Imprese e mercato
Cantiere Ssn/ Proposta “pro sostenibilità”: extra budget sì ma per pagare lo sgravio delle liste d’attesa
di Ettore Jorio
24 Esclusivo per Sanità24
Evaporati i fumi della campagna elettorale, pervasa di temi interni e avulsa da quelli europei, persino da quelli fondamentali, può cominciare a discutersi seriamente di sanità. Ciò nel senso di andare ben oltre il Dl del 7 giugno 2024 n. 73, del Ddl licenziato dal Governo il 4 giugno scorso e la proposta in atti parlamentari dai primi di maggio di quest’anno.
Insomma, l’organizzazione sociosanitaria è da rifondare, nell’ottica ovviamente dell’abbandono del criterio della spesa storica che, in alcune aree del Mezzogiorno, ha distrutto persino l’esistente. Quello territoriale ereditato dalle condotte, dalla costante vigilanza assicurata dai già medici e veterinari provinciali, dal sistema mutualistico e dalla rete degli enti ospedalieri, fatta di presidi vetusti, alcuni addirittura risalenti a prima della seconda guerra mondiale, cui sono stati mutati, con l’avvento del Ssn, il conseguente status giuridico e la denominazione.
Il compito in classe del Governo
Fondamentale per un corretto cambiamento in melius è pensare alla riscrittura dell’aziendalismo, il criterio che non ha funzionato ovunque nell’esercizio del sistema pubblico tradizionale, fatta eccezione per i 21 Irccs non privati ove a governarli sono stati preposti “campioni d’incasso”. Al riguardo, basti pensare - mettendoli a confronto con il prodotto negativo medio dei Dg di nomina regionale, senza contare i successi guadagnati dai 30 Irccs di condizione privata – a titolo di esempio geograficamente diffuso: al Carlo Besta (Mi), all’Istituto nazionale dei tumori (Mi), al Rizzoli (Bo), al San Matteo (Pv), al Gaslini (Ge), all’Inrca (An), al Meyer (Fi), allo Spallanzani (Rm), al San Gallicano (Rm) e al Pascale (Na). A ben guadare, un mondo diverso diviso tra Irccs che funzionano e attraggono l’utenza bisognosa a iosa (molto quelli privati compresi quelli di estrazione vaticana) e il resto che è ulteriormente suddiviso tra Aou che eccellono (nonostante tutte tranne uno, Salerno, senza un Dpcm che le riconosca come tali) e Asl/Ao che arrivano, in alcune aree del Paese, a “fare pena”.
Gli step e le prove da sostenere
A fronte di un tale tema, ovverosia della riscrittura del sistema salute, una revisione fondamentale riguarda la disciplina della concorrenza amministrata. Con essa, la necessità di rivedere la rotta in tema di finanziamento dell’erogazione privata.
Preliminare a questo obiettivo è la ripresa nella giusta considerazione del criterio della regressione tariffaria e l’individuazione di una diversa soluzione su tre grandi problemi: l’essere rispettosi delle regole del mercato e della concorrenza, il non incidere rovinosamente sul bilancio pubblico e il risolvere il problema delle liste di attesa
Fatta questa premessa occorre andare nello specifico di come si possa ben disciplinare un rapporto di concorrenza amministrata tra erogatori, pubblici e privati, considerata come quella forma di quasi mercato che non distingue tra enti erogatori e fornitori di prestazioni, entrambi destinati a rendere esigibili i Lea a carico del Ssn, quanto ai privati accreditati in regime di contratto stipulato con le aziende sanitarie. Quanto a quest’ultime sino alla concorrenza del budget convenuto.
Risalendo quindi al tema della idoneità/abilitazione del privato erogatore si rende necessario affrontare un tema posto in essere sulla pretesa dell’Ue. Una delle leggi cui l’Ue sottopone il godimento delle risorse del Pnrr è quella annua delle concorrenza. Ebbene, in tal senso c’è stata quella per il 2021 (legge 118/2022), che ha sensibilmente modificato, all’art. 15, gli artt. 8 quater e quinquies del d.lgs. 502/1992. Pertanto, dalla vigenza della predetta legge del mercato e della concorrenza 2021 si è tuttavia registrata, da parte di tutte le Regioni, la mancata applicazione delle modifiche introdotte agli anzidetti articoli disciplinanti le procedure di rilascio dell’accreditamento istituzionale e quelle di selezione degli accreditati da contrattualizzare con il Ssn.
Le legge per il mercato e la concorrenza per il 2021 ha cambiato tutto (sulla carta, però) in tema di criteri di rilascio dell’accreditamento istituzionale e di stipulazione dei contratti degli accreditati con le aziende sanitarie.
L’accreditamento avrebbe già dovuto essere da tempo concesso in relazione alla qualità e ai volumi da erogarsi per il soddisfacimento del fabbisogno e, quanto al rinnovo e alla sua estensione, sulla base dei risultati dell’attività svolta, da doversi quindi misurare annualmente anche in termini di qualità erogativa.
I contratti sarebbero da stipularsi, da oltre due anni, con le aziende sulla base della programmazione sanitaria regionale, che quindi andrebbe fatta bene al fine di determinare il ricorso alla erogazione privata per tipologia di prestazione. Un valore non facile da ottenersi se non sulla base di attente verifiche periodiche e minuziosi monitoraggi dell’accaduto assistenziale. Dunque, con la nuova disciplina viene insediata una salutare procedura agonistica per selezionare il soggetto da contrattualizzare. Ma a fronte di tutto questo, tutto è rimasto come prima.
L’extrabudget (finalmente) a buona destinazione, a tutto vantaggio delle liste di attesa
Altro tema, riguardante da vicino il rapporto tra Ssn e accreditati/contrattualizzati afferisce all’annoso problema del budget e del suo indiscusso rispetto.
Ed è proprio il tema dell’extrabudget, corrisposto indebitamente per anni dalla quasi totalità delle aziende sanitarie con il bene tacito della rispettive Regioni, a suggerire una ipotesi utile a rimediare alle liste di attesa, quanto soprattutto a quelle di diagnostica chimico-clinica e per immagini nonché alle cure strumentali dedicate, nell’indispensabilità, ai pazienti oncologici ma anche di interventi di routine in regime di ricovero, anche diurno.
Il budget è inseparabilmente combinato con la cosiddetta regressione tariffaria, due concetti giuridico-economici che vanno approcciati con un corretto percorso semantico.
Il primo (l’extra-budget) vorrebbe dire nella sanità - in una metodologia che trova nel significato di budget economico la disponibilità massima, pertanto invalicabile, delle risorse messe a disposizione di una controparte contrattuale sanità, solitamente un erogatore - una somma che supera quanto individuato come limite in un contratto. Da qui, sempre nell’organizzazione della tutela della salute, configura prestazioni rese oltre, per l’appunto, il budget e in quanto tali non retribuibili, neppure in via straordinaria.
E’ quanto afferma un’ampia giurisprudenza civilistica, amministrativa, contabile e costituzionale che non lascia spazio alcuno a diverse interpretazioni. Anzi comporterebbe, nell’ipotesi in cui un siffatto extra-budget fosse stato già corrisposto, la sua ripetizione per indebito, fermi restando i limiti temporali prescrittivi, con conseguenti responsabilità erariali di chi lo ha consentito.
La seconda (la regressione tariffaria) assumerebbe un lampante significato, ovverosia indicherebbe un processo comportante la decrescenza economica di una tariffa convenuta. Insediato in una stretta comparazione con l’extra-budget starebbe a significare che si opera una diminuzione delle tariffe (di qualunque tipologia esse siano) sino a rimanere nei confini del budget concepito e negoziato.
Ad un tale limite si è invece opposta una brutta abitudine da parte del sistema gestorio del Ssn, sia da parte delle aziende sanitarie che delle Regioni, con il bene placido anche del sistema audit e di revisione.
La sentenza della Sezione regionale di controllo per il Lazio n. 148/2023 lo ha messo ampiamente in luce, in sede di parificazione del rendiconto consolidato della Regione, dimostrando quanto sia consapevolmente eluso nell’intero Paese il criterio del budget degli erogatori privati. Una scoperta grave dell’attento Giudice dei conti che ha fatto emergere nel consolidato della sanità regionale laziale artifizi contabili per circa un miliardo di euro, dei quali la maggior parte tendenti a fare passare per crediti centinaia di milioni di indebiti da ricevere in restituzione, poi destinati ad andare a finire “per vecchiaia” in diminuzione del patrimonio netto, ma senza passare dal conto economico a titolo di insussistenza dell’attivo/sopravvenienza passiva.
L’evento invero genera la formazione di una soluzione che, di fatti, inciderebbe a risolvere o quantomeno ad attenuare il dramma delle liste di attesa. Essa consisterebbe nel destinare, quanto sino a oggi pagato indebitamente a titolo di extrabudget agli erogatori, a retribuzione premiale in favore di chi di loro contribuisce a diminuire concretamente i tempi di attesa dell’utenza, secondo le scansioni temporali e i risultati fissati da Governo e Regioni. Il tutto da sottoporre alla vigilanza costante dell’istituito Organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria, di cui all’art. 2 del decreto legge del 4 giugno scorso.
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