproposizione dell’art. 3, comma 12, lettera a) del d.lgs. 124/1998, norma che non applica nessuno e che negli ultimi tempi è stata al centro di molte inchieste giornalistiche. La differenza sostanziale è che nella legge di 25 anni fa i tempi massimi li indicava il direttore generale mentre ora sono fissati dal Pngla introdotto dall’Intesa Stato-Regioni del 28 ottobre 2010. Infine, con la lettera d) si impone la pubblicazione sul sito internet della situazione aggiornata dei tempi di attesa. Il comma 2 di questo art. 3 dà mandato all’Agenas di coadiuvare e indirizzare le politiche regionali previa adozione di una intesa in sede di Conferenza Stato/Regioni.
Focus sulla copertura finanziaria. E veniamo all’art. 4 che tratta della “Copertura finanziaria” ed è certamente la parte più contrastata della proposta. È del tutto ovvio che definire le coperture finanziarie necessarie per arrivare al 7,5 % del Pil è impresa colossale e non può che ipotizzare strumenti finanziari tanto generici quanto aleatori. Si devono trovare anno dopo anno fino al 2028 risorse per 4, 8, 12, 16 e 20 miliardi, tenuto conto delle previsioni di crescita del Pil. Nel secondo comma questa criptica affermazione viene spiegata come “a valere sulle maggiori risorse derivanti dalla crescita economica”. Ma, a seguire, si prevede anche lo strumento alternativo qualora la crescita non sia come da previsioni e allora si ricorre a “meccanismi e misure aggiuntive di contrasto dell’evasione ed elusione fiscale e contributiva”: nulla di più generico e, onestamente, irreale in un Paese che ha un’economia sommersa spaventosa che non solo non si riesce a governare ma non si “vuole“ toccare.
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