Europa e mondo

L’impegno che serve (ma che non c’è) per una Unione europea dei diritti sociali

di Ettore Jorio

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24 Esclusivo per Sanità24

In un momento così importante, qual è quello delle elezioni europee, occorre che i candidati, di ogni appartenenza partitica, si impegnino a far sì che l’Ue diventi un’istituzione politica unitaria, con bilancio e politiche comuni. Che si impegnino altresì a esigere ovunque un uguale godimento dei diritti sociali. Non è infatti ammissibile che la stessa - dalla acquisizione della vigente denominazione intervenuta il 7 febbraio 1992 (Maastricht), sopravvenuta a quella comunitaria (CEE) attribuita a seguito dei Trattati di Roma del 1957 - non imponga un trattamento comune ovvero quantomeno simile in materia di assistenza sociosanitaria in tutti i 27 Paesi che la compongono. Sarebbe un modo, questo, per assicurare un esercizio, garante di prestazioni essenziali egualitarie, delle politiche esaustive di welfare assistenziali, incidenti sulla esigibilità del diritto di tutela della salute in senso lato e del trattamento dei disabili, anche attraverso una diversa modalità (voucher spendibili a fronte di prestazioni rese prioritariamente dal pubblico!) e più specifica destinazione delle previdenza non contributiva goduta da questi ultimi.
L’istanza deve essere tanto forte da tradursi in irrinunciabile pretesa
Da una siffatta esigenza, viene fuori il bisogno politico di richiedere agli Stati membri dell’Ue interventi riformatori in tal senso, quale condizione di ammissione e godimento degli aiuti unionali, del tipo quelli erogati attraverso lo strumento “Recovery and Resilience Facility” (RRF), fulcro del Next Generation EU. Proprio per questo - tenuto conto della finalità anche di rimediare agli ingenti danni e strascichi prodotti dalla pandemia di coronavirus - sarebbe stato logico prescrivere e subordinare l’uso indiscusso delle risorse del Pnrr, all’approvazione di una riforma strutturale del Servizio sanitario nazionale e, di conseguenza, un più rispettoso e rispettato impegno finanziario sull’assistenza territoriale. Il tutto a tutela dei servizi essenziali di prossimità sino a oggi oggetto soltanto di attenzioni teoriche e teoremi da predicatori.
Ciò in quanto è di tutta evidenza che il sistema distrettuale attuale, di vecchia concezione, rattoppato e segnatamente malandato sul piano strutturale, è fortemente inadeguato ad assicurare ovunque i Lea – anche essi da rivedere - al medesimo livello percettivo, sia sul piano dei siti erogativi, tali da renderli comodamente godibili dalle innumerevoli periferie, che nella cura dei trasporti pubblici locali. Con questo, imporre l’applicazione della novellata metodologia (si fa per dire, perché risale al 2001) del suo finanziamento fondato non più sulla spesa storica bensì sui costi standard e fabbisogni standard nonché sulla contribuzione solidaristica, assicurata da un apposito fondo perequativo, in favore delle Regioni più povere di gettito fiscale proprio.
Il silenzio prevale, tanto da apparire rinuncia
Di tutto questo nulla, sia sul piano delle prescrizioni europee relative al godimento delle risorse del Pnrr, diversamente pretese in altre direzioni (non ultima quella delle concessioni balneari e dei taxi) che sulle rivendicazioni e le proposte politiche, rispettivamente, dei candidati al Parlamento Europeo e dei partiti in gara.
A fronte di ciò, una campagna elettorale fondata sulle pretese (molto) generaliste di maggiori finanziamenti del Fondo sanitario nazionale, che non dovrebbe esistere a decorrere dal d.lgs. 56/2000 (25 anni fa!), atteso che all’art. 1 ebbe ad abrogare, nell’assoluto silenzio di tutte le forze politiche, ogni trasferimento dello Stato alle Regioni in materia di salute. Il tutto, registrato nella prevalenza dell’assoluto e inconcepibile mutismo sulla necessità di accelerare l’applicazione del federalismo fiscale, con conseguente mandata a casa del “maledetto” criterio della spesa storica, che ha portato l’erogazione dei Lea all’attuale punto di non ritorno.
L’Unione Europea che occorre
Europa sì. E segnatamente rafforzata e migliorata sul piano delle decisioni essenziali, da fare prevalere sulle misure minime delle zucchine. Quindi, con una Ue tanto e diffusamente attenta alle questioni fondamentali per la vita indistinta degli europei. Con questo, l’opportunità di rendere il suo intero territorio istituzionale progressivamente uguale per tutti gli europei nell’esigibilità dei diritti di cittadinanza, da ricodificare per l’appunto in cittadinanza unionale. Uno status tale da esigere una conforme sottoposizione a un uguale trattamento fiscale dei redditi prodotti, eliminando quelle assurdità di oggi di fare marketing attrattivo di sedi societarie attraverso pagamenti di imposta diseguali e inaccettabili.


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